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La celebre frase di Enrique Santos Discepolo - paroliere di Carlos Gardel, il più amato tra i cantori del tango argentino - "Il tango è un pensiero triste che si balla", da sempre identifica e rappresenta il famoso ballo argentino, ma non ne esaurisce la ricchezza di significati; perché per molti il tango oltre che un pensiero triste è una filosofia di vita, un modo di vivere, una malattia, il lamento di un uomo che rimpiange una donna.
Il tango, però, è anche emozione, energia, palpitazione del cuore, respiro e abbraccio; si alimenta di disillusione e di inquietudine e la sua musicalità un tempo traduceva la disperazione di coloro che ne cantavano le canzoni.
Un'emozione dalle tante facce, il tango ha ispirato libri, cinema e spettacoli e si offre, effimero e fugace come un orgasmo erotico, a celebrare la consapevolezza del fatto che anche tra le braccia di un altro spesso si finisce per essere soli.
Il tango fu empito spontaneo, uno sfogo, un momentaneo senso di piacere e di felicità, la trasposizione gestuale della frustrazione, della tristezza e dell'infinita malinconia della patria lontana di milioni di emigranti; tutti fattori che prepararono l'avvento di quell'originale e drammatico fenomeno legato al rivelarsi di quel ballo che dava, per un istante, l'illusione di poter dimenticare la drammaticità della vita che stavano vivendo.
Nato alla fine dell'ottocento, il tango originariamente veniva ballato tra soli uomini - la cui sensualità e l'erotismo, uniti alla capacità di ballarlo bene, lo fece ben presto identificare con la mascolinità e il machismo - per passare poi nei bassifondi e nei bordelli di Buenos Aires e Montevideo, tra malavitosi e prostitute, dove furoreggiava "a dieci centesimi il giro, compresa la dama", come dice il grande scrittore argentino Luis Borges, il quale esprimeva questo concetto: "Nessuno può dire con precisione dove è nato il tango, se Buenos Aires, Rosario o Montevideo, ma tutti sanno in quale via è nato, la via della prostituzione".
Appassionato del tango è Jean-Christophe detto JC (François Damiens), un secondino timido ed enigmatico, un tipo solitario e riservato nella vita e anche con i colleghi, ligio al dovere sia come guardia carceraria che come cittadino; conduce una vita grama e priva di sorprese, dividendosi tra il lavoro e la sua casa dove vive in compagnia di un pesciolino rosso che nuota solitario e triste in un acquario che campeggia nel salotto del suo appartamento dalla tappezzeria un po' troppo vistosa e colorata.
Il tango è la sua unica, grande passione e l'unica trasgressione della sua vita che si concede. Per questo una volta la settimana si reca presso una scuola di ballo dove si insegna a ballare il famoso tango argentino.
Ci sono poi due uomini, due amici di lunga data dal passato non propriamente esemplare: uno di origine spagnola, Fernand (Sergi Lopez) e l'altro belga, Dominic (Jan Hammenecker), entrambi in prigione per una rapina andata a male, conclusasi con l'omicidio di un poliziotto.
C'e poi una donna di circa trent'anni: Alice (Anne Paulicevich), sexy e conturbante anche senza essere particolarmente bella, fa l'infermiera in un ospedale, ed è moglie di Fernand e amante di Dominic, nonostante il primo sia violentemente geloso e il secondo refrattario a qualsiasi forma di compromesso; nonché madre di un quindicenne, Antonio (Zacharie Chasseriaud), perennemente immusonito e refrattario all'autorità della madre, in balìa della singolarità della sua famiglia e della sua genitura non definita, ma che scopriremo alla fine.
La sua passione per il tango la spinge un giorno a frequentare la stessa scuola di Jean Christophe e nel corso della prima lezione si ritrova a ballare proprio con lui. Il giorno seguente il secondino, con sua grande sorpresa, rivede la donna nel parlatorio della prigione, dove si è recata per visitare i due uomini, prima Fernand e poi Dominic.
A questo punto il surreale ménage a troi si complica ulteriormente perché JC folgorato dalla sua sensualità e preso da subitaneo incantamento, si ritrova innamorato di Alice, ben sapendo che le norme carcerarie vietano ai secondini di familiarizzare con i parenti dei detenuti.
L'assurda situazione sentimentale della donna non frena il desiderio di JC, che, rompendo sia tutte le regole morali e professionali che hanno definito la sua vita fino a quel momento, che l'equilibrio atipico di quel triangolo sentimentale, decide di infrangere il regolamento e pian piano scivola all'interno di quella famiglia allargata per avere la possibilità di stare vicino alla donna di cui si è innamorato.
