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La poesia spesso assume i canoni di un racconto a divulgazione etico-morale, ma non sempre è così, non sempre ha una finalità costruttiva. Perché la poesia, tradotta in fiction, è utile al narratore anche solo per raccontare una storia, una storia d'amore che si eleva dallo sfondo di un conflitto militare, che è sinonimo della "non-pace" dell'Iraq dei giorni nostri. "La tigre e la neve", che nel film diventa l'immagine dell'infatuazione, dell'amore per la vita e della vita stessa donata per amore, è proprio questa rappresentazione, una fiaba modernissima sull'assurdità di quel luogo comune che è la guerra.
Il poeta Attilio ("l'istrione" Benigni) affronta il suo viaggio surreale, come spesso gli è accaduto in passato, avvolto da un'aura di candore che gli permette di attraversare Baghdad praticamente illeso e quasi inconsapevole, proprio come sul tappeto volante delle Mille e una notte, insieme al fidato amico e collega Fuhad (un convincente Jean Reno). Egli intraprende il suo cammino "isterico" e grottescamente allucinante da Roma alla martoriata capitale irachena per salvare l'amata Vittoria (una Nicoletta Braschi che ben figurerebbe nel museo delle cere di Madame Tussaud), biografa di Fuhad e rimasta gravemente ferita nel crollo di un palazzo bombardato da non si sa bene chi.
Benigni, contrariamente alle due opere precedenti a "La Tigre e la neve", "La vita è bella" e "Pinocchio", si sofferma su un registro linguistico sostanzialmente diverso, sceglie un tono sommesso, commovente, ma a tratti anche nevrotico e irriverente. Il film non viene mai abbandonato dall'animo comico e sbruffone che ha sempre accompagnato la carriera del nostro caratterista premio Oscar ed è intrisa d'immagini suggestive, ricostruite tra la Tunisia, Roma e la fabbrica abbandonata (ormai un set) di Papigno, vicino Terni. Ogni sequenza, i particolari provocatoriamente poco curati quali le fasi iniziali e altre scene, o come il piano sequenza di chiusura, sono perfettamente riuscite ed inserite ad hoc. Per il fiume di emozioni che pervade la pellicola non basterebbe un montaggio della durata di quattro ore, perché quello che vuole trasmettere Roberto Benigni (l'impersonalità nei suoi confronti è sempre inadatta) è l'egoistica insensatezza del dover combattere, la cui giustificazione è farlo per la persona che si ama e la cui unica banale spiegazione é che "al principio sulla Terra tutto è iniziato senza l'uomo e senza l'uomo tutto finirà".
Certo la pellicola ha i suoi difetti, tra i quali un montaggio alquanto frenetico specie nelle progressioni dell'iperadrenalinico Attilio e ogni tanto, nonostante la seconda parte sia nettanmente la migliore, come l'inverosimiglianza dei momenti sospesi tra il comico ed il tragico. Inoltre, l'opera è stata accusata di mancanza di etica verso un conflitto mai ben rappresentato. Le intenzioni di Benigni, invece, dovrebbero esser chiare nel momento in cui si rivolgono ad un pubblico che in ciò voglia credere, si riflette nel tentativo incosciente di salvare la donna dei suoi sogni (e non è una metafora), perché chiunque si venga a trovare in mezzo al "caos guerrafondaio", non pensa ad altro che ai propri interessi posti fino all'eccesso ed intesi come la salvaguardia della propria persona e di quelle a sè care, anteposte a qualunque cosa circondi gli avvenimenti in questione. E non importa doversi schierare contro qualcuno, contro la Croce Rossa sempre bloccata o in ritardo, contro l'insicurezza delle forze armate statunitensi, contro gli iracheni pseudofurbi e sempliciotti, il regista non vuole addossare la colpa a nessuno, se non a noi stessi. Qui il nemico è soltanto la guerra che distrugge ogni speranza di coesistenza, che annienta la bellezza dell'esistenza e dell'amore che da essa ne scaturisce. Per questo ha ragione il poeta Benigni quando afferma che "anche da morto sono sicuro che mi ricorderò di quanto mi piaceva la vita". Non serve sapere altro per capire che in questo dovremmo essere d'accordo con lui.
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Recensione a cura di Simone Bracci - aggiornata al 28/10/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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