Dorian Gray, giovane e bello, vive un'esistenza sregolata. Ama contemplare un suo ritratto e si accorge che, con il passare del tempo, l'espressione del volto nel quadro si fa dapprima più dura e poi sempre più orribile. Quando si innamora della bella Gladys e sa di esserne indegno, in un accesso di rabbia pugnala il quadro: muore, mentre il ritratto torna ai suoi tratti iniziali.
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Ottimo e fedele addattamento del celebre romanzo di Oscar Wilde, decisamente riuscito sia per la scelta degli interpreti, sia per la capacità di filtrare nel grande schermo il narcisismo sopra le righe dello scrittore inglese (per inciso: amato e/o detestato). Lewin ne fa quasi un noir sociale, dimostrando a modo suo l'influenza esercitata da autori come Jacques Tourneau. Interessante tutta l'ultima parte, il resoconto della sregolatezza di Dorian illustra efficacemente la decadenza di un Patto Impossibile con la giovinezza e la bellezza. Unico neo, l'attore protagonista, incisivo ma ben poco carismatico