Voto Visitatori: | 7,42 / 10 (6 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,50 / 10 | ||
Luciano Emmer, milanese di nascita e inventore di "Carosello", nei primi anni Cinquanta si segnala per il suo personale contributo al filone del neorealismo rosa in salsa romana, dando la stura a quel legame lungo decenni tra la commedia sentimentale e la Capitale.
"Le ragazze di Piazza di Spagna", girato nel 1952, è un film corale pensato al femminile.
Le protagoniste sono delle sartine impiegate in una importante casa di mode romana. Di estrazione popolare, le tre ragazze vivono in zone periferiche: il loro obiettivo è sposarsi, e il lavoro è solo un mezzo per "farsi la dote", più che un fine. A seguire le loro giornate, da osservatore super partes e narratore onnisciente, un giovane professore interpretato dallo scrittore Bassani.
Intorno alle tre giovani attrici protagoniste,tutte destinate a un fulgido avvenire, uno stuolo di nomi di primo piano nella cinematografia dell'epoca, da Ave Ninchi a Eduardo De Filippo a Leda Gloria e, in un ruolo minore, Marcello Mastroianni. Il film segna anche il debutto del giovanissimo Renato Salvadori come fidanzato di una delle attrici protagoniste, Lucia Bosè (evidente la differenza d'età a sfavore della bella interprete).
Come in tutti i film del filone neorealistico "leggero", la storia è ambientata nei quartieri popolari e gli attori recitano prevalentemente in dialetto anche se in forma edulcorata.
Per assurdo, come spesso accadeva all'epoca, gli interpreti quasi mai sono di origine laziale: la Bosè è milanese, Salvatori toscano, la Ninchi marchigiana mentre il solo Mastroianni, qui doppiato da Alberto Sordi (doppiare attori italiani era abitudine diffusa negli anni Cinquanta/Sessanta), nasce in Ciociaria.
Il film è declinato al femminile: donne sono le tre protagoniste, donne sono le principali caratteriste, Leda Gloria e Ave Ninchi, madri rispettivamente di Cosetta Greco e Lucia Bosè, mentre gli uomini hanno ruoli minori, poche scene e sembrano essere in costante attesa (il tranviere che vorrebbe sposare Leda Gloria, il fantino innamorato respinto dalla sartina invaghita degli spilungoni) salvo poi rivendicare la loro mascolinità (la scena dello schiaffo suggello delle future nozze tra la Bosè e Salvatori). Le ragazze, d'altro canto, accettano la loro subordinazione come dato di fatto e quando una di loro è respinta da un uomo che tuttavia non ama, tenta il suicidio perché virtualmente "disonorata" (poca strada era stata fatta dai tempi di Jane Austen).
Il mondo delle giovani sartine fatto di piccoli amori e di piccole cose è fieramente separato da quello dei ricchi, anche se, lavorando per un'elegante casa di moda, le ragazze interagiscono con "gli altri", sia pur indirettamente.
I "ricchi" vengono osservati da lontano e quando Gabriella (Lucia B,osè) diventa mannequin e ha occasione di frequentare il "bel mondo" anziché impegnarsi per una sua crescita professionale e spirituale decide di mollare tutto per tornare al quartiere e al fidanzato un po' ottuso ma di "buon cuore".
La conclusione a lieto fine che vede le le tre giovani convolare all'altare perfetta per l'epoca appare oggi un po' forzata e anacronistica così come l'atteggiamento di estrema rinuncia della mamma di Cosetta Greco disposta a rinunciare alla sua felicità per la "sistemazione" della sua unica figlia.
Visto oggi, il film è un interessante documento della società del secondo dopoguerra, ma anche un esempio validissimo della scuola recitativa di cinquanta e passa anni fa, forse una delle migliori nel nostro cinema.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 16/12/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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