Recensione il villaggio di cartone regia di Ermanno Olmi Italia 2011
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Recensione il villaggio di cartone (2011)

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locandina del film IL VILLAGGIO DI CARTONE

Immagine tratta dal film IL VILLAGGIO DI CARTONE

Immagine tratta dal film IL VILLAGGIO DI CARTONE

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Immagine tratta dal film IL VILLAGGIO DI CARTONE

Immagine tratta dal film IL VILLAGGIO DI CARTONE
 

Un vecchio prete, antico come l'istituzione che rappresenta, buttato come un cencio in una chiesa che sta morendo; uomini che entrano e smantellano le suppellettili del culto, impacchettano le statue, levano via l'altare, fanno scendere il Cristo crocifisso sconfitto e muto.

Comincia così il nuovo film di Ermanno Olmi girato a qualche anno di distanza da "Centochiodi" e ufficialmente suo rientro nel mondo del cinema dopo la decisione presa di un ritiro definitivo.

Il prete è vittima dei suoi conflitti interiori: è venuto per servire, per aiutare, ma anche lui ha subito la lusinga di uno sguardo e si lacera nel dubbio dei suoi errori veri o presunti.
La sua chiesa ormai chiusa si rianima con una nuova linfa: un gruppo di immigrati di colore clandestini si rifugiano lì in attesa. E torna la riflessione sulla chiesa operosa e quella istituzionale, mentre si snodano le storie di tanta gente, nuovi reietti che tendono una mano spesso senza raccogliere.

Un vangelo vivente si sciorina all'improvviso: la dolente Madonna nera con il suo infante infagottato, la peccatrice negletta che alza la testa davanti ai suoi accusatori, il Cristo tradito da un Giuda sacrista e più vigliaccamente infame.
Molti silenzi, dialoghi scarni e biascicati perché la parola segue il simbolo così più che cento discorsi conta lo sguardo muto e implorante del bimbo o della donna stanca che riposa sul freddo pavimento della ex chiesa.

Il prete, diviso tra i suoi dubbi e paure e il suo senso di fede e di giustizia a simbolo della chiesa antica e in decadimento; la comunità africana che ridà vita all'edificio spogliato dai suoi orpelli è il nuovo, una fede più sincera scevra da quei vincoli che l'istituzione impone e che l'allontanano da molti.

L'accoglienza è l'essenza del tutto, la chiesa vuota è un utero pieno di vita mentre fuori pulsioni di morte osteggiano e incombono e il medico alias la ragione che si concede a parlare con la fede non ha altro titolo che osservare.

Volutamente lento e silenzioso, con pochi attori professionisti e molti interpreti presi dalla vita reale secondo un frequente costume del regista,"Il villaggio di cartone" apre a varie discussioni.
Da guardarsi in silenzio assoluto, per pensare e per parlarne dopo, a mente fredda.

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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 07/10/2011 17.31.00

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