professione: reporter regia di Michelangelo Antonioni Italia, Francia, Spagna 1974
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professione: reporter (1974)

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locandina del film PROFESSIONE: REPORTER

Titolo Originale: PROFESSIONE: REPORTER

RegiaMichelangelo Antonioni

InterpretiJack Nicholson, Maria Schneider, Jenny Rinacre, Ian Hendry

Durata: h 2.05
NazionalitàItalia, Francia, Spagna 1974
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 1974

•  Altri film di Michelangelo Antonioni

Trama del film Professione: reporter

David Locke, famoso reporter lanciatissimo nella professione ma ormai sazio e annoiato dalla vita, scopre un giorno l'opportunità di ricominciare tutto daccapo. Rinvenuto il cadavere di un uomo che gli somiglia, inscena una finta morte, assumendo la personalità del defunto. Il defunto era un trafficante d'armi che riforniva il movimento di ribellione a un piccolo dittatore africano...

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Voto Visitatori:   8,24 / 10 (36 voti)8,24Grafico
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Voti e commenti su Professione: reporter, 36 opinioni inserite

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Filman  @  20/08/2024 09:53:48
   8 / 10
PROFESSIONE: REPORTER simboleggia quella che sarebbe potuta essere una possibilità, per Michelangelo Antonioni ma non solo. Questo film ha, infatti, i connotati di un film di genere, forse uno spy movie o forse un thriller romantico, ma "rovinato" da dei tempi cinematografici laschi e da evoluzioni narrative anomale, tra il sogno e il post-mortem. Quindi questo film, sostanzialmente, poteva essere l'inizio di un compromesso, così tanto bramato, tra un cinema di riferimento americano e la cifra stilistica dell'autore. Una fase di carriera che, per il regista, muore qui, sul nascere.

The BluBus  @  21/04/2024 23:18:29
   7½ / 10
Antonioni non delude mai, Nicholson nemmeno.

Goldust  @  05/08/2021 11:59:15
   5 / 10
L'ho trovato abbastanza deludente. Nulla da dire sull'eleganza formale di Antonioni, sull'utilizzo degli spazi, dei luoghi, della luce. Ma alla fine mi è sembrato un lavoro invecchiato un pò male e che vista la sua conclamata lentezza mi ha per lunghi tratti annoiato.

Gruppo COLLABORATORI Compagneros  @  09/12/2018 01:14:44
   8 / 10
Una storia semplice, quasi banale nel ricalcare Pirandello, eppure è un grande film. Antonioni, dirigendo un grandissimo Jack Nicholson, offre un ritratto di un uomo in fuga da tutto, da sé stesso e, forse, dal mondo intero, una fuga dalla vita. Memorabile il piano sequenza finale.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  20/09/2018 03:43:56
   8 / 10
Capolavoro della maturità di Antonioni anche se visivamente più bello dello stesso script. Nicholson immenso, cambia dimensione e si percepisce lo sforzo di adattarsi a una performance "diversa"

Thorondir  @  10/01/2018 12:33:11
   7½ / 10
Con il suo solito stile asettico, classico, ma mai banale (vedere per credere l'ultimo strabiliante piano sequenza) Antonioni racconta di nuovo l'incomunicabilità e soprattutto la volontà di fuggire, di lasciarsi alle spalle il passato, di sfuggire al presente e non di indagarlo (come accadeva in Blow Up). Fotografia minimal molto accesa, silenzi, campi larghi, movimento nella stasi. Antoniono fa grande cinema, ciò che rifugge è l'intrattenimento. Professione. reporter è tutto tranne che un film facile.

DogDayAfternoon  @  21/12/2014 21:08:48
   5½ / 10
I silenzi interminabili e la lentezza estenuante non mi hanno fatto apprezzare a dovere il film di Antonioni. La storia è anche interessante, ma visti i numerosi momenti di noia è molto facile perdere il filo degli avvenimenti. Jack Nicholson il solito grande attore, ma non basta. Altrettanto ottima la regia, ma non basta nemmeno quella.

