Recensione revak, lo schiavo di cartagine regia di Rudolph Maté USA 1960
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Recensione revak, lo schiavo di cartagine (1960)

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locandina del film REVAK, LO SCHIAVO DI CARTAGINE

Immagine tratta dal film REVAK, LO SCHIAVO DI CARTAGINE

Immagine tratta dal film REVAK, LO SCHIAVO DI CARTAGINE

Immagine tratta dal film REVAK, LO SCHIAVO DI CARTAGINE
 

"Revak lo schiavo di Cartagine" è un film peplum a colori degli anni '60, considerato scadente da tutta la critica italo-americana. Il film è stato bocciato anche da gran parte del mondo cinematografico legato ai media, in particolare quello più vicino al monitoraggio dei gusti degli spettatori.
Non è facile trovare i motivi che hanno portato il film di Rudolph Matè a subire così drastici giudizi negativi; ma stupisce la stroncatura totale del lato più estetico visivo del film, che di solito in qualche modo negli anni '60 funzionava sempre, grazie alle tecniche fotografiche di allora, già molto efficaci, ed ai codici linguistici sul genere ben collaudati.

Apparentemente il film ha tutte le carte in regola per confrontarsi dignitosamente con le altre opere dello stesso genere: un protagonista brillante, agile e muscoloso, attrici molto belle e formose, mezzi navali e costumi di grande verosimiglianza sempre all'altezza della situazione, un regista maturo e affermato, bellezze della natura marina riprese in forma panoramica, una trama intrigante, una fotografia dignitosa.
Rivedendo attentamente il film, però, lo stesso ha qualcosa che non funziona bene, soprattutto sul piano della narrazione. Affinché se ne possa trarre un giudizio più articolato, è necessario un approfondimento analitico un po' particolare, a largo raggio, che tenga conto sia dei contenuti del film che della sua forma.
Il film, per essere capito e valutato più a fondo, ha bisogno di uno studio che in qualche modo equivalga, come impegno, a quello che si infonde di solito in un film considerato valido.
Solo lavorando all'interno delle distinzioni "buono" e "brutto", per confrontare poi tra di loro gli effetti positivi e negativi di alcune tecniche narrative messe in gioco, si possono avviare dei paragoni critici equilibrati che possano sfociare a un certo punto in un giudizio credibile.

Per prima cosa occorre forse riflettere su ciò che accade allo spettatore dopo aver assistito a un brutto film: di solito egli lo cancella dalla mente.
Sarebbe opportuno invece, per dare un migliore giudizio critico, non liquidarlo né rimuoverlo frettolosamente, come spesso si fa sulla scia degli effetti emotivi suscitati dalla pellicola; meglio, dopo aver lasciato passare un po' di tempo, compiere sul film un'analisi precisa, accurata, in un'atmosfera di maggior serenità. Forse si scoprirebbe veramente tutto ciò che in esso non ha funzionato bene.
Soltanto infatti se si cerca di capire fino in fondo le ragioni di un risultato scadente si può sviluppare un senso critico fertile che ne interpreti i meccanismi fallimentari; è una questione sia di disponibilità analitica, che nasce soprattutto dal piacere che si prova nello scoprire delle verità, sia di un equilibrato amore verso il cinema.

"Revak lo schiavo di Cartagine" è ricordato soprattutto per due cose: primo, per le agili prestazioni fisiche di un attore alle prime armi, Jack Palance, che diventerà molto famoso e versatile in diversi ruoli da protagonista in film sia di genere plenum che drammatico; secondo, per la mediocrità delle scene e della sceneggiatura che danno al racconto una prevedibilità e un'assenza di tensioni sconcertanti.
Difetti che sono esemplari per capire cosa s'intende dire quando si parla di fallimento della linea narrativa, e scadenza d'interesse del racconto. Inoltre sono la prova di un fallimento estetico-visivo del film.
"Revak lo schiavo di Cartagine" risulterà anche mal recitato e composto da una sceneggiatura priva sia di spessore discorsivo sia di architettature sceniche di azioni tese e avvincenti.
Il film è stato poi girato con una cura fotografica sufficiente ma non in grado da sola di garantirgli il necessario splendore.

