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Peter Parker è un liceale che vive con gli zii, abbandonato dai suoi genitori quando ancora era solo un bambino. La scoperta di una valigetta appartenuta a suo padre risveglia in lui il desiderio di sapere la verità circa la loro scomparsa. Entra così in contatto con il dottor Curtis Connors, collega e amico del padre di Peter, nella speranza di scoprire qualcosa in più del suo passato. È l'inizio di un nuovo futuro.
Cinque anni sono passati dall'ultimo passaggio sul grande schermo dello spara ragnatele ideato da Stan Lee. Era il 2007 e "Spiderman 3" completava una trilogia iniziata nel 2002 con Tobey Maguire e Kirsten Dunst nei panni rispettivamente di Peter Parker e Mary Jane Watson. Un quarto episodio in realtà avrebbe dovuto seguire, tanto che John Malkovich fu addirittura scritturato per la parte del villain Vulture (L'avvoltoio), invece a sorpresa dissidi tra la Sony e il regista Sam Raimi portarono a sospendere il tutto e ad annunciare inaspettatamente il riavvio del franchise.
Inutile dirlo, in molti storsero il naso. Il ricordo della trilogia di Raimi era ancora troppo vivo, troppo forte e, diciamolo pure, anche appagante, per poter accettare l'idea di un reboot così inatteso, senza contare che il primo "Spiderman" fu il precursore dei cinecomics del 2000.
D'altro canto l'idea che la Sony rinunciasse ad un franchise di questo tipo, con ancora un enorme potenziale da esprimere, era fuori discussione, nonostante il rischio di scontrarsi con la memoria della saga precedente fosse piuttosto concreto.
Ecco dunque che, per evitare di riproporre una storia già vista, la sceneggiatura di James Vanderbilt affronta aspetti della vita di Peter Parker poco conosciuti al grande pubblico, come la storia dei suoi genitori o della sua prima fidanzata Gwen Stacy, smarcandosi dai film di Raimi.
Arriva quindi alla regia il giovane Marc Webb, un passato da regista di video musicali e fresco reduce dal successo inaspettato della commedia sentimentale "500 giorni insieme", ma la notizia che tutti aspettavano con maggior interesse era solo una: chi avrebbe sostituito Tobey Maguire nei panni di Peter Parker? La scelta cadde sul giovane Andrew Garfield, attore semisconosciuto ai più, fino ad allora visto in pellicole come "Leoni per agnelli" e "Parnassus". Solo in seguito infatti, sarebbero arrivati ruoli che lo rivelarono al grande pubblico come attore di talento in film quali "The Social Network" e "Non lasciarmi".
Per valutare questo "The amazing Spiderman" occorre partire proprio da qui: Andrew Garfield è un ottimo Peter Parker, credibile e fedele al personaggio creato da Stan Lee, eppure si ha sempre la sensazione che manchi qualcosa che faccia scoccare definitivamente la scintilla con lo spettatore. Sicuramente si tratta di un'interpretazione diversa rispetto a quella cui ci aveva abituati Tobey Maguire, più romantica e decisamente orientata verso una componente "nerd" a tratti caricata; al contrario, Andrew Garfiled offre una lettura meno tormentata rispetto a quella del suo predecessore. Il suo Peter Parker è ironico, sveglio, brillante, dal sarcasmo pungente e a tratti impacciato, proprio come ci si aspetterebbe , però è anche sfacciato, ribelle e a tratti troppo sicuro di sé, quasi un bullo, il che lo rende un tantino fastidioso. Il pubblico stenta a immedesimarsi in lui, ad affezionarsi, come invece veniva naturale con Maguire.
La componente del sacrificio poi, attorno alla quale ruotava l'intera trilogia di Raimi, qui è giusto appena accennata, quasi si temesse il confronto con il suo predecessore, e questo incide pesantemente sulla componente psicologica del protagonista. Prova ne è la morte dello zio Ben, il cui impatto emotivo rappresenta la svolta fondamentale per la reale presa di coscienza da parte di Peter di ciò che egli è diventato e di cosa questo significhi veramente in termini di responsabilità. Ebbene, tutto ciò viene raccontato senza il giusto spessore, quasi si trattasse di un semplice dovere di cronaca. Il pubblico ha bisogno di sentirsi vicino al protagonista e ai suoi sentimenti, ma se non percepisce in lui alcun tremito, allora non lo avrà mai di rimando. Tutto questo non toglie niente all'interpretazione di Andrew Garfield, che comunque dimostra di avere nelle sue corde il personaggio, solo si spera possa subire una più attenta evoluzione nei prossimi capitoli.
Di fatto il problema sta proprio qui, ossia nell'aver concepito l'arco narrativo spalmato su più pellicole, cosa che rende questo primo episodio molto rarefatto. Al contrario, il primo film di Raimi delineava già una certa evoluzione del personaggio, centrando pienamente l'aspetto narrativo.
In sostanza si può tranquillamente dire che ciò che manca a questo nuovo Spiderman è il cuore. Tecnicamente impeccabile (eccezion fatta per un 3D superfluo e impercettibile), ma freddo e distaccato, lontano anni luce dal poetico "Spiderman 2", che vantava tra gli altri un Alfred Molina monumentale nei panni del Doctor Octopus.
Il riferimento al personaggio di Molina non è casuale, e ci porta a considerare un altro aspetto poco convincente della pellicola di Webb, ossia il villain interpretato da Rhys Ifans. Il problema qui sta a monte: Ifans è sicuramente un attore di talento, ma non è assolutamente credibile per la parte di uno scienziato stimato e rispettato quale è il dottor Connors, senza contare il fatto che dal punto di vista della CGI Lizard non convince tantissimo; il che è un paradosso se si considera che il film eccelle proprio dal punto di vista tecnico e visivo.
Tutti questi sono elementi che lo spettatore percepisce e che poi, una volta uscito dalla sala, inevitabilmente si riflettono nel suo giudizio. Lo stesso elemento di maggior novità, la storia dei genitori, appare un po' confuso, tanto che ad un certo punto non viene più menzionato, e questo disorienta e non poco.
Il cast è completato da una splendida Emma Stone, chiamata ad interpretare il primo amore di Peter, la figlia del capo della polizia di NY Gwen Stacy - il rapporto tra i due è forse una delle cose che meglio funziona in questa pellicola - mentre Martin Sheen perde il confronto a distanza con Cliff Robertson e la zia May di Sally Field risulta troppo marginale, sperando possa recuperare spazio nel prossimo capitolo.
Tutto questo potrebbe far pensare ad un disastro, ma non è così. "The amazing Spiderman" sicuramente non è un film perfetto, però riesce ad intrattenere, e di questi tempi non è per niente scontato. Semplicemente, il film di Webb paga il fatto di essere uscito troppo presto, quando ancora tutti avevano negli occhi la trilogia di Raimi, ma soprattutto di essersi voluto eccessivamente smarcare dal suo predecessore, perdendo di vista alcuni aspetti fondamentali del personaggio.
Insomma, le basi sono state gettate, ora non resta che aspettare e vedere cosa ci riserverà il secondo episodio.
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Recensione a cura di Luke07 - aggiornata al 16/07/2012 17.11.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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