Voto Visitatori: | 6,40 / 10 (173 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 6,50 / 10 | ||
Nel trasporre sul grande schermo la serie TV "Miami Vice", da lui stesso prodotta, Michael Mann evita saggiamente di cadere nel citazionismo e nelle strizzatine d'occhio allo spettatore, limitandosi a mutuarne le atmosfere e la coppia di detective Sonny Crockett e Rico Tubbs, della narcotici di Miami.
I due saranno chiamati ad infiltrarsi nella banda di un influente trafficante di droga haitiano, José Yero, a seguito di un'operazione costata la vita a tre agenti dell'FBI.
Una volta nell'organizzazione, i due partner realizzeranno che Yero è in realtà un ingranaggio di un'organizzazione più vasta, il cui vertice è occupato dal boss Arcangel Montoya e dalla sua affascinate consorte cino-cubana Isabella.
Le atmosfere malsane dell'ambiente della droga in cui si trovano ad agire Crockett e Tubbs sono magistralmente rese da una regia perfetta nell'esaltarne lo squallore e l'inesorabile decadenza e dalla fotografia di Dion Beebe. Questa sottolinea con toni cupi, grigi, spesso volutamente sciatti e sgranati gli interni ed i dettagli dei territori di Yero e Montoya per poi illuminare il cuore dello spettatore con sublimi aperture di campo e riprese aeree: il grigiore di un muro incrostato lascia repentinamente il campo a distese di foreste pluviali, cascate, corsi d'acqua e motoscafi che solcano onde su cui si riflette il bagliore della luce crepuscolare.
La classe e la raffinatezza quasi sfacciata di regia e fotografia permeano ogni singolo fotogramma, proseguendo idealmente la ricerca di perfezione stilistica iniziata con "Collateral" nel 2004, sempre ad opera di Mann e Beebe: grazie all'utilizzo di macchine da presa ad alta definizione, anche un aereo che vola in un cielo nuvoloso diventa un'esperienza visiva intensa ed emozionante.
Una volta messo da parte, però, l'affascinante esercizio di stile di Mann e del suo staff tecnico, ciò che ne residua è un poliziesco che nulla aggiunge e nulla toglie al genere, mai pienamente convincente, caratterizzato da clichè piuttosto banali e da soluzioni di sceneggiatura scarsamente originali, quando non scontate: l'eccessivo indugiare sul rapporto tra Rico e la moglie Trudy, la descrizione affrettata ed incoerente del personaggio di Isabella e del suo rapporto con Montoya, la stessa superficialità con cui questi viene liquidato sono solo alcuni tra gli esempi più evidenti.
Molti i buchi di sceneggiatura, con sottotrame che rimangono appese ad un filo e poi tralasciate o risolte in modo superficiale. I personaggi di Sonny e Rico, poi, non graffiano mai e patiscono una caratterizzazione gravemente lacunosa, ed il sottile confine tra legalità ed illegalità e tra bene e male in cui i due dovrebbero operare non lascia mai il segno.
A subire maggiormente l'eccessiva levigazione delle caratterizzazioni è il personaggio di Sonny, anche a causa di un Colin Farrell non particolarmente ispirato in chioma bionda e mustacchi anni '70 e troppo incline a pose bullistiche e caricaturali per risultare veramente carismatico come il ruolo richiederebbe. Jamie Foxx e Gong Li, già vista nell'ottimo 2046 di Wong Kar Wai, offrono invece una prova convincente, confermando ulteriormente quanto di buono avevano dimostrato sinora.
Concludendo, una pellicola nel complesso discreta al servizio di un'imponente lezione di regia e tecnica cinematografica, con troppe pecche all'attivo e decisamente priva di quei colpi di genio che sarebbe lecito aspettarsi da un cineasta di qualità quale Michael Mann.
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Recensione a cura di Jellybelly - aggiornata al 29/09/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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