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"Gran film": queste le mie parole quando sono uscito dal cinema.
Con una grande regia di Amenábar, giustamente premiata a Venezia. Bello il montaggio (eseguito dallo stesso regista), con attacchi in dissolvenza significativi tra volto e volto, molta profondità di campo nelle inquadrature con l'operatore che cambia il fuoco sull'oggetto protagonista della scena, e un inizio che ricorda moltissimo il capolavoro "Quarto potere". Nel film di Orson Welles, siamo all'esterno della residenza del protagonista, per progressivamente andare attraverso una finestra, verso la morte. E' la camera di Charles F. Kaine, sdraiato e deceduto, con l'ingresso in campo di un infermiera, a coprire il suo corpo. In "Mare dentro" si parte indagando dall'interno di una camera, con un piano sequenza (...alla Orson Welles), si introduce un personaggio simil "infermiera", si passa al protagonista sdraiato Sampedro, e si esce dalla finestra, per cominciare un lungo percorso: al contrario di "Quarto Potere", si sta giusto iniziando ad andare verso la morte, che non è invece punto di partenza del film, come in Welles.
Questo film sul difficile tema dell'eutanasia, con molti altri temi inclusi (la Chiesa, il cosa c'è dopo la morte, l'amore...), non sarà certo un film ottimistico per un handicappato che lo vede, ma credo e spero che non prenda posizione sul mondo del tetraplegico: il protagonista sottolinea fortemente che è una sua decisione, non si fa portavoce del mondo degli handicappati.
Scene memorabili: quella del volo di fantasia fino al mare, e un inquadratura poetica, in sequenza, dal viso di Sampedro, passando per le mani , finendo sul viso della donna che gli sta di fronte, per sottolineare il concetto di vicinaza-distanza.
Grandi le musiche dello stesso regista Amenábar. Ottima l'interpretazione dell'attore che impersona Sampedro (Javier Bardem), personaggio realmente esisitito, con dei primi piani "spietati" sui suoi occhi, che solo la prova di un grande attore poteva render così felicemente tristi.
Belle le figure del padre. Alcune zoppicature non mancano: a metà film ho avuto la sensazione che la storia sfociasse nel rosa, menomale si riprende con un interessante dualità tra tipi di amore di donna. Altra cosa che sento mancante una maggior descrizione per il personaggio dell'"infermiera", in verità un membro di un associazione, in verità figura delle più importanti, se si analizza il finale del film.
Molti temi e alcune inquadrature si rivedono in altri film del regista: i cieli di "Apri gli occhi", esaltati nel remake hollywoodiano "Vanilla Sky" (Amenábar era qui sceneggiatore ), sono presenti nel dialogo conclusivo sul cosa c'è dopo la morte, come la carrellata dal basso fino al sopra la testa (a piombo), è identica a quanto il protagonista si butta nel vuoto, sempre in "Apri gli occhi". Un film da vedere comunque non solo per la gran regia.
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Recensione a cura di fromlucca - aggiornata al 24/09/2004
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