il diritto di uccidere regia di Nicholas Ray USA 1950
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il diritto di uccidere (1950)

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locandina del film IL DIRITTO DI UCCIDERE

Titolo Originale: IN A LONELY PLACE

RegiaNicholas Ray

InterpretiHumphrey Bogart, Gloria Grahame, Frank Lovejoy, Carl Benton Reid

Durata: h 1.31
NazionalitàUSA 1950
Generedrammatico
Al cinema nell'Agosto 1950

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Trama del film Il diritto di uccidere

Dixon Steele, sceneggiatore hollywoodiano e reduce della Seconda guerra mondiale, è soggetto a improvvisi scoppi di violenza. L'uomo viene sospettato di avere ucciso una ragazza, ma viene discolpato da una vicina di casa che si prende una cotta per lui. La loro relazione viene compromessa dal dubbio che l'uomo sia un vero assassino.

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Voto Visitatori:   8,45 / 10 (29 voti)8,45Grafico
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Voti e commenti su Il diritto di uccidere, 29 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

steven23  @  05/04/2014 20:59:01
   9½ / 10
Piccola parentesi!
"In a lonely place"... prima del film è già il titolo ad essere splendido. Poi ecco quello in italiano: "Il diritto di uccidere". Solo una domanda... perché? Non centra nulla con quello originale e non centra nulla con la pellicola. Per non parlare dell'altro titolo: "Paura senza perchè". Se possibile ancor più stupido del primo.

Presenti SPOILER

Chiusa la parentesi passiamo al film. In una sola parola direi eccezionale, così come sublime risulta la coppia protagonista.
Il film è eccezionale per svariati motivi, non ultimo la capacità del regista di abbracciare e alternare vari generi durante lo svolgimento senza, però, regalare alcun passaggio forzato. Il tutto avviene con grande naturalezza. La prima mezz'ora o meglio, fino all'uccisione della guardarobiera, il film sembrerebbe quasi una commedia... i toni dei dialoghi (in particolare con la stessa ragazza) e le musiche sembrano confermarlo. Poi tutto cambia e ci si ritrova catapultati in quello che parrebbe essere un giallo morboso, forse un noir. C'è il presunto assassino, c'è la presunta dark lady. Ma le carte in tavola cambiano ancora quando la caratterizzazione della coppia protagonista diviene più approfondita. I canoni del noir vengono così stravolti e la pellicola assume toni estremamente drammatici alternati da passaggi decisamente più leggeri e, perchè no, romantici... ed è proprio quest'ultima alternanza che ho trovato straordinaria nella sua naturalezza.
Altro punto a favore del film è la regia di Ray la quale, aiutata da una fotografia impeccabile, regala alcune sequenze davvero da manuale. Basti pensare alla similitudine tra due delle scene più intense del film, quella in cui Steele chiede all'amico di emulare l'omicidio con la sua fidanzata e quella in cui tenta di uccidere la sua futura moglie. In entrambe viene data enorme importanza agli occhi di Steele, i quali sembrano persino apparire in maggior risalto rispetto al resto del corpo, quasi a evidenziare la follia che cova dentro l'uomo.
Interessante anche il fatto di utilizzare la violenza quasi come espressione della propria sofferenza interiore e di punirla sul finale con la privazione di quanto più caro Steele avesse.
E il finale è semplicemente meraviglioso!

Ho lasciato per ultimo il cast. Senza dimenticare Smith e Lovejoy, entrambi più che buoni, l'attenzione non può che essere catturata dai due protagonisti. Bogart regala quella che, per quanto mi riguarda, rimane fin'ora la sua migliore interpretazione; le sfaccettature del suo personaggio sono molteplici e tutte rappresentate con estrema maestria: passa dall'essere uomo violento e deviato a dolce e romantico in una maniera assolutamente incredibile, per non parlare della rassegnazione che lo sommerge nel finale. Fantastico!
La Grahame, però, non è da meno. Perfetta nell'apparente dark lady, perfetta nel ruolo di donna innamorata persa e perfetta quando il dubbio che Steele possa essere l'assassino inizia a tormentarla. E pensare che non doveva nemmeno esserci lei, bensì la Bacall, sostituita poi per motivi di mercato. Dubito avrebbe potuto fare di meglio. Tra l'altro essere diretta dal proprio marito mentre si è in procinto di divorziare non fa altro che aumentare ancor di più il valore della sua prova.
Insomma, penso di aver detto tutto ciò che avevo da dire. Film capolavoro. Punto!

"Sono nato quanto mi hai baciato. Sono morto quando mi hai lasciato. Ho vissuto per qualche settimana mentre mi hai amato."

7 risposte al commento
Ultima risposta 07/04/2014 14.10.25
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Gruppo REDAZIONE K.S.T.D.E.D.  @  18/10/2007 18:19:07
   8 / 10
Il 1950, anno d’uscita di questa pellicola, è di per sé già alquanto significativo in quanto rappresenta il confine temporale che separa noir e poliziesco(o, più in generale, un giallo dalle tinte drammatiche, come nel caso in specie). Fra i vari aspetti che separano i due generi, infatti, vi è anche, e soprattutto, il diverso approfondimento psicologico del protagonista che da risoluto, arguto e cinico (ruolo tipicamente ricoperto dallo stesso Bogart in precedenza) diviene risoluto, arguto ma anche umano, molto più umano. Si scava così nelle debolezze del personaggio, quelle debolezze che lo allontanano un po’ dal mito e lo avvicinano sempre più all’uomo comune.
Dixon Steel, infatti, inizialmente viene descritto secondo i tratti più comuni, quelli espressi sopra appunto, dell’uomo, se così si può dire, da noir e anche Laurel Gray entra in scena come l’altrettanto tipica dark lady misteriosa e affascinante; con l’andare del film, però, i sentimenti fra i due prendono piede e acquistano le caratteristiche di un amore assolutamente convenzionale dove Dixon e Laurel non sono che una coppia come tante altre (nel noir, invece, gli amori sono quasi sempre impossibili, incredibilmente passionali e si muovono tra cadaveri, segreti e tentati omicidi). La bellezza di questa pellicola sta proprio qui, ossia nel riuscire a raccogliere idealmente il testimone e approndirlo da un punto di vista differente. E’ così che le incertezze del protagonista assumono un ruolo primario e mettono in luce il lato più debole di colui che inizialmente bruciava l’interlocutore con un paio di battute dall’ironia sottile; è così che la darl lady si trasforma in una semplice donna innamorata che soffre con sincerità per l’uomo che ama.
Tale caratterizzazione psicologica, ovviamente, si poggia anche sulle interpretazioni impeccabili di Bogart(che quindi lascia il segno anche nel genere successivo a quello che, si può dire, fu suo) e della Grahame che effettivamente, oltre ad essere brava, era stupenda. E’ importante e giusto sottolineare anche l’ottima prova degli altri attori, Smith su tutti.

Benché questo “In a Lonely Place”, quindi, non sia assolutamente il tipico poliziesco anni ’50, rappresenta comunque una tappa importante almeno per quanto riguarda il cambiamento forse più significativo che differenzia le pellicole anni ’40 da quelle della decade precedente. Quindi, va vista.

1 risposta al commento
Ultima risposta 20/10/2007 19.09.39
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