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Film del 2003, Natural city è stato proiettato in anteprima nazionale al Future show 2005 di Bologna.
Si tratta dell'ennesimo prodotto giunto in Italia dalla Corea del Sud a dimostrazione di quanto risultino a noi graditi i prodotti di questa nazione asiatica (autovetture, elettrodomestici e ora anche film).
Siamo nel 2080 nell'affollata e ripiegata città-stato di Melcaline city sconvolta da una misteriosa guerra. Una potente multinazionale produce androidi adibiti a varie attività. Di una di queste si innamora il protagonista, solitario e integgerimo poliziotto R (Yoo Ji-tae), il quale passerà settantadue ore per cercare di impedire che Rya, l'oggetto del suo amore sia distrutta.
Fin qui la trama, che risente molto del film da cui pare abbia tratto ispirazione (Blade Runner) così come anche la storia risulta notevolmente influenzata dall'autore dell'omonimo romanzo, Philip K. Dick, visionario scrittore di fantascienza da cui la cinematografia di science fiction sta attualmente attingendo a piene mani. Come in Blade Runner, la presenza di androidi è un segno rimarchevole della società e anche qui la città è caratterizzata da una sottile quanto continua pioggia, mentre tutto intorno ci sono solo rovine, macerie e solitudine.
Ma Philip K. Dick non è l'unico ad aver influenzato questa pellicola. Gli effetti speciali, caratterizzati fondamentalmente da un grosso frastuono, sono mutuati in pieno dai videogiochi di origine giapponese, mentre le scene di lotta con capovolte e danze acrobatiche risentono dei film d'azione prodotti da Hong Kong, anche se poi il genere ha preso piede in altre cinematografie. In questa pellicola, che probabilmente per la produzione resta un prodotto soprattutto per il mercato occidentale, quindi realizzata con ritmi a noi congeniali, purtuttavia restano di "orientale" l'atteggiamente malinconico e lento nonché alcuni particolari, come l'ombrellino della giovane prostituta Cyon e le bacchette usate da R per mangiare spaghetti di riso.
L'atmosfera ripiegata e nel contempo il sogno di un mondo migliore, una sorta di isola-che-non-c'è, è comunque palpabile sin dall'inizio, quando si vedono R e Rya seduti davanti ad un idilliaco fondale di cartapesta che riproduce quel paese incantato dove tutti vorrebbero sfuggire per dimenticare le brutture della loro esistenza e poi si viene travolti da un turbinio di rumori e di effetti in computer graphic per visualizzare il vero mondo in cui l'azione ha luogo.
Il mondo del futuro descritto da Min Byung-chun, regista del film, è senza dubbio apocalittico e distopico ma pur nell'intento di dare il suo apporto alla filmografia di science fiction il regista non ci regala nulla di originale, a parte forse un paio d'ore (la pellicola dura 114 minuti) un po' diverse dal solito.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 11/03/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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