hugo cabret regia di Martin Scorsese USA 2011
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hugo cabret (2011)

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locandina del film HUGO CABRET

Titolo Originale: HUGO

RegiaMartin Scorsese

InterpretiChloe Moretz, Asa Butterfield, Sacha Baron Cohen, Ben Kingsley, Jude Law, Ray Winstone, Christopher Lee

Durata: h 2.07
NazionalitàUSA 2011
Genereavventura
Tratto dal libro "La straordinaria invenzione di Hugo Cabret" di Brian Selznick
Al cinema nel Febbraio 2012

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Trama del film Hugo cabret

Prende spunto dal racconto illustrato di oltre 500 pagine di David Selznick il nuovo film di Martin Scorsese. Il libro, vincitore del prestigioso Randolph Caldecott Medal nel 2008, illustra la storia di un orfano che vive nella stazione dei treni a Parigi intorno al 1930. Hugo ha 12 anni e per mantenersi è costretto a rubare e vivere nell'anonimato. Quando però conosce una ragazza eccentrica e il proprietario di un negozio di giocattoli molto speciale, il suo mondo entra in pericolo e si ritrova a fare i conti con un uomo meccanico, chiavi rubate e disegni misteriosi. Tutto questo è più che comprensibile se il proprietario del negozio di giocattoli è George Méliès.

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Voto Visitatori:   6,89 / 10 (174 voti)6,89Grafico
Voto Recensore:   6,00 / 10  6,00
Migliore fotografia (Robert Richardson)Migliore scenografia (Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo)Miglior sonoroMiglior montaggio sonoro (Philip Stockton, Eugene Gearty)Migliori effetti speciali (Rob Legato, Joss Williams, Ben Grossman, Alex Henning)
VINCITORE DI 5 PREMI OSCAR:
Migliore fotografia (Robert Richardson), Migliore scenografia (Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo), Miglior sonoro, Miglior montaggio sonoro (Philip Stockton, Eugene Gearty), Migliori effetti speciali (Rob Legato, Joss Williams, Ben Grossman, Alex Henning)
Miglior regista (Martin Scorsese)
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior regista (Martin Scorsese)
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Voti e commenti su Hugo cabret, 174 opinioni inserite

