fata morgana regia di Werner Herzog Germania 1971
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fata morgana (1971)

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locandina del film FATA MORGANA

Titolo Originale: FATA MORGANA

RegiaWerner Herzog

Interpreti: -

Durata: h 1.18
NazionalitàGermania 1971
Generedocumentario
Al cinema nel Giugno 1971

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Trama del film Fata morgana

Werner Herzog in viaggio nell'Africa sahariana, Kenia, Tanzania, Guinea e Canarie, cattura con la cinepresa le immagini di un mondo che può essere considerato come metafora dello sviluppo della vita (e della morte) sulla crosta terrestre. Il regista tedesco, per girare questo singolare documentario, si ispira al testo sacro di alcuni indios del Guatemala, il "Popul Vuh", dividendolo, come quello, in tre sezioni: "La creazione", "Il paradiso" e "L'età dell'oro".

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Voto Visitatori:   7,41 / 10 (11 voti)7,41Grafico
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Voti e commenti su Fata morgana, 11 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  22/05/2008 23:23:08
   7½ / 10
Nell’opera di Herzog, oltre ai grandi film di stile “tradizionale”, dove si rappresenta con grande chiarezza la visione pessimista che ha Herzog della civiltà umana, ce ne sono altri in cui questo tema viene svolto con uno stile più originale e particolare. Oddio, anche i film più “convenzionali” sono comunque un po’ speciali e hanno caratteristiche tutto sommato insolite: ad esempio, quasi tutti hanno una trama poco conseguente, con storie che procedono con scene esplicative temporalmente poco legate fra di loro; spesso poi ci sono scene simboliche o di significato surrealista; c’è soprattutto un continuo confronto fra pensiero/comportamento umano e la presenza determinante e dominante della natura.
Queste caratteristice tematiche e stilistiche sono rappresentate nella loro purezza in “Fata Morgana”, un’opera giovanile di Herzog, uscita nel 1971 quasi controvoglia rispetto alle intenzioni di Herzog. Era il frutto di peregrinazioni del regista e del suo operatore (una troupe quindi di sole 2 persone) nell’Africa subsahariana. Un’esperienza allucinante (povertà, degrado, fame, malattie, brutalità dei regimi) che segnerà per sempre Herzog. Quello che ha voluto fare però l’autore è più un’operazione filosofica-riflessiva che attualistica-sociale-politica. La sua riflessione è di carattere universale e riguarda l’intera essenza della civiltà umana e il suo significato sul pianeta Terra. A fronte di una natura maestosa, potentissima, affascinante per forza e grandiosità, sta l’Uomo piccolo, debole, il quale se opera nella natura, arriva a rovinarla, a distruggerla. Insomma non ha combinato niente di buono, di positivo dal punto di vista della Natura, a partire dalla sua comparsa sul pianeta.
Ecco pronto quindi questo film quasi documentario, quasi trattato filosofico per immagini e bellissima musica. Una dietro l’altra, senza apparente nesso logico, scorrono carrellate di splendidi o desolati paesaggi desertici, miraggi, quasi a inscenare una specie di mega visione mistica. Qua e là appare qualche sperduto villaggio di gente povera o carcasse di animali morti. Su questo sfondo visivo in movimento si recita il testo sacro Maya (il Popol Vuh) che racconta della Creazione. In questo racconto tutto procede per il meglio nel mondo, fino a che gli Dei non decidono di creare un custode della Creazione, cioè l’Uomo. Quest’ultima opera viene male perché questa creatura non ha né sentimento né giudizio e finisce per autodistruggersi e rovinare l’armonia del creato.
La seconda parte del film è chiaramente ironica e si divide in “Il Paradiso” e “L’età dell’oro”. Quello che vediamo sono solo scene mediocri o di follia umana, sempre in un contesto di solitudine, isolamento e desolazione. Insomma, per Herzog, l’Uomo e la sua “civiltà” rappresentano un fallimento all’interno del sistema della Natura.
Sono idee molto importanti e che vengono fuori non proprio in maniera diretta da quello che si vede. Occorre una certa partecipazione intellettiva da parte dello spettatore. Visto così, senza tante pretese, può apparire un interessante documentario dal ritmo molto lento e quasi soporifero. Questo per mettere in guardia chi si accinge alla visione. Chi ama l’originalità è invece premiato: vale la pena.

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