Il gioco di sguardi tra il secondino e la donna non passa inosservato agli occhi dei due uomini e soprattutto a quelli del geloso e aggressivo Fernand, il quale non sopporta che sua moglie balli il tango tra le braccia di un altro.
Per non lasciare campo libero al secondino e cercare di riconquistare la moglie, costringe perciò il detenuto della cella accanto, un argentino che "deve per forza saper ballare il tango" (Mariano Chicho Frumboli, fondatore e maggior esponente del tango nuevo), a impartirgli lezioni di ballo che, trascendendo l'iniziale dileggio machista degli altri detenuti, poco a poco contagia tutti gli altri carcerati, i quali trasformano il salone della ricreazione in una palestra da ballo e inscenano un virtuosistico spettacolo di danza, che lascia tutti senza fiato, comprese le guardie carcerarie, e restituisce loro una speranza di libertà, dignità e gioia di vivere.
Presentato nel 2012 alla 69a edizione del Festival di Venezia - dove ha vinto il Premio Speciale della Giuria nella Sezione Orizzonti - "Tango libre" di Frédéric Fonteyne è il terzo film, dopo "Una relazione privata" e "La donna di Gilles", con cui il regista belga esplora la complessità delle relazioni amorose declinate al pessimismo, che si possono instaurare tra uomini e donne.
Stavolta però l'argomento è trattato con un approccio più accattivante, un orientamento tragicomico e un intreccio più aggrovigliato, ma anche con una fantasia e una leggiadria che i film precedenti non avevano.
A fare da collante tra i personaggi e gli eventi della narrazione qui è il famoso ballo argentino, che il regista utilizza sia come elemento per ingelosire e far innamorare, che come elemento di familiarizzazione fra detenuti (un po' come succedeva con il teatro in "Cesare deve morire" dei Fratelli Taviani).
Il carcere rappresenta per Fonteyne l'espediente per analizzare a fondo le psicologie e le anime dei personaggi, le loro profonde solitudini, il labirinto delle difficoltà relazionali e dei desideri repressi (amicali ed erotiche) che il luogo delle libertà negate acuisce e rende sempre sul punto di esplodere.
Si condivide il tema dell'incomunicabilità e della mancanza di intimità fra detenuti e familiari la cui privacy è inquinata da colloqui poco privati e vigilati dalla sorveglianza e fa riflettere su ciò che i detenuti lasciano fuori dalle mura della prigione.
Si percepisce il confine tra chi è dentro e chi è fuori, tra chi rispetta le regole e chi le trasgredisce, tra chi non varca mai le soglie del lecito e chi dell'illecito fa la sua ragione di vita.
Con quest'ultima fatica il cineasta belga ci regala un disincantato e malinconico, ma anche divertito, spaccato dell'altra vita carceraria: quello della sala delle visite, luogo di confine tra libertà e cattività, che permette ai detenuti di riprendere contatto con la vita e alimentare l'anelito di riscatto e forse di una vita migliore.
Così il tango si rivela un creatore di ulteriori contenuti: ballato in carcere tra uomini soli (in una delle scene più belle e significative dell'intero film dove la danza assume la forma di lotta virile dalla perturbante carica omoerotica) diventa veicolo non solo di un'enorme gamma di pulsioni e passioni, ma anche di gelosia e sensualità, di rabbia e frustrazione, di omosessualità latente e desiderio della donna, e metafora di libertà: libertà di spogliarsi di tutto per essere soltanto se stessi.
La carica erotica che sprigiona il tango provoca e accende il desiderio e la passione, poi si stempera nelle scene in cui i detenuti danno vita a veri e propri corsi di ballo durante le ore di ricreazione, quando le figurazioni della danza diventano sonorità e movimento, gesto ed emozione, gioco ed ironia in una poetica del confronto che fa del tango non solo l'occasione del momento, ma la potenzialità del momento, sovvertendo così l'immaginario del carcere da luogo di degradazione, di monotonia, di inedia, in luogo in cui è possibile recuperare la propria dignità.
Il tango ritorna così alle sue origini, quando era un ballo tra soli uomini, un ballo che non è solo musica e simmetria di movimenti, quanto piuttosto una condizione dello spirito e una radiografia dell'anima, un ballo che pulsa e travolge, che sprigiona sensualità ed erotismo, che esprime la potenza generativa del desiderio. Saperlo ballare, conoscerne i trucchi e i segreti è servito ai vecchi argentini per attrarre e sedurre le ragazze dei bordelli, come ora serve a Dominic e Fernand ed anche JC per conquistare Alice.
Prendendo le mosse dalla sceneggiatura di Anne Paulecevich (anche coprotagonista e compagna del regista) Frédéric Fonteyne costruisce una storia assurda e contraddittoria, dai toni che virano dalla commedia al dramma per terminare in un finale rocambolesco e liberatorio che rende il film accattivante e decisamente piacevole.