Oggettivamente è un film ampiamente sufficiente, ma non mi è proprio piaciuto.

_Hollow_  @  04/12/2014 13:14:26
   10 / 10
Semplicemente storia del Cinema. La fotografia, i tempi morti dedicati alla riflessione, i dialoghi, la storia del cieco ... ma soprattutto, tra i tanti magnifici movimenti di macchina, quel piano-sequenza finale tra i più memorabili di sempre: MdP che si disinteressa del protagonista in un momento per lui decisivo, carrellata millimetrica in avanti fino a raggiungere le sbarre della finestra da cui assistiamo ai movimenti nella piazza; da lì si seguono i movimenti delle due donne e dei poliziotti verso il luogo da cui la MdP s'era allontanata.
Spoiler.
Camera lenta e senza stacchi a simboleggiare la calma con cui si affronta la morte che sopraggiunge. Camera che simboleggia quasi l'anima del protagonista, il distacco dal corpo e l'assimilazione delle ultime immagini e rumori del mondo intorno a lui, da cui si sta separando.

"Lo riconosce?"
"Non l'ho mai conosciuto."

"Lo riconosce?"
"Si."

Segue ultima scena, inquadratura sull'hotel e sul tramonto, con una delle poche musiche udibili nell'intero film.

Capolavoro.

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  27/02/2014 23:29:47
   7½ / 10
Cosa deve interessare quando si guarda un film? Nel caso di "Professione Reporter" e in genere in tutti i film di Antonioni ciò che conta è la vicenda interiore dei personaggi, i loro bilanci esistenziali. E' una materia prettamente intellettuali e che coinvolge in genere poche persone; per questo i film di Antonioni sono solitamente poco visti.
In "Professione Reporter" viene preso in considerazione il concetto di identità e realizzazione di se stessi. Alcuni critici cinematografici hanno paragonato la storia di David Locke a quella di Mattia Pascal. Entrambi insoddisfatti di se stessi e della propria vita, colgono l'occasione per presentarsi al mondo con un'identità diversa, nell'illusione di poter effettivamente vivere diversamente, in maniera più libera e nuova. Nei fatti si accorgono invece che il mondo è troppo complesso e non può essere ingannato così facilmente. Poi la propria essenza umana non la si può cambiare semplicemente assumendo un nuovo nome; il carattere debole e rinunciatario rimane il medesimo.
David Locke quindi si lascia trasportare passivamente dagli eventi anche nella sua nuova identità che lì per lì gli aveva dato l'illusione di rovesciare completamente il tipo di esistenza condotta e il suo significato. Il tutto finisce con una sconfitta e con la constatazione che conoscere veramente una persona (sia da parte del soggetto stesso che da parte degli altri) è impresa difficile o impossibile, soprattutto sono proprio le persone che più sono vicine che non conoscono che gli sta accanto.
Questo tema è svolto in maniera indiretta e suggerita, tramite brevi scene esemplari ed esplicative (i flashback, alcuni dialoghi) e lunghissime scene di vita vuota e routinaria (efficaci nel comunicare l'inutilità e lo smarrimento, dure da digerire per lo spettatore).
A confronto con i film dal "Grido" a "Deserto Rosso" qui c'è più distacco e freddezza (negli altri film c'era più pathos e sofferenza sentita). La storia di David Locke è più schematica e non "prende" come le storie della serie Grido-Deserto Rosso.
Poi qui Antonioni non rifiuta più in toto le convenzioni stilistiche dei film mainstream (come aveva fatto fino a "Blow Up" escluso). C'è la storia del traffico d'armi con tanto di torture ed esecuzioni, c'è la sottotrama delle ricerche (più concrete e fruttuose rispetto a "L'avventura") con tanto di coincidenze fortuite tipicamente filmiche (Locke che rientra in albergo proprio mentre la moglie stava telefonando, ecc.) e questo un po' stona con il tono filosofeggiante del film. In "Blow Up" Antonioni era riuscito molto bene a fondere convenzione cinematografica e riflessione filosofica, in "Professione reporter" gli riesce meno bene.
In ogni caso rimane sempre di altissimo livello l'abilità di Michelangelo Antonioni di muovere la macchina di presa (incredibile e bellissimo il lungo piano sequenza finale - da far invidia a Hitchcock), di dosare i piani di ripresa e curare un montaggio molto significativo.
Film molto bello da vedere, ma che mi ha lasciato un po' insoddisfatto.

