nemico pubblico regia di Michael Mann USA 2009
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nemico pubblico (2009)

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locandina del film NEMICO PUBBLICO

Titolo Originale: PUBLIC ENEMIES

RegiaMichael Mann

InterpretiJohnny Depp, Christian Bale, Marion Cotillard, Channing Tatum, Billy Crudup, David Wenham, Giovanni Ribisi, Rory Cochrane, Lili Taylor, Stephen Dorff, Shawn Hatosy, Stephen Lang, Stephen Graham, Matt Craven, Branka Katic, Christian Stolte, Jason Clarke

Durata: h 2.23
NazionalitàUSA 2009
Generedrammatico
Al cinema nel Novembre 2009

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Trama del film Nemico pubblico

Il film racconta la storia del mitico fuorilegge dell'epoca della Grande Depressione Economica Americana, John Dillinger - il carismatico rapinatore di banche - reso dai suoi raid lampo l'obiettivo principale del migliore agente dell'FBI dei tempi di J. Edgar Hoover, Melvin Purvis, e divenuto una sorta di eroe popolare agli occhi degli americani di quel periodo.

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Voto Visitatori:   6,32 / 10 (236 voti)6,32Grafico
Voto Recensore:   7,50 / 10  7,50
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Voti e commenti su Nemico pubblico, 236 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

LoSpaccone  @  10/11/2009 17:37:51
   9½ / 10
Sono esterrefatto dalla media ignobile di questo che secondo me è l’assoluto capolavoro di Mann, un’opera che rasenta la perfezione da qualsiasi parte la si voglia vedere. Il regista non tradisce ne il suo stile né i temi a lui più cari e apparentemente contrastanti tra loro (fatalismo e umanesimo) anzi, li fonde come mai aveva fatto prima e li sublima in un affresco che riesce ad essere riflessione su un percorso individuale e allo stesso tempo sulla natura dell’uomo in generale (un biopic dell’essere umano, più che di Dillinger), che non si perde in un facile didascalismo o in un ritrattismo di facciata, trovando quella dimensione narrativa che definisce l’opera d’arte come tale. Mann annienta la consueta distinzione tra realtà e mito in un racconto avvincente e sensorialmente estenuante in cui mitizzazione e romanticismo diventano una questione di pura forma (era ora! E quelli che osannano Leone e stroncano questo film dovrebbero capirlo) e non dati in pasto al sensazionalismo di qualche sceneggiatura che cerca di accattivarsi lo spettatore con l’azione fine a sé stessa o di propinare lezioncine moralistiche. Viene smitizzato il personaggio Dillinger, ma mitizzato l’uomo: eroe non è chi compie gesta mirabolanti, magari rese tali perché filtrate dalla forza evocativa dei media o dello scorrere del tempo; eroe è l’uomo che va incontro al proprio destino consapevole dei propri istinti e delle proprie debolezze, e che nonostante ciò vive pienamente la vita che si dà, senza tradire le proprie scelte (un destino auto-definito). Come a dire: non esistono gli eroi, esistono Uomini e uomini. E l’eroismo è solo un modo di interpretare questa differenza, il mito è un modo di raccontarla. Anche la lotta tra banditi e poliziotti non è improntata al personalismo, non induce all’immedesimazione, non distingue buoni e cattivi ma assume i toni di un racconto umano corale dal quale emergono sobriamente i due antagonisti, che guardano dentro sé stessi, riflettono sulla loro sorte, e noi con loro (esemplare la scena in cui Dillinger entra nel commissariato e rivive il suo passato come un normale spettatore).
Mann miscela magistralmente i diversi generi in una sorta di “cinema totale”, migliore anche del recente Tarantino, e soprattutto definisce alla perfezione i compiti da affidare alla forma e al contenuto. Una distinzione di ruoli sottile che si traduce nell'aderenza tra l'accuratezza della ricostruzione ambientale, la fedeltà alla cronaca e l’epicità e la magniloquenza di uno stile registico che, anche grazie alla fotografia e alle musiche (il blues di Otis Taylor sono tre giorni che mi ronza in testa), introietta il senso di disfatta della vicenda e conferisce alle singole scene, anche le più semplici, una potenza narrativa travolgente: ogni faccia, ogni luogo, ogni particolare (un disco che gira, una sigaretta accesa, una pistola pronta ad essere estratta, un semaforo rosso che diventa verde) diventa un film nel film. Uno stile che ingloba, rendendoli funzionali al racconto, anche quelli che potrebbero sembrare vezzi del regista o semplici concessioni all’enfatizzazione (fragorosità delle sparatorie, passaggi più rarefatti quasi rallentati) e che invece diventano un vero e proprio marchio di fabbrica di un modo di intendere il linguaggio cinematografico.
Tutto questo rende “Public enemies” uno dei migliori lavori del decennio.

8 risposte al commento
Ultima risposta 25/05/2010 22.48.45
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