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Il film di Maddin presenta delle tonalità intrise di umorismo nero. Due personaggi, quelli di Guy e Meta, tormentati dal rapporto con la figura paterna che crea una miscela morbosa da una parte e castrante dall'altra. Due personaggi totalmente immaturi, che fra una decisione giusta e quella sbagliata scelgono immancabilmente quella sbagliata. Un film alquanto straniante ed onirico che merita la visione, specialmente chi apprezza il lavoro di questo regista.
Tutto si può dire dei lavori di Guy Maddin; che siano noiosi, difficili da digerire (non che io che la pensi così, ovvio), complessi, ma ci sono un paio di cose che non si possono negare a quest’artista : originalità e coraggio. In “Cowards Bend the Knee”, in particolar modo, il regista canadese* va oltre rispetto ad altri suoi lungometraggi, portando in primo piano, oltre al suo linguaggio cinematografico anni ’20, una dose massiccia di provocazione e in termini di regia/montaggio e relativamente ai temi. La regia è, infatti, estremamente confusionaria (a volte volutamente insopportabile) e l’uso dello sfocato si spreca, tanto che Maddin lo applica anche ai testi che accompagnano la pellicola; quanto al montaggio anch’esso è assolutamente non armonico, non lineare, al contrario è spezzettato e spesso ripropone più volte brevi serie di fotogrammi quasi fosse un difetto della pellicola. Il regista provoca anche nei contenuti e nelle immagini. I suoi personaggi son tutti perdenti, tutti ossessionati, tutti privi di meta, vivono amori impossibili e spesso sudici; Ad accompagnare temi del genere e a sporcarli ulteriormente, vi sono, infine, molte volte sequenze crude (come amputazioni) o spinte, come nudi decisamente non timidi che contrastano, non in senso negativo, con regia e fotografia espressioniste creando un ulteriore elemento distintivo del suo cinema.
Un Maddin ancora più personale, quindi, più provocatore che cerca, riuscendoci, di portare il suo modo di fare cinema ad un grado di maturità e completezza maggiore.
*a proposito di canadesi, questo CBTK, raccontato a capitoli, ricorda una fiaba, come “East of Euclid” di Solylo, anch’egli canadese (entrambi di Winnipeg se non sbaglio) e anch’egli decisamente interessante, anche se artisticamente più giovane. ‘Mazza i canadesi (super-adatt.)