Hyun-Soo è un giovane che, nonostante l'apparenza trasandata, gioca con un certo successo coi titoli di borsa. Una delle sue speculazioni però intralcia i piani di Jong-Goo, un ex boss locale che ha intrapreso la carriera di speculatore finanziario. I due avranno un confronto che convincerà Hyun-Soo del fatto che, per ripagare il danno fatto alle finanze di Jong-Goo, l'unica cosa da fare sarà investire per suo conto. Ma nel mondo dell'alta finanza una truffa è sempre in agguato.
"The Scam" ha esattamente il ritmo e l'apparenza di un film americano sulle speculazioni in borsa. E a chi conosce la Corea superficialmente potrà anche sembrare possibile un simile intreccio di soldi e potere. Ma la reale situazione del paese, che tenta con tutti i mezzi di seguire l'economia e il sistema capitalistico, ormai agli sgoccioli anche in America, è tale che le infiltrazioni di malavita organizzata sono assai più pesanti di quelle suggerite dal racconto.
Jong-Goo è qui solo un buffo personaggio, vestito Armani e con le scarpe e le cinture fatte in Italia espressamente per lui, che gioca in borsa e specula con tutta la malafede e i trucchetti di chi non può permettersi di sbagliare. La sua gang è composta da altrettanto pittoreschi personaggi, tra cui spicca un tipo che parla solo inglese e si finge americano, con tanto di nome occidentalizzato, Brian Choi.
Il gruppo ha la sgradevole tendenza a far sparire concorrenti e persone che intralciano, anche solo con la presenza, i loro eventuali piani. E qui entra in scena Hyun-Soo, un normalissimo giovanotto che aspira ai soldi e si dedica con passione alle speculazioni in borsa tramite l'uso della Rete.
I due sono destinati a incontrarsi e sarà inevitabile per Jong-Goo tentare di servirsi di Hyun-Soo e poi coinvolgerlo nei suoi affari meno legali per liberarsene.
Ovviamente non sarà per nulla facile sbarazzarsi di un arrampicatore che ha fatto del sotterfugio la sua arma migliore, e Hyun-Soo metterà in campo ogni sua risorsa per realizzare i suoi sogni e sfuggire alla morte.
Il racconto è tutto qui. La rappresentezione di una società spietatamente in corsa, molto simile a quella americana, ha un suo fascino. Ma la realtà dei fatti purtroppo ci dice che gli estremi in Corea si toccano assai spesso e che nella vita vera Hyun-Soo finirebbe probabilmente in un pilone autostradale.
Ma se decidiamo di tralasciare il punto della scarsa aderenza alla realtà della storia, ci troviamo di fronte a un'ottima imitazione. La tensione e il ritmo non hanno nulla da invidiare agli action americani, e la caratterizzazione dei personaggi, vero cuore del film, è addirittura di molto superiore alla media d'oltreoceano. I personaggi sono in questo caso assai convincenti, nella misura in cui si attinge al nucleo dei sentimenti più veri dei coreani. Da una parte abbiamo i poveri di una nazione che tenderebbe all'economia globale, e dall'altra la classe dirigente che si ispira a modelli americani e ne copia, non solo le tecniche, ma anche lo stile. In questo caso è facile trovare persone che se, da una parte ammirano il modello americano, dall'altra provano ostilità e rabbia di fronte al progressivo americanizzarsi dei propri stili di lavoro.
Il racconto procede così sul doppio binario della coinvolgente ascesa di un comune studente e dell'altrettanto iperbolica scalata del mondo della finanza da parte della malavita. I due mondi camminano paralleli e si incrociano di fronte al profitto, che diviene qui letteralmente una questione di vita o di morte. Come spesso accade nei film coreani la prima parte ha un leggero tono da commedia, con siparietti assai comici in questo caso offerti tutti dalla gang di malavitosi in giacca e cravatta, mentre nella seconda parte il racconto evolve semplicemente in una modalità più relistica, assumendo toni drammatici.
La buona prova di tutto il cast aiuta non poco lo spettatore nella sospensione, anche se momentanea, dell'incredulità di fronte a tanta avventura. E l'insieme risulta coinvolgente quanto basta per meritare una visione. Peccato solo che la vera natura dei sentimenti dei coreani venga qui filtrata da modelli occidentalizzati, che finiscono per annacquare il sano risentimento per un'inquinamento culturale mai così fastidioso e pesante come da quando si è cominciato a parlarne persino nei film.
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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 13/04/2010
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