lo stato delle cose regia di Wim Wenders Germania 1982
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lo stato delle cose (1982)

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locandina del film LO STATO DELLE COSE

Titolo Originale: DER STAND DER DINGE

RegiaWim Wenders

InterpretiPatrick Bauchau, Viva Auder, Samuel Fuller, Allen Goorwitz, Paul Getty III

Durata: h 2.00
NazionalitàGermania 1982
Generedrammatico
Al cinema nel Novembre 1982

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Trama del film Lo stato delle cose

Un gruppo di persone, vestite con tute e con il volto coperto, sta avanzando in una regione deserta fino al mare. Sono comparse di un film di fantascienza. L'operatore comunica al regista di essere rimasto senza pellicola: la lavorazione si ferma. La troupe è alloggiata in un cadente albergo sulla riva dell'oceano, in Portogallo. Il regista Fritz tenta di mettersi in contatto con il produttore a Los Angeles e, non trovandolo, parte alla volta della città americana.

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Voto Visitatori:   7,75 / 10 (6 voti)7,75Grafico
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Voti e commenti su Lo stato delle cose, 6 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

DarkRareMirko  @  30/03/2015 01:16:19
   8½ / 10
Tecnicamente ineccepibile, con una fotografia maestosa ed un bianco e nero eccellente, il film, come spesso accade per Wenders, è registicamente al top (e la sua mano si sente eccome).

In parte condivido però certe critiche lette in rete, che lo accusano di aver fatto certe scene in modo poco chiaro, difficile da seguire, e a volte anche in modo da lasciarle fini a loro stesse; insomma, a livello di script, dialoghi, ecc., è un film impegnativo.

Metacinematografico, riflessivo, anomalo, critico, deve qualcosa a Fassbinder e a Truffaut e, oltre che di cinema, parla anche di noia.

Un film quasi ottimo (e potrei anche mettere 9 volendo), formale e complicato, che abbisognerebbe di più visioni e che vede un finale spiazzante e quasi similsnuff.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  25/08/2012 14:01:46
   7 / 10
Lo stato delle cose è un film molto personale che muovendo da un canovaccio usato in precedenza da Fassbinder nella ******* santa con una troupe smarrita e un film interrotto bruscamente, trasferisce parte della frustrazione personale di Wenders per la lavorazione sofferta di Hammett. La fotografia in bianco e nero offre inoltre un contesto irreale e alienante in cui i personaggi smarriscono la loro identità e la loro funzione.
Pur nella sua complessità a volte anche irritante, uno dei nodi focali è l'incompatibilità tra due modi, americano ed europeo, di concepire il cinema. Un'incompatibilità insanabile tra autore e industria cinematografica.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  24/02/2010 22:08:34
   7 / 10
Riflessione di Wenders sul Cinema e sul tempo,in verità ci sono sequenze straordinarie (poche) alternate ad altre (troppe) che sanno di tanta tecnica fine a sè stessa e vuota.
Splendida la fotografia e i rimandi metacinematografici in cui Wenders strizza l'occhio alla pellicola stessa. La storia procede lentamente,nel vuoto e nelle vite in cui si ritrova la troupe cinematografica che ha dovuto interrompere le riprese del suo film.
Lo stato delle cose è pesante e difficile,dura 2 ore ma non è semplicissimo da vedere,tutt'altro. è il terzo film di Wenders che visiono e devo dire che è abbastanza pesante anche per i suoi standard.
Belle le musiche di quest'opera sui film e sulla difficoltà e la vita dietro ad un film,oltre che basato sulle esperienze biografiche di Wenders.
Un pò deluso lo sono,in effetti,ma è stilisticamente virtuoso ed ineccepibile,purtroppo a volte si rimane perplessi a pensare su cosa ci sia dietro alcune cose se non virtuosismi fini a sè stessi.

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  29/06/2008 22:49:22
   8 / 10
Interessantissima riflessione sul cinema, sull’arte in generale nonché sull’esistenza dell’uomo.
Wim Wenders, raccontando la storia di una troupe che, nel bel mezzo delle riprese di un film i fantascienza (che sembra rivelare i germi della futura opera del regista tedesco “fino alla fine del mondo”), è costretta ad arrestarsi a causa dell’esaurimento della pellicola, mette in scena il gioco perverso che sta alla base della produzione cinematografica, dove tutto si regge sulla logica della “sub-ordinazione”: gli attori, lo sceneggiatore e il regista dipendono tutti dal produttore che, a sua volta, è costretto a mettersi nelle mani di loschi finanziatori-speculatori. Al di sopra di tutto incombe il Dio Denaro, del quale ciascuno è succube e al quale ciascuno è coattivamente legato per portare avanti e realizzare i propri progetti.
L’interruzione della lavorazione del film determina una dimensione di sospensione, una sorta di limbo nel quale ciascun elemento della troupe, astratto dalla frenesia del quotidiano, si ritrova a riflettere sullo “stato delle cose”, percependo il non-senso della “non-vita routinaria” a cui si contrappone la bellezza della natura che, colta nei chiaro-scuri da cui è informata, sembra costituire il ribaltamento della “visone del mondo”. E’ come se il tempo stesso si fosse fermato, ma in realtà il clima di sospensione non è altro che il riflesso del concetto di ciclicità dell’esistenza reso figurativamente dalla “location”: una cittadina portoghese dominata dalla vastità del mare simbolo dell’infinito.
Agli antipodi del placido, e quasi mistico, scenario lusitano si pone la realtà della metropoli americana della celluloide: Los Angeles. Questa è rappresentata nell’alveo dello stridente contrasto su cui si fonda il “menzognero” American Dream: allo scenario fulgido e sfavillante della città degli angeli colta nel chiarore del giorno, nel quale si stagliano rilucenti e specchiati grattacieli, fanno da contraltare le immagini notturne della stessa che, simultaneamente al disvelamento dell’arcano che stava dietro la “scomparsa” del produttore, contribuiscono a far luce sulle logiche amorali e spietate su cui si impernia il mondo degli affari. La rincorsa al denaro ed al profitti finisce per influenzare anche il mondo dell’arte, mortificandola a degradandola a infima merce di scambio. All’estro ed alla capacità di improvvisazione del regista, che è l’essenza e la vita stessa della sua arte, si sostituisce l’”oggetto-soggetto” commerciale-commercializzabile che decreta la morte della sua tensione artistica (“il soggetto è morte”). Anche l’ultimo tentativo disperato di dare vita a qualcosa di vivo e improvvisato, riprendendo la morte nel suo contestuale compimento, sarà neutralizzato dall’azione dei finaziatori malavitosi: e la morte dell’arte coinciderà con la morte dell’artista.
“Lo stato delle cose” è un film complesso e pregnante, che tuttavia indulge in talune lungaggini tipiche del cinema di Wenders. Ma la sequenza finale –credetemi- costituisce uno dei momenti più alti e geniali di tutta la cinematografia mondiale.

addicted  @  26/10/2007 18:32:05
   8½ / 10
Wenders è discontinuo. Alterna grandi film a cose indigeribili.
"lo stato delle cose" è il suo volto migliore.
Un film che parla di cinema con grande acume ed originalità.
E' un apologo estremo, ma dai contenuti validi e condivisibili.
Affascinante l'ambientazione portoghese, che tornerà (amplificata) in "Lisbon story".
Bello.

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Gruppo COLLABORATORI bungle77  @  10/01/2006 12:37:54
   7½ / 10
Film cervellotico di Wenders sul cinema, a tratti troppo dispersivo a tratti geniale... Wenders è cosi prendere o lasciare...

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