Il francese Rudolph Matè, considerato in quel periodo un buon regista, al tempo delle riprese del film ha incominciato ad imboccare, senza mezzi termini, il viale del tramonto. Lo ricordiamo con ben altra stima in "Uomini violenti" (1955) e "L'ultima preda" (1950).

La storia del film è in linea con i più noti peplum.
Intorno al 200 a.c. in piena guerra punica tra Roma e Cartagine, il principe celta Revak (Palance), signore in una ricca e bella isola nordica, viene catturato, insieme all'affascinante sorella, dai cartaginesi e condotto come schiavo a Cartagine.
Sulla nave la bella sorella rifiuta le fastidiose attenzioni seduttive del comandante cartaginese finché dopo aver tentato invano di ucciderlo si lancia in mare, disperata, piuttosto che subire ritorsioni violente.
I cartaginesi in quel periodo storico usavano saccheggiare le isole più ricche, alleate dei romani, per ricavarne beni a favore dell'esercito cartaginese e indebolire la forza delle alleanze dell'impero romano.
A Cartagine Revak, messo dapprima insieme a schiavi comuni e picchiato ripetutamente, viene in seguito trattato con riguardo, sia dai cartaginesi che dagli stessi schiavi per i suoi modi signorili e lo straordinario coraggio. Un riguardo che lasciava intravedere l'attuazione di secondi fini.
Inoltre, per via del suo eccezionale fisico atletico, Revak viene costretto a fare dell'intrattenimento per la corte.
Un giorno i sudditi cartaginesi organizzano per la regina uno spettacolo di lotta libera nel quale Revak viene chiamato a un ruolo di protagonista. Il celta viene obbligato a scontrarsi con un forte e agile lottatore orientale dagli occhi a mandorla.
Dopo una serie di situazioni svantaggiose, create dall'avversario con mezzi scorretti, Revak trova il modo di ribaltare la situazione e di vincere affogando l'avversario, stremato, in una vasca d'acqua da decorazione. Il vincitore Revak trionfa quindi rispettando le regole della lotta.

Revak con la sua prova di lealtà e forza conquisterà i favori della principessa Kerata (Vitale), sorella del comandante cartaginese che lo aveva catturato. Nascerà tra i due una passione nello stesso tempo violenta e poetica che li porterà a vivere insieme per qualche tempo in uno splendido appartamento reale.
Revak, gustati i piaceri della insperata relazione con la principessa Kerata, trova nuova forza e lucidità e architetta un piano d'evasione da Cartagine; la cosa assume un significato anche ideologico: Revak vuol dare libertà a se stesso e a tutti gli schiavi di Cartagine.
Il piano prevede il possesso di una nave militare cartaginese che faccia poi rotta verso l'amica città di Roma.
Il momento favorevole per l'insurrezione coincide con l'arrivo nel porto di Cartagine della nave del comandante cartaginese che aveva precedentemente catturato Revak e la sorella.
Gli schiavi si appostano silenziosi e ben mimetizzati in alcuni piatti barconi posti nel fianco di un molo di attracco delle navi e all'arrivo della nave cartaginese la assaltano, decisi, uccidendone tutti componenti.
Sulla nave è imbarcata anche una donna che ha sposato la causa di Revak. Il celta è indeciso se coltivare il bel ricordo d'amore con la principessa cartaginese o soddisfare il desiderio che la nuova donna ha verso di lui, quest'ultima è indubbiamente più vicina ai suoi ideali di giustizia.
Finirà per difendere la sua identità ideologica e guerriera pensando quindi solo alla fedele nuova donna: una ribelle che ha partecipato con lui alla rivolta degli schiavi e che quindi ha sposato la sua causa.
Revak, sul bordo del parapetto della nave, dopo qualche attimo d'indecisione lascerà cadere in mare il prezioso bracciale d'oro donatogli dalla principessa cartaginese durante la sua permanenza nel palazzo reale.
La nave militare, con un equipaggio unito e gioioso, fa rotta trionfante verso Roma.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 17/09/2007

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