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La pellicola, apparsa sugli schermi nel 1955, è passata alla storia a causa delle censure e degli innumerevoli tagli che ritardarono di due anni l'uscita riducendone la durata in maniera esponenziale.
Al giorno d'oggi tanto accanimento nei confronti di Totò appare assurdo ed anacronistico ma all'epoca lo stesso ministro della Difesa Mario Scelba scese in campo per ordinare, oltre che i tagli, il divieto di esportazione, poi caduto nel 1958.
Quali erano le tematiche tanto esplosive da scomodare un ministro di un dicastero così importante per la nazione? (nota volutamente ironica). Innanzitutto non andava a genio il ruolo interpretato da Totò: quello di un agente di polizia. Antonio De Curtis, attore sicuramente geniale, amatissimo dal pubblico, non incontrava la medesima fortuna negli ambienti di potere né tantomeno tra i critici cinematografici che oltre a stroncare impietosamente ogni sua interpretazione, lo consideravano poco più di un giullare di corte.
Per questo motivo, in una Repubblica che sta ancora muovendo i suoi primi passi e che cerca di ricostruire una sua dignità anche attraverso le forze dell'ordine, il Totò poliziotto - povero diavolo che non cerca la gloria ma solo un aumento di stipendio per tentare di sbarcare il lunario - il Totò che si lascia convincere da una stramba vecchina (Tina Pica) a giocare al lotto, il Totò pavido, ignorante e un po' cialtrone, non dava certamente lustro al paese.
Si tentava di dare all'Italia un'immagine meno negativa ed invece ecco che regista e soggettista (la coppia di assi Monicelli e Flaiano), seguendo gli ultimi strascichi neorealisti, mostrano un'Italia ancora intenta a leccarsi le ferite, un poliziotto costretto a vivere in una casa semi fatiscente, strade pessime, locande gestite in condizioni igieniche discutibili.
Al di là dall'immagine "esteriore" presentata dal film, anche i personaggi che via via Totò e la sfortunata ragazza Carolina (Annamaria Ferrero) incontrano danno un'idea negativa: i comunisti (in piena guerra fredda) brava gente che tolgono d'impiccio la guardia, un sacerdote decisamente mellifluo e accomodante oltre che in un certo senso poco caritatevole, un sacrestano sordo e poco presente, una famiglia di cattolici praticanti ipocriti e con molti scheletri nell'armadio. Persino la frase "Abbasso i padroni!" pronunciata da un anziano militante comunista viene presa di mira e trasformata in "Viva l'amore".
Passando alla trama "tout court" occorre dire che l'attore Totò recita insolitamente senza spalla, efficacemente coadiuvato dalla giovanissima Annamaria Ferrero (ventunenne all'epoca del film) che sostiene con equilibrio il suo ruolo senza scadere mai nel patetico, né tantomeno nel tragicomico.
La breve apparizione di Tina Pica rappresenta l'intermezzo comico che chi andava a vedere un film di De Curtis si aspettava, mentre Foà nel ruolo del commissario riesce ad essere sufficientemente compito e distaccato.
Il film, una sorta di "road movie de noartri" scorre senza sbavature. Si ricorre molto all'uso del dialetto secondo la tradizione neorealista e tra una sequenza e l'altra appare anche il giovane Maurizio Arena, in uno dei suoi primi ruoli.
L'intento del regista, oltre a quello di dare una fotografia reale del paese è anche quella di fare di Totò un Chaplin italiano: la giovane compagna ricorda un po' "Tempi moderni" e un po' "Luci della città", così come la musichetta che accompagna il film è ispirata alle melodie chapliniane.
A prescindere da ogni altra considerazione, al giorno d'oggi il film è senza dubbio un interessante documento dell'Italia del primo dopoguerra e un esempio della capacità attoriale di Totò, anche se la prova recitativa è da considerare decisamente secondaria rispetto ad altre pellicole interpretate dall'attore partenopeo in tempi più tardi.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 20/11/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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