Preda dell'alcol per consolarsi degli scarsi successi letterari, scrittore in crisi allontana da sé il fratello e la donna che lo ama. Tenta il suicidio, ma la donna non si rassegna...
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4 non 2... Il film mi pare un bambino di prima elementare che fa un tema in prima superiore. Bravo, bello, hai fatto ciò che potevi. E fa quel che può, il regista, in tempi lontani, purtroppo senza la capacità da poeta che dovrebbe contraddistinguerlo. La storia è quello che è, le frasi ad effetto 3 e lode, il finale un capolavoro allegramente scherzando. Vabbè dai, ci hai provato, ieri come allora, ci sei riuscito.
Forse il film per eccellenza sulle dipendenze, il capostipite di questo genere, "The lost weekend" è forse uno dei più torbidi viaggi nell'inferno dell'alcool che il cinema ci propone, Wilder qui ci mette tutto il genio possibile e realizza un film impensabile, soprattutto per il periodo, quando leggo l'anno di realizzazione mi vengono i brividi. Straordinario Milland, straordinaria la Wyman, ma Wilder con la sua sceneggiatura che definirei "a vortice" dato che consiste nel ripetere in modo martellante le situazioni che vanno a capitare al nostro caro scrittore alcolista, una sceneggiatura che contribuisce a creare un agoscia, un senso di smarrimento nello spettatore che sembra imbucato in un tunnel senza via di uscita, uno dei film pessimisti per eccellenza.
Presenti SPOILER! Ogni volta che mi appresto a vedere un film di Wilder cerco di convincermi di un fatto, vale a dire che è impossibile possa sorprendermi, non dopo aver visto quelli che, a tutti gli effetti, restano i suoi capolavori più celebri. Poi, però, ecco che la convinzione va letteralmente a farsi benedire... è successo con "Uno, Due, Tre." ed è successo anche con questo "Giorni perduti". Pur non rappresentando l'apice più alto mai raggiunto dal regista, questo resta comunque un film straordinario, una pellicola che molti registi non riuscirebbero neppure a sognarsi la notte di fare... e questo era giusto per dare un'idea dell'immensa grandezza di Wilder; non che ce ne fosse il bisogno visto di chi stiamo parlando, ma mi fa sempre piacere sottolinearlo. Il film in sé è un lucidissimo e terribile viaggio nella piaga dell'alcolismo, un viaggio estremamente povero di luci ma pregno di zone oscure... non ci sono sconti, non ci sono speranze, c'è solo una lunga, interminabile discesa che accompagna il protagonista fino al finale il quale, a pensarci bene, potrebbe tranquillamente avere due diverse interpretazioni. Il tutto viene ovviamente diretto con una maestria da far impallidire anche il più in gamba degli attuali cineasti... Wilder va dritto al punto, utilizza una fotografia particolarmente grigia e inquietante e regala un numero di scene memorabili davvero impressionante. Tra le tante come non citare quella in cui Milland si trova a dover fare i conti col suo personale "delirium tremens" e inizia a vedere un topo che rosicchia la parete di casa; oppure quella precedente, dov'è costretto ad assistere alle crisi degli altri pazienti in un enorme sala quasi completamente buia. L'oscurità delle immagini, unita alle terribili grida degli alcolizzati, sono un qualcosa di davvero pazzesco. Senza parlare poi della sceneggiatura, al solito più ferrea che mai. E il cast? Milland regala una performance di una bravura terrificante e si porta a casa meritatamente l'Oscar... se molte scene riescono a scuotere lo spettatore con una certa intensità il merito non va solo a Wilder, ma anche a lui. Fantastico! Non da meno, però, risulta essere la Wyman... in un ruolo minore rispetto a quello di Milland offre un'interpretazione tremendamente convincente; la sua tenacia e il suo amore verso il compagno sono semplicemente commoventi, tanto da portarla ad essere l'unica possibile ancora di salvezza di un uomo sempre più alla deriva. Il punto è, quest'uomo vuole davvero essere salvato? Difficile stabilirlo, e il finale se da una parte getta un'inaspettata luce di speranza dall'altra mette più di un dubbio sull'effettiva riconciliazione del protagonista con se stesso. Tutto è troppo rapido per pensare che la via della guarigione sia stata intrapresa nella maniera giusta, rapido e accondiscendente... e in netto contrasto con il resto della pellicola. Forse una scelta precisa del regista, forse no... non ci è dato saperlo. Fatto sta che, personalmente, adoro finali del genere! A ognuno la sua interpretazione.
