Young-su lavora in un night club. Quando gli viene diagnosticata una grave forma di cirrosi decide di ritirarsi in un centro salute fuori città. Là incontra Eun-hee di cui si innamora.
I due decidono di lasciare il centro per andare a vivere insieme. Ma le vecchie abitudini intralceranno presto tutti i loro buoni propositi.
La felicità, o il tentativo di raggiungerla sono spesso al centro delle romantiche storie di Hur Jin-ho. Regista dotato di un occhio decisamente orientato al melodramma, Hur Jin-ho costruisce storie il cui centro è sempre una felicità, perduta e di rado ritrovata, nel qual caso sarà solo per breve tempo.
I suoi protagonisti, come in questo struggente "Happiness", non hanno mai la forza di volontà, né il reale spessore morale di opporsi al destino di distruzione che spesso scrivono con le proprie mani.
Young-su ha un carattere debole e il suo tentativo di risollevarsi passa attraverso la dipendenza emotiva dalla sua storia d'amore con Eun-hee, la quala a sua volta è una persona ferita dalla vita e tristemente rassegnata all'imminenza della morte.
I due hanno una fugace possibilità di migliorare le loro condizioni di salute, costruita sul precario equilibrio di una ritrovata serenità emotiva, ma la debolezza e la scarsa volontà di cambiare di Young-su faranno da detonatore alla tragedia, che spesso accompagna i destini dei personaggi di Hur Jin-ho.
Girato con mano determinata a sottolineare l'imminenza della tragedia e con una fotografia che accentua il contrasto tra la solare vita di campagna e le insidie della città notturna, "Happiness" è uno dei più bei drammi degli ultimi anni.
La caratterizzazione accurata dei personaggi, che ci vengono mostrati nella realtà delle loro debolezze, è il punto forte della rappresentazione la quale, scevra da ogni compromesso, lascia cadere qua e là pesanti insinuazioni sulle responsabilità di ciascuno circa il proprio stato fisico e mentale.
Young-su è l'archetipo della debolezza di fronte al proprio desiderio di autodistruzione e l'immagine di Eun-hee, pallida e rassegnata, viene esaltata dal solo contrasto con questa figura tragica di cui lei, centrata sugli altri prima ancora che su se stessa, non può fare a meno di prendersi cura. Ma sarà la sua disponibilità all'aiuto infine a decretare l'assoluta impossibilità di cambiamento del suo compagno.
Perfetto e impietoso nella rappresentazione, "Happiness" è il punto più toccante dell'intera filmografia di un regista che non si è mai sottratto all'idea di una rappresentazione poetica, certo, ma assolutamente realistica. Una rappresentazione che in nessun caso addolcisce le reali potenzialità autodistruttive di chi, deluso dalla vita o semplicemente sprovvisto della forza necessaria a superarne le difficoltà, sceglie semplicemente di soccombere ad essa.
Hur Jin-ho accompagna per mano i suoi protagonisti fino a toccare da vicino il nucleo della loro reale paura di vivere e con modalità rarefatte e poetiche illustra semplicemente il mancato riconoscimento del potenziale di superamento degli ostacoli, che si intravede di tanto in tanto dietro il dolore dei suoi sfortunati amanti.
E tutto questo senza che neanche per un attimo lo spettatore si possa illudere che la felicità casualmente incontrata dai due, al capolinea di una vita non vissuta affatto o vissuta troppo e male, possa essere il loro destino ultimo. Un destino cui tendono tanto disperatamente quanto inutilmente, inseguendo qualcosa di cui hanno volontariamente e inconsapevolmente cercato per tutta la vita di disfarsi, e cioè il lacerante peso dell'insostenibile leggerezza dell'essere.
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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 07/04/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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