7219415  @  07/01/2014 14:27:04
   7 / 10
Bel film anche se, a parer mio, un po' troppo lento

Oskarsson88  @  07/01/2014 11:59:18
   7½ / 10
Bello e introspettivo come tutti i film di Antonioni, anche se gli avvenimenti effettivi sono pochi, ma non ci stupisce. Molto bella anche la fotografia.

nevermind  @  01/01/2014 23:53:36
   8 / 10
Fuga dal passato, fuga da ciò che ormai non appartiene più a Locke, neanche la sua vera identità.

Fantastico.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Freddy Krueger  @  28/06/2013 11:11:47
   8 / 10
Uno dei più celebri di Antonioni, complice il fatto che c'è Nicholson tra il cast, ma oltre a questo credo che sia proprio un bel film. Meditativo, attento ai dettagli e con il piano sequenza finale tra i più riusciti nella storia del Cinema, ancora adesso fa scuola.
A differenza di "Zabriskie Point", "Professione: Reporter" mi ha tenuto attento e incuriosito per tutta la durata. Bello, bello.

guidox  @  22/01/2011 18:54:55
   8½ / 10
film magistrale, sia a livello tecnico che concettuale, dove la splendida realizzazione è del tutto funzionale e legata a doppio filo alla tematica espressa.
Jack Nicholson si conferma interprete preziosissimo, vero valore aggiunto.
riflessione profonda sul senso della vita in relazione alla propria identità; provando a cambiare quest'ultima, cercando un altro io, il senso di insoddisfazione persiste e non ci abbandona, perchè non basta vestire i panni di qualcun altro per aver fortuna nella propria ricerca di trovare finalmente uno scopo.
la scena finale, capolavoro di stile, nel suo movimento circolare, è l'emblema del significato che si arriva esattemente laddove si era partiti.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  15/01/2011 17:18:07
   7½ / 10
Non è sufficiente sostituire una foto per annullare la propria identità. David Locke cerca di annullare la propria esistenza insoddisfatta assumendone un'altra, ma cambiare il proprio retaggio, cultura e formazione non è la stessa cosa. Ti rimangono dentro e si portano dietro creando le basi per nuove incompatibilità. E' una strada senza uscita.

-Uskebasi-  @  07/09/2010 14:56:11
   8½ / 10
Antonioni, un uomo che poteva fare un film con la sceneggiatura di 2 righe. E' la sua terza opera che vedo e sempre di più mi rendo conto della grandezza di questo regista. Giudicare un film di Antonioni è in realtà giudicare lui, la vicenda passa sempre in secondo piano sovrastata dalla sua mano inconfondibile. La cura dei particolari, delle inquadrature (fotografia strepitosa) e del ritmo, il ritmo quasi a tempo reale che solo i grandi possono fare senza annoiare. Meriterebbe sempre 10 ma devo cercare di giudicare ill film per tutti gli aspetti, sotto l'8.5 però non so andare neanche qui.
Non ho veramente parole per il piano-sequenza finale dell'albergo, mi vengono i brividi a pensarci.
Impossibile trovare un aggettivo che lo descriva meglio di "Maestro", semplicemente Il Maestro...

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Ultima risposta 07/09/2010 14.59.05
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR foxycleo  @  07/02/2010 13:02:40
   8 / 10
Terzo capitolo dell'esperienza americana di Antonioni "Professione Reporter" è un film imperdibile per chi ama questo regista. Un film pirandelliano, un film non di fuga ma di ricerca. Un film impegnativo con un Nicholson decisamente adatto ad esserne protagonista. Film pieno di punti da risolvere, di dubbi e di reticenze.
Assolutamente da vedere.

Tom24  @  01/09/2009 23:59:10
   8 / 10
Gran bel film di Antonioni, con una notevole vena artistica pur essendo di un estremo realismo. Straodinaria, epica la sequenza finale.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  12/07/2009 17:22:05
   8 / 10
Interessante questa mia prima vera esperienza Michelangelo Antonioni. Non conosco minimamente le tematiche di questo regista, sempre molto utili se non essenziali nell' inquadrare correttamente un film quando si parla di Cinema d' autore. "Professione: reporter" è la storia di un desiderio di cambiare la propria vita, e mi è sembrato comunque un' opera a cavallo tra il reale e l' irreale. La verità di un reportage e la ricostruzione del documentarista, lasciare un' identità "reale" per prenderne una che non è la propria. Come recita Nicholson nel finale circa la storia del cieco, Locke è un uomo che ha voluto vedere la vita con degli altri occhi, ma che ha realizzato che era meglio vederla con gli occhi di un fotoreporter, mestiere con cui la realtà la si può anche ricostruire a proprio piacimento. Il film è tecnicamente eccelso, non so spiegarmi il perché ma, anche se costruito completamente su lunghissimi piani-sequenza, le inquadrature di Antonioni hanno veramente qualcosa di diverso. Bellissima la fotografia, e agghiacciante il video dell' esecuzione, tanto "vero" da sembrare "irreale" vederlo. Scontato dirlo ma grandioso il piano-sequenza finale. La Schneider è strabona.

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Ultima risposta 13/07/2009 19.08.09
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  11/07/2009 08:00:57
   8½ / 10
Sensuale è il cinema d’Antonioni. Vacuo e misterioso l’alone che traversa ogni sua opera. E’ un ondeggiare d’immense dune. E’ un avvicendarsi di pazzesche e sinuose architetture. Un thriller senza movente. Un vagare senza meta. Un Nicholson indolente che sceglie un’identità tra le tante.
Ma è davvero una scelta casuale quella del reporter sperduto nel mezzo del deserto? E’ quell’uomo morto, che sembra attenderlo da tempo sdraiato su quel letto, dall’esistenza oscura, immischiato in enigmatici traffici, costretto alla fuga, quell’uomo che gli somiglia, davvero una persona reale?
La pigra indagine del film non lo spiega. Striscia flessuosa verso il finale; si stende nuovamente sul letto; s’assopisce; si lascia uccidere; si dissipa in quel lunghissimo piano-sequenza dal fascino infinito.

harry stoner  @  27/03/2009 00:36:33
   9½ / 10
Nicholson diretto dal maestro Antonioni.Che dire,siamo a livelli veramente eccelsi.Con il suo stile unico e inimitabile,il regista ferrarese narra la storia del reporter David Locke ed il suo fuggire dalla propria identita' per assumere quella di un uomo morto.Alcune scene magistrali fanno da preludio al lungo piano sequenza finale.La Schneider,reduce dallo "scandalo" dell'Ultimo Tango,fornisce una buona prova.

paride_86  @  08/12/2008 01:58:38
   7½ / 10
Il caso offre ad un uomo la possibilità di cambiare vita e identità.
Antonioni ci racconta la storia di una fuga da se stessi, dalla propria esistenza e dalle proprie abitudini, perché, come dice Nicholson all'inizio del film "le cose ci sembrano sempre uguali perché riproponiamo gli stessi codici e lo stesso modo di interpretarle". Ma si può davvero fuggire dal proprio essere? Il finale scioglierà il dubbio.
Molto suggestive le ambientazioni, anche se il film è piuttosto lento.

Invia una mail all'autore del commento Gualty  @  21/12/2007 03:09:39
   9½ / 10
" Da cosa stai fuggendo?
" Voltati... ".
Una lunga fuga dalla coerenza delle aspettative, il tentativo di abbracciare qualcosa di più vivo, di più libero. Senza le regole imposte dal giornalismo politicamente corretto, dalla società, da un matrimonio ormai spento. Inquadrature stupende, realizzazione superba, solo un pochino troppo arrancante. Ma è la lentezza di un film che non vuole svagare ma far riflettere.

suzuki71  @  13/12/2007 11:54:45
   10 / 10
Forse tra i film della maturità del maestro tra i più omogenei e lineari, è unostraordinario viaggio-disperaizone nella non identità, nella ricerca di fermare la corsa verso la morte alla continua scoperta della propria esistenza. La scena della inquadratura della camera finale con l'uscita della telecamera dalla finestra è un archetipo del cinema. Meraviglioso, come tutti i bei sogni.

Guy Picciotto  @  13/12/2007 11:24:11
   10 / 10
è secondo me il punto più alto della poetica di Antonioni, il suo approdo definitivo, oltre il quale non ci si poteva più buttare, ed infatti il cinema che contava di Antonioni si è fermato li. Estromettere il soggetto come ultima possibilità dell'ndividuo di ricostruirsi una nuova vita, ma viene stanato lo stesso non tanto dal sociale ma dal suo doppio che riemerge, Antonioni non spiega in effetti quell'ultima scena col cadavere di Nicholson riverso sul letto. Costruirsi una nuova identità per Antonioni non basta, è sopratutto l'uguale che bisogna contraffare e disintegrare, implicandone la dissomiglianza, nella dissomiglianza il doppio artaudiano non basta più, diventa solo un equivoco, votato all'auto(distruzione). L'idea rimane comunque grandiosa, farla finita con l'identità, col proprio D(io), ovvero la cosa che rende l'uomo uno schiavo e non un individuo libero, da se stesso prima di tutto, e dalla società di conseguenza. Ecco dove voleva andare a parare Antonioni, l’identità è qualcosa di cui sbarazzarsi, liberarsi, l'identità è intrattenimento dell’essere con se stesso, questo nella filosofia da Parmenide fino all 800, menomale non è così per Jung perché per lui l’identità è MERA FINZIONE, psicologicamente spiegabile si ma non giustificabile logicamente, per gli esistenzialisti e gli avanguardisti del 900 l’identità è VARIAZIONE CONTINUA NEL DIVENIRE, mi spiego? nei mistici invece c’è lo smarrimento, c’è l’estasi, la perdità proprio di qualunque identità, regalatela davvero l’identità, regalatela, io parlo chiaramente alla gente più giovane che di solito fa male a lasciarsi strumentalizzare da questi DOCENTI INDECENTI o pseudo filosofi o paratali, sono dei fax-simili guasti proprio, sono dereliti direbbe Cioran dell’artigianato di Dio.

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Ultima risposta 04/11/2008 13.26.54
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Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  20/09/2007 10:59:04
   9 / 10
STRAORDINARIA OPERA DI ANTONIONI. L'INSODDISFAZIONE PER LA PROPRIA ESISTENZA CHE PORTA ALLA PERDITA' DELL'IDENTITA'. LA VOGLIA DI RICOMINCIARE CHE SI SCONTRA CON L'IMPOSSIBILITA' DI VIVERE LIBERAMENTE. PER CERTI ASPETTI SEMBRA CHE IL REGISTI SI ISPIRI AL FU MATTIA PASCAL DI PIRANDELLO. CAPOLAVORO.

Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  12/09/2007 14:27:48
   8½ / 10
Ostico, ma meraviglioso.
Non è il mio preferito del Maestro (lo è Blow Up), ma rimane uno grandissimo esempio di Cinema.
Cinema che trae forza dal naturalismo (un'autentica galleria di paesaggi, quadri, culture e mondi) tipico del gusto estetico del regista per tratteggiare l'Essere Umano nel rapporto con il suo lavoro. il rapporto del soggetto con la sua professione è un'ovvietà? domanda retorica, ma necessaria. il lavoro è un'entità che plasma la nostra vita e per vita non intendo "tempo che passa", ma relazioni coniugali ed extra, amicizie, individualità, figli, soldi. quando poi il nostro lavoro è il reporter la strada prende una via molto esclusiva. il reporter predica una vita che non fa: predica Verità, ma lui non ne è partecipe, predica Storia, ma lui ne è solo un osservatore attento...insomma una vita passata a guardare da una vetrina. David Locke sfonda questa vetrina, anzi cerca di sfondarla lasciandosi tutto dietro e prendendo una nuova identità. lascia Passato e Futuro in mano a un ipotetico destino, queste due entità sono parallele alla sua vita, non sono presenze centrali che man mano non vediamo più, ma ci seguono sempre nel viaggio anche se cerchiamo di fuggirle.
alla fine ci avviciniamo dolcemente e quasi senza accorgecene (ma volendolo: "che ***** ci fai tu qui con me?" risponde David alla Schneider) a un nuovo destino che di nuovo ha in verità ben poco: è nuovo morire? è nuovo dunque morire su di un letto? d'infarto? mi sembra una sorte uguale a quella di Robertson per Locke. si scappa da ogni cosa e la Morte intesa quasi come alleviatrice dell'indolenza umana (quasi voluta quindi) ci irretisce (sequenza finale) dietro a sbarre dove al di là la Vita continua e con essa la Storia.

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Ultima risposta 13/09/2007 19.43.08
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quaker  @  10/09/2007 23:07:42
   9 / 10
Sebbene non sia all'altezza di Blow up rimane un film magistrale e bellissimo. I ritmi di Antonioni non sono certo quelli del film d'azione, ma consentono allo spettatore di riflettere su ciò che sta vedendo.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento mkmonti  @  05/09/2007 12:11:21
   9 / 10
Senza alcun dubbio l'ultimo capolavoro di Antonioni!Da scoprire per chi non lo avesse ancora visto e da rivedere e rivedere per chi lo abbia già consumato;Jack Nicholson in stato di grazie e una regia superlativa fanno della pellicola probabilmente una delle migliori degli anni '80.
Solo due scene spettacolari: Nicholsono finge di volare con la mdp che lo riprende dall'alto verso il basso sulla teleferica di Barcellona(sembra davvero un gabbiano!)e il lunghissimo piano sequenza finale...........Questa è STORIA DEL CINEMA all'ennesima potenza

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  22/03/2007 16:09:27
   6½ / 10
malgrado la storia del film sia bella e interessante e le tematiche siano affrontate in maniera ottima,la pellicola risulta troppo lenta!
sicuramente visto oggi perde un po del suo fascino,perche appare un po datato nel modo di fare!
l'unica pecca è la lentezza,per il resto è un buon film ma che non posso ritenere capolavoro...
p.s. all'inizio pensavo di trovarmi di fronte alla versione cinematografica del "fu mattia pascal"!

Mpo1  @  06/02/2007 01:00:06
   9 / 10
L’ultimo grande capolavoro di Antonioni. Terzo dei suoi film realizzati all’estero (dopo “Blow-Up” e “Zabriskie Point”), ritorna però alle tematiche di suoi film precedenti, come “Il Grido” e “L’Avventura”. Un film tecnicamente perfetto e profondo nei suoi contenuti.
Il protagonista è un reporter che, per fuggire dalla propria vita, assume l’identità di un uomo morto, solo per scoprire di essere ugualmente infelice e insoddisfatto.
Antonioni riesce a trasformare quella che sulla carta poteva essere una semplice storia poliziesca in una meditazione sulla sofferenza della vita, sull’impossibilità di comprendere la realtà e di cambiare la propria personalità, insieme con la propria identità. Assumendo l’identità del morto, il protagonista crede di poter dare un nuovo significato alla propria vita, non riuscendo a capire che, anche con un altro nome, lui rimane sempre la stessa persona. La solitudine dell’essere umano, l’impossibilità di trovare una ragione di vita, la tragicità e la mancanza di senso dell’esistenza (di qualunque esistenza), tutto ciò è chiaramente quello che Antonioni voleva descrivere con questa pellicola.
Da rilevare l’ultimo magnifico piano sequenza, con la macchina da presa che lascia il protagonista steso sul letto nella sua camera d’albergo ed esce lentamente attraverso la finestra, mostrandoci quello che accade fuori. Il senso di Antonioni per la composizione visiva è ai massimi livelli in questo film, creando sequenze che contrappongono il personaggio protagonista della scena con l’ambiente vuoto in cui si muove. Il vuoto del deserto africano e dei paesaggi spagnoli rispecchia il vuoto della nostra esistenza.
Straordinaria fotografia di Luciano Tovoli (lo stesso di “Suspiria”).

Invia una mail all'autore del commento emmepi8  @  16/01/2007 10:11:51
   9 / 10
Su scrittura di Mark Peploe, che ha collaborato alla sceneggiatura insieme al regista ed a Peter Wollen,ci si serve di una storia noir classica, per riproporre il male di vivere, di cui Antonioni è maestro. Non fu facile mettere iniseme il film, e si arrivò ad una cooproduzione proprio per la presenza di Nicholson (benché Ponti si è sempre vantato di questi films con Antonioni.. sappiamo quali erano le condizioni), e diciamo che fu l'ultima occasione vera del regista. Il film vinse a Cannes meritatamente; infatti qui Antonioni riesce ad esprimere tutta la sua filosofia della vita attraverso lo stratagemma del noir. Il suo sguardo documentaristico, sempre rivolto all'uomo attraverso il paesaggio, è straordinario, e la fotografia di Luciano Tovoli riesce in pieno ad essere determinante. Il fatto di servirsi dello stratagemma di cambiare personalità attraverso la vita di un altro, dare una svolta diversa al proprio io, e la risposta negativa che viene espressa, ci fa capire che la nostra vita non dipende dagli abiti, ma dal concetto di vita stesso che è impresso in noi. Da rammentare la lunga sequenza del prefinale atttraverso la finestra della camera d'albergo sbarrata.
Dicono il più grande Antonioni, io dico uno dei bei films di Antonioni.. come si fa a dimenticare il passato di Cronaca di un Amore, anche La Signora senza camelie, che ame piace moltissimo, IL grido, L'Avventura, Blow up?.. per non dire anche quelli ritenuti minori, come Le Amiche ed I Vinti.. Certo qui siamo in presenza di una cinematografia diversa, che avvalora sempre le tesi del regista, ma coinvolgendolo in maniera insolita.
Una bella scelta , anche sofferta , per Nicholson, che ha avuto forse un'occasione unica nella sua carriera, per rinuncuiare alle sue solite, anche grandi alle volta, performance che lo hanno caratterizzato

Maria Schneider: Antonioni credeva molto in questa ragazza, da cui ebbe dell ottime soddisfazioni. Peccato che poi la vita la fece stoppare per una crisi di identatità che le rovinò la carriera. Tutto questo dovuto al successo enorme e sproporzionato di Ultinmo tango a Parigi, anche se meritato, ma devastante per una giovanissima emergente.

Crimson  @  16/02/2006 18:04:08
   8½ / 10
Il protagonista di "Professione Reporter" è il personaggio con cui mi identifico maggiormente tra i film di Antonioni.
Una vicenda drammatica, fatta più di silenzi che di parole. Frasi come "Che caz.zo ci fai tu qui con me?" sono esemplificative del livello che può raggiungere il mal di vivere. Nicholson perfetto: anche se non può sfoggiare la sua mimica eccezionale rende benissimo il mondo interiore del protagonista.
Una riflessione amara sulla sterilità affettiva (il rapporto tra David e la ragazza che sceglie di seguirlo è del tutto singolare), emotiva. Sulla vita sterile nella quale pur cambiando identità si rimane sempre la stessa persona, e dalla quale non si può evadere (spoiler).
Piano sequenza finale da urlo.

"A cosa pensi?"
"A niente".

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Gruppo COLLABORATORI fidelio.78  @  02/11/2005 16:42:54
   8 / 10
Antonioni è sempre stato un regista particolare. Il suo stile estremamente tecnico, con tempi molto lunghi e fotografia sempre ricercata ