Un giovane instabile s'innamora di un'ausiliaria militare americana dopo uno sguardo. Un anno dopo si trasferisce nel Midwest americano, accanto alla casa dell'anziana madre dell'ausiliaria, separate da un orto cupo con urla misteriose.
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Se vogliamo vedere a livello narrativo il film di Avati è un insieme di forzature ed incongruenze che, ad un certo punto della visione, non me ne importava più nulla, come se il regista stesso non dia peso a quello che sta raccontando. Il protagonista stesso, dal passato mai palesato in maniera evidente nel film, sappiamo soltanto che è stato ricoverato per due anni in manicomio perché confondeva la realtà con l'immaginario, che in fondo si sposa bene con il tono del film: instabile come la sua salute mentale. L'orto americano quindi sembra un contenitore del cinema di Avati, molto legato al ricordo ed alla memoria con la sua anima gotica che riecheggia continuamente nei suoi paesaggi della bassa padana ferrarese. Il bianco e nero della fotografia sposa bene questo tipo di impostazione che rende tali paesaggi più cupi e minacciosi alla pari con i personaggi. Folgorato dalla visione angelica di questa ausiliaria americana il protagonista idealizza questa figura per poi scoprire, anche in America, rapporti familiari malsani e lacerati come in Italia. A mio parere non è il miglior film di Avati, tuttavia è stato un po' troppo bistrattato da critica e pubblico. E' un film che vive quasi esclusivamente di suggestioni, rispetto all'elemento puramente narrativo.
Per la promozione di libro e film, Avati ha rilasciato un paio d'interviste al Corsera e una terza più riassuntiva al Messaggero. A Cazzullo ha raccontato d'un "Palinsesto per un rosario dei miei morti": "Sul computer ho una lista di 250 nomi di persone care che mi hanno lasciato: la sera li leggo tutti, li evoco, e li sento venire per aiutarmi a superare le mie angosce. Ora ho aggiunto Burt Young e Sergio Staino. Ho suggerito lo stesso metodo a Francesca Fagnani - sono amico suo e di Enrico Mentana -, e la sera dopo mi ha chiamato: 'Lo sai Pupi che funziona?'" (https://web.archive.org/web/20231029064736/https://www.corriere.it/cronache/23_ottobre_29/pupi-avati-intervista-08a8af54-75cc-11ee-a16a-b8665192755e.shtml). Poi con Polito ha aggiunto che di fianco al letto ha pure "la via degli Angeli", "una parete e mezza - ricoperta delle fotine di un paio di centinaia di 'cari defunti', proprio come in un cimitero: una specie di 'Spoon River' di tutte le persone scomparse che lui ha amato o che ha sentito vicine. «La notte aspetto che mi vengano a trovare, e comunico con loro»." (https://web.archive.org/web/20241116113057/https://www.corriere.it/sette/24_novembre_16/pupi-avati-intervista-0e51d0f5-b078-490c-9553-40a9f917bxlk.shtml). Parla d'entrambi qui: https://web.archive.org/web/20250312110410/https://www.ilmessaggero.it/spettacoli/cinema/2025_03_05_l_interrogazione_pupi_avati-8698109.html. E svela che la mestizia di cui è intrisa "Una gita scolastica" ('83) aveva già la medesima origine. Da Nik Novecento a Tiziana Pini, dall'Hitch B/N di "Psyc[h]o" all'autobiografico, da Kafka a "M" di Lang e Cronenberg, Avati prov'a spiegare questo film d'un democristiano "cattolico junghiano" (?) ch'andò a casa di Pasolini in via Eufrate 9 all'Eur per farsi spiegare come mai lo script di "Salò" non gli fosse piaciuto. "Concilia gotico e romantico, generi coi quali ci siamo abituati a definire il cinema di Tim Burton" (Paola Dei), o l'"American Gothic" di Grant Wood (Mariarosa Mancuso), o il suo "gotico padano", il demoniaco lirismo greco d'Archiloco e Bacchilide e il Dante sadiano e sadico. Apprezzato da chi lo giudica la summa dei 43 capitoli della sua opera cinematografica, m'associo a quanti hanno criticato il susseguirsi d'"incongruenze narrative e coincidenze assurde e bislacche, come se al regista non importasse più di tanto la solidità logica del racconto e, d'altra parte, come s'evitasse anche di sfruttare il precario equilibrio mentale del protagonista per farci dubitare di ciò che vediamo e udiamo" (Roberto Chiesi). Però a mancare non è solo "la coesione strutturale d'una sceneggiatura che risulta piuttosto sfilacciata e sbrigativa" (Giorgio Amadori): nel 2024/5 ralenti, zoomate, certe inquadrature e stile di montaggio sono da fiction Raiset.
Sicuramente un miglioramento rispetto le ultime opere di Avati, con alcuni richiami a dei suoi precedenti film noir di grande successo. Un po' lento all'inizio si riscatta nella parte finale
Film gradevole, ma di cui non si capisce dove sia la realtà oppure la fantasia (o le allucinazioni) del protagonista. Molto bella la fotografia, ma la sceneggiatura è piuttosto debole.
film noir con una trama anche interessante.. ma deboluccio.. vuole ispirarsi a hitchcok ma nemmeno l'ombra del suo mordente ed emozione.. una quasi horror dark padano