Campione designato di questo studiato e originale attraversamento di generi è JC, emblema degli amori impossibili, rappresentante degli esseri miti e solitari, disposto a tutto, anche alle vessazioni e gli insulti del compagno di Alice pur di non perdere il suo oggetto del desiderio.
Cineasta abituato da sempre ad analizzare e approfondire tutte le possibili sfumature amorose, Fonteyne ci regala un film esagitato e nervoso, paradossale e grottesco capace di trasmettere al pubblico l'idea che basta un ritmo vorticoso per dimenticare la drammaticità della vita, che basta una musica eccitante per trasformare le cose negative in positività, che basta la sensualità di una danza ad annullare la ragione e far dimenticare il senso delle regole e della vita. Perché il tango, come spiega il truce detenuto argentino che insegna loro a ballare, è libertà, è eros, è felicità.
Anche se, come ci spiegano i poeti del tango, ogni felicità è per definizione effimera, illusoria, beffarda; più che mai quella amorosa.
"Tango libre" è tanti film in uno: è una tragicommedia romantica, un prison movie leggero, un musical corporeo, un dramma imprevedibile declinato a ritmo di tango (anzi di milonga).
"Tango libre" è un labirinto intrigato, a tratti illogico e bizzarro, a volte prepotente e drammatico, altre anarchico e concitato, sempre comunque un film che mette al centro i dilemmi amorosi visti con gli occhi di un uomo che sta mutando e sui tanti modi di guardare gli eventi della vita, quando lo sguardo è sollecitato dal desiderio.
Eccellente il lavoro di montaggio con cui Fonteyne crea delle scene che si susseguono con cadenza veloce e concitata, ritmate come i coreografici passi della milonga, e capaci di trasportare il pubblico nella stropicciata quotidianità di Alice, divisa tra due (anzi tre) uomini, un figlio difficile e la passione per il ballo argentino con cui evade da una situazione sentimentale un po' troppo complicata.
Ma il tango argentino non è il protagonista principale, quanto piuttosto la scintilla che accende il desiderio affettivo, la trasposizione gestuale di un'utopia di libertà che irrompe tra le pareti di una prigione portando una ventata di follia e di festose fantasie erotiche, anche se ballato da due maschi tatuati con la faccia da criminali.
Tutti i personaggi del film sono, in qualche modo, legati al tango, la cui presenza, a volte prepotente e drammatica, altre sommessa e accorata, diventa rivelatore delle ragioni del loro vivere.
L'oppressione delle mura della prigione, il paesaggio triste di un piccolo paese di provincia, la pesantezza delle modeste casette di periferia arredate in maniera vistosa e dozzinale, la mestizia di un vecchio acquario abitato da un solitario pesciolino rosso, il tedio di una scuola di tango frequentata da coppie attempate che eseguono pedissequamente sempre gli stessi passi, la vita degli altri osservata da dietro un vetro - della finestra di casa, del parlatorio del carcere, dell'accettazione ospedaliera - sono tutti elementi che concorrono a precipitare lo spettatore in un mondo abitato da persone avvezze a guardare vivere gli altri, fino a quando il tango non irrompe e dilaga nelle loro vite a sottolineare la fragilità umana di fronte ai sentimenti.
Con inquadrature particolari e soggettive la fotografia di Virginie Saint Martin crea un gioco di tensione che costringe lo spettatore a temere il peggio da un momento all'altro, così come i tentativi di suicidio, la vita carceraria e una pistola carica concorrono a delineare una storia il cui teorema si percepisce fino in fondo, concorrendo così a delineare una vicenda mai scontata e soprattutto ben interpretata da un cast in stato di grazia, formato da una straordinaria Anne Paulicevich (anche autrice di sceneggiatura e dialoghi); Fernand è lo spagnolo Sergi Lopez, già protagonista di "Una relazione privata" dello stesso Fonteyne; Dominic è invece il belga Jan Hammerecker, già diretto dal regista in "Max et Bobo".
Ottimi l'impacciato JC di François Damiens e l'adolescente Antonio interpretato dal giovanissimo Zacharie Chasseriaud; senza dimenticare il più grande ballerino di tango nuevo Mariano Chigo Frumboli nei panni del maestro detenuto di tango argentino, i cui virtuosismi fanno tornare il ballo alle sue origini più vere e rendono "Tango Libre" un film imprevedibile e appassionante in cui la danza finale, quella che vediamo sui titoli di coda, ci convince che questo ballo è veramente l'espressione che celebra, come dice lo scrittore Ernesto Sabato, "l'ombra del non detto, la malinconia delle cose perse, le sfumature dell'indecisione come scelta".
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 04/03/2014 14.51.00
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