Il salto ormai è fatto, nel cambio di registro non ha perso una virgola della sua brillantezza sino ad allora prodigata nel plasmare la commedia, raccoglie gli stilemi del cinema d'avanguardia per modellare il cupo tunnel senza uscita dell'alcolismo in cui si ritrova Milland. Talmente antihollywoodiano nello sconfessare quei ritratti bigotti che il cinema soleva realizzare che la stessa Hollywood ne dev'essere rimasta ammaliata (dato che poi l'autore è uno dei suoi figli prediletti), angosciante la crudezza, il sudore grondare dal volto sfiancato del protagonista al che tutt'ora sortisce gli effetti di repulsione dall'etilismo. Esordisce con quella bottiglia che penzola alla finestra, introduzione che rammenta la più celebre finestra inquadrata da 'Psycho', dipendenza quella che attanaglia Milland non stemperata neanche dal finale apparentemente ottimistico, troppo forte la caduta lungo il tragitto della via crucis, una reputazione sgretolata dall'imbarazzo di aver contratto una malattia che ai più sembra la rogna, le malelingue della gente, trincerato in un ricovero che ha i contorni del manicomio, le insinuazioni notturne dei demoni dell'alcool deformano la visione, Helen è il ponte tra le 2 personalità, lo scrittore e l'alcolista, un attimo di scissione dell'io (tanto per restare in fede coi suoi temi pirandelliani). Altra gemma successiva di una decina d'anni, Preminger tratta la morfinomania dalla quale deve aver assunto i tratti spostati di quest'opera che si posiziona come punto di riferimento del genere, lo stesso Sinatra attinse da questa esemplare performance di Milland i tratti della dipendenza.
Solito, grande Wilder, che racconta l'alcolismo senza fronzoli ed in modo spietato, presentandone la forza autodistruttiva. Tecnica superba (la scena del delirium tremens è da antologia) ed interpretazioni straordinarie completano il cerchio. Peccato però, a mio parere, per
il finale affrettato e consolatorio, con redenzione improvvisa di Milland: forse una nota di disperazione e pessimismo in più sarebbe stata più coerente con il resto del film. Ma, visti i tempi, forse sarebbe stato chiedere troppo.
Ray Milland é eccezionale: riesce a dare un incredibile spessore a un alcolizzato e alla sua spirale verso l'autodistruzione. Ma il merito maggiore va a Wilder, che costruisce un intero film attorno alla sofferenza personale di un uomo, e lo fa con un'efficacia disarmante che porta lo spettatore a prendere seriamente in considerazione il problema. Non puoi relegare ciò che vedi alla pellicola, in quanto troppo vero (nel senso di realistico) per non avere effetti sui tuoi pensieri (almeno a me ha fatto questo effetto). Memorabili alcune scene, davvero crude. Il finale, purtroppo, me lo aspettavo diverso; ma dopotutto, essendo Wilder lo sceneggiatore, se ha visto così la sua storia allora va bene. :)
Grandissimo film di Billy Wilder sull'alcolismo. Opera - a mio parere - assolutamente perfetta per impostazione, misura, composizione drammatica e spietata denuncia, senza sbavature retoriche, di una piaga sociale, allora come oggi. Assolutamente imperdibile, e indimenticabile: io lo ho rivisto oggi dopo, forse quaranta anni, e ricordavo ancora diverse battute, e alcune scene. Billy Wilder fra il lieto fine (d'obbligo, allora, come oggi nel cinema americano) e un finale senza speranza sceglie, con una geniale abilità, il finale che vedrete, e che non si può anticipare, ma che è assolutamente perfetto (anche se nessuno è perfetto....)
gran film, ma ne preferisco altri di wilder, anke tra le commedie, ma non solo. in ogni caso interessante, sinceramente non conosco altri film su questo tema, e neanke pensavo esistessero. la passione ke si tramuta in ossessione..questo è il vero tema, l'alcol è puramente contingente, anke se wilder descrive la "malattia" quasi da naturalista. da notare il valore positivo della donna, cosa ke non vedo di buon occhio.
"Giorni perduti" rimase per anni il mio film favorito: la prima volta che lo vidi ero solo un bambino, e difficilmente avrei potuto saperne qualcosa di un tema come quello dell'alcolismo. Wilder è straordinario perchè evoca la scissione operata dal soggetto. che nel suo tentativo di assolvere i suoi compiti di cittadino e uomo (principalmente aderire ai suoi sentimenti) vive sopraffatto dall'unica "passione" possibile, quella per la bottiglia. Ray Milland è a dir poco straordinario e inquietante: chissà quanta gente che ha condiviso come lui questo problema si sarà probabilmente rispecchiata... Le immagini (un vero saggio di abilità tecnica) dei malati in preda a delirium tremens sono memorabili e agghiaccianti, per pochi minuti Wilder Val Lewton e Tourneau sembrano la stessa persona...
Uno dei tanti filmoni di Billy Wilder prima della commedia, girato dopo "La fiamma del peccato" e prima delle commedie. Incredibile per l'epoca, è il solo e unico film vero sull'alcolismo, e il primo film vincitore a Cannes.