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Invia una mail all'autore del commento lorenzo971  @  16/02/2012 23:59:27
   9 / 10
Accade talvolta che un regista riesca ad imprimere così bene la propria esperienza, il proprio pensiero, l'essenza delle proprie idee in una pellicola, che assistendo alle immagini proiettate sul telo cinematografico si riesca ad intravederne il volto. Concentrandosi per bene e sforzandosi un pò si potrebbe addirittura scorgere tra le file delle poltrone una figura vestita di scuro, occhi di un nero intenso contornati da enormi occhiali, che fissa, attento, ogni fotogramma, perso nei suoi pensieri, mentre cerca di capire come modificare le scene, come sistemare il set, come affrontare la prossima inquadratura da registrare, per far si che il pubblico apprezzi il suo lavoro. Che il pubblico capisca, senta, avverta i suoi pensieri, le sue parole dipinte sulla pellicola.
Con Hugo Cabret, Scorsese vuole lasciare un'impronta di se stesso, e lo fa girando un film insolito, distante dai lavori precedenti, congedando la violenza zampillante propria dei sui vecchi successi e narrandoci la storia di un bambino. Partendo dal romanzo per ragazzi di Brian Selznick, il regista plasma una Parigi da sogno, ricca di luci sfavillanti, che nasconde al suo interno bui vicoli ghiacciati, cosparsi di figure tetre, statue grottesche avvolte nei mantelli, rifugio perfetto per i segreti di un passato misterioso, caduto in un oblio forzato. Hugo, il piccolo orologiaio orfano che si nasconde tra i fumi dei cunicoli dimenticati della Gare de Lyon, la celebre stazione francese, vuole a tutti i costi scoprire l'ultimo messaggio lasciatogli dal padre: per farlo dovrà riparare un automa meccanico, un complicatissimo carillon dalle sembianze umane, in grado di scrivere. Inseguendo l'enigma si imbatterà in personaggi singolari, ci svelerà le loro storie fatte di sogni infranti e speranze smarrite, e incrocerà il proprio destino con i loro, danzando tra le onde di eventi lontani, accompagnato da inquiete note nostalgiche.
E' proprio tramite i colori della nostalgia che Scorsese tratteggia un grandioso tributo al cinema delle origini e ai suoi ideatori, gli "inventori di sogni". Rievoca le prime opere, fenomeni culturali ed illusioni, frutto di immensa meraviglia e figlie di quell'innovativo, stravagante e travolgente (vedi il treno dei Lumière) mezzo di espressione. Racconta di quei maghi-scienziati che per primi credettero nella settima arte, investirono i propri sogni nelle "lanterne magiche", i proiettori dell'epoca, sperimentarono gli archetipi dei moderni "effetti speciali" utilizzando bambole di cartone, manichini meccanici, marionette, con le tinte stravaganti e kitch dei fotogrammi colorati a mano (uno per uno). Ombre bizzarre e ridicole, ma dall'enorme potenza evocatrice, rese autentiche dalla fantasia creatrice dello spettatore, vero regista, la cui mente usciva arricchita dai cinema, rinvigorita nella propria capacità di immaginare.
La critica inevitabile al cinema odierno che sposa tecnica e pixel dando le spalle all'originalità è scontata e banale, e può essere omessa.
La nostalgia del passato è infatti ovvia e legittima, (basti pensare al successo di "The Artist" che simula riprese di cinquanta anni fa), ma più che rimpiangerlo, come dimostrerà il vecchio Georges alias Scorsese nel film, è bene onorarlo e celebrarlo, come spunto per le invenzioni future, che sono motore del progresso ma anche nuove possibilità di espressione, una forma d'arte generata dall'arte stessa.
C'è poi la Realtà, che in questa nebulosa di emozioni e vaghe reminescenze cola da tutte le parti, gelida, squarciando l'intreccio. La realtà della solitudine, della miseria, della morte e dell'assenza, che annienta l'illusione ammorbando ogni speranza. ll mondo e i suoi abitanti si scoprono ingranaggio (vedi l'incubo del ragazzo), burattini tristi assillati dalla mancanza di normalità, tormentati da deformità e da difetti che gli impediscono di vivere con gli altri, assediati da domande esistenziali e dallo stomaco che domanda cibo. Uno sconfinato senso di abbandono sembra intrinseco ad ognuno, che si scopre debole, vuoto, ombra rigonfia di lagrime. Rotto, in una sola parola, come il misterioso automa meccanico al centro del racconto, vera chiave di volta per la comprensione del film e sostegno del suo impianto filosofico. L'automa messaggero del futuro, testimone del passato, padre, figlio, umanità. L'automa rotto che va riparato. Ed è sulla dicotomia tra guasto e riparazione che il regista vuole farci riflettere: la tenacia nel voler rimediare e la possibilità di aggiustare costituiscono le uniche componenti della luce positiva che affiora da uno sfondo tetro, quelle che appaiono come l'unica facoltà dell'uomo. Nel cataclisma della tempesta più nera egli non può far altro che cercare nelle tasche un cacciavite e pregare di trovarlo e di saperlo usare, per far si di raggiungere l'obbiettivo fondamentale per ritrovare la pace: scoprire il suo scopo. E se non c'è, inventarlo magari, con le rotelle di scarto di qualche sogno arrugginito. A questo punto diventa inutile chiederci se siamo congegno oppure umani, la domanda centrale diventa: cosa facciamo? Per cosa siamo progettati? Perchè secondo il protagonista le macchine nascono con una certa funzione, e la svolgono, molto bene, sempre che non si danneggino.
Se la fantasia offre una via di evasione, una deformazione positiva del reale che irrompe nel dominio dell'inesistente, costruire, ma soprattutto ricostruire consente invece di modificare la realtà nella sua concretezza. Anche se non è facile, anche se il fallimento è dietro ogni angolo, anche se dovesse portare altro dolore, è l'unico modo di farlo: riedificare dalle macerie, che provengano da una guerra o che siano i frammenti di una famiglia.
Accade spesso che la delusione prenda il sopravvento. Ci si stanca, spossati dalla fatica, di riunire i pezzi, di opporsi alla decadenza, e allora ogni grandiosa aprirazione finisce, liquefatta, sotto le suole delle scarpe. La disfatta sembra dunque certa, come afferma l'anziano costruttore di giocattoli della stazione: "Se c'è una cosa che ho imparato è che i finali lieti esistono solo nei film". Vero. Ma allora la soluzione è unica. Cercare di amalgamare vita e film, permettendo alla proiezione di sovrapporsi alla nostra storia. Mescolando finzione e realtà, permettendo al fantastico di permeare il tessuto spazio-tempo di tutti i giorni, togliersi gli occhialetti di cartone e continuare a vedere in tre dimensioni. Questa è la via di uscita che imbocca anche il film: i racconti riemergono dal silenzio dei ricordi confusi e si scoprono concreti, i sogni imbrattano la realtà e l'avventura dei protagonisti diventa romanzo. Si rivela dunque un ponte sopra l'abisso.
A volte. Ma più spesso di quanto sembrerebbe.
Non è facile determinare se il messaggio del film sia positivo o negativo. Lungi dal negare il male dilagante in un mondo illuminato da luci artificiali in cui alberga la disperazione, lo evidenzia in tutta la sua tragicità. I rimedi, per quanto potenti, sono tutt'altro che infallibili, basti pensare alle storie tristi di cui è costellata la filmografia di Scorsese.
Quello che il regista offre questa volta però, ciò che vuole lasciarci, è l'evidenza di una possibilità. L'opportunità di inseguire un'alternativa al reale che delude. Afferrabile, materiale, tangibile. Montabile.

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