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Un vecchio prete, antico come l'istituzione che rappresenta, buttato come un cencio in una chiesa che sta morendo; uomini che entrano e smantellano le suppellettili del culto, impacchettano le statue, levano via l'altare, fanno scendere il Cristo crocifisso sconfitto e muto.
Comincia così il nuovo film di Ermanno Olmi girato a qualche anno di distanza da "Centochiodi" e ufficialmente suo rientro nel mondo del cinema dopo la decisione presa di un ritiro definitivo.
Il prete è vittima dei suoi conflitti interiori: è venuto per servire, per aiutare, ma anche lui ha subito la lusinga di uno sguardo e si lacera nel dubbio dei suoi errori veri o presunti.
La sua chiesa ormai chiusa si rianima con una nuova linfa: un gruppo di immigrati di colore clandestini si rifugiano lì in attesa. E torna la riflessione sulla chiesa operosa e quella istituzionale, mentre si snodano le storie di tanta gente, nuovi reietti che tendono una mano spesso senza raccogliere.
Un vangelo vivente si sciorina all'improvviso: la dolente Madonna nera con il suo infante infagottato, la peccatrice negletta che alza la testa davanti ai suoi accusatori, il Cristo tradito da un Giuda sacrista e più vigliaccamente infame.
Molti silenzi, dialoghi scarni e biascicati perché la parola segue il simbolo così più che cento discorsi conta lo sguardo muto e implorante del bimbo o della donna stanca che riposa sul freddo pavimento della ex chiesa.
Il prete, diviso tra i suoi dubbi e paure e il suo senso di fede e di giustizia a simbolo della chiesa antica e in decadimento; la comunità africana che ridà vita all'edificio spogliato dai suoi orpelli è il nuovo, una fede più sincera scevra da quei vincoli che l'istituzione impone e che l'allontanano da molti.
L'accoglienza è l'essenza del tutto, la chiesa vuota è un utero pieno di vita mentre fuori pulsioni di morte osteggiano e incombono e il medico alias la ragione che si concede a parlare con la fede non ha altro titolo che osservare.
Volutamente lento e silenzioso, con pochi attori professionisti e molti interpreti presi dalla vita reale secondo un frequente costume del regista,"Il villaggio di cartone" apre a varie discussioni.
Da guardarsi in silenzio assoluto, per pensare e per parlarne dopo, a mente fredda.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 07/10/2011 17.31.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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