Voto Visitatori: | 6,12 / 10 (39 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,00 / 10 | ||
Diretto da Yong-gyun Kim, regista coreano di già numerosi cortometraggi, "The red shoes" è una fiaba nera a tinte horror che gira attorno alla maledizione di un oggetto (le scarpe rosse) e al rapporto disturbato madre-figlia, aggiungendo poi nella parte centro finale elementi tipici della "ghost story", come fantasmi con lunghi capelli corvini (alla "Sadako").
La maledizione consiste nel fatto che chiunque rubi le scarpe viene colpito da una morte atroce, sanguinosamente mutilato negli arti inferiori: la scelta del colore rosso è simbolica, infatti sta a rappresentare il copioso sangue che esce dalle membra della vittima, ma anche sentimenti "infuocati" come l'avidità, la gelosia, l'egocentrismo, tipici di una società, quella contemporanea, che si adagia a vivere sugli allori e sul lusso.
Frequenti i richiami ad altre pellicole di produzione orientale (come "The ring", "The dark Water" nella scelta dell'appartamento come location), possiamo dire che nel rappresentare i sentimenti morbosi di un genitore il regista si rifà anche a vecchi masterpieces del passato, come "Shining". Il segreto sta però nel fatto che riesce a fondere questi luoghi comuni del genere horror, creando una storia interessante, affascinante, seppur non originale. Meraviglioso il tentativo (riuscito) di sfruttare l'elemento favolistico, mischiandolo ad un forte realismo urbano (bellissime le scene della metropolitana), generando quindi un senso di disorientamento nello spettatore, che man mano si acuisce con lo sviluppo stesso della storia.
Il regista ci vuole dire che la gelosia e l'egocentrismo sono dei mali "moderni" che si insidiano gradualmente nell'animo di persone con un passato difficile (che hanno ad esempio alle spalle un tradimento), diventando delle guide maligne che portano a compiere gesti sbagliati, illeciti. E così si configura la "denuncia" sociale, molto pacata, alla società contemporanea, attaccata al materialismo e ai beni economici, in conseguenza del "boom" economico che ha caratterizzato i paesi orientali nei tempi nostrani. Gli intenti del regista son resi benissimo con scene al limite del "sostenibile" (la pazzia della vecchia su tutte), accompagnate da una percepibile atmosfera di tensione e suspense.
Non mancano però i difetti che ricorrono spesso nelle pellicole di produzione orientale: ritmo eccessivamente lento ed un po' pesante (soprattutto perché all'inizio non succede niente), sceneggiatura un po' confusionaria non aiutata da un finale poco plausibile e convincente. Velleità artistiche non ce ne sono, visto che il budget limitato è stato sfruttato benone e lo stile visivo del regista è ammirabile; rullo di "tamburi" ed applausi per gli scenografi Pak-ha Jang, Hyung-tae Lim e per gli effetti speciali di Tae-hoon Kim, Eui Dong Park.
La recitazione è buona e a questo proposito vale la pena encomiare Kim Hye-su, che veste i panni della protagonista Sun-jae, e Park Yeon-ah (Tae-su). Nel complesso è una pellicola discreta a cui si può dare un'occhiata, anche se non si è dei fan sfegatati di questo genere di cinema.
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Recensione a cura di dubitas - aggiornata al 05/07/2013 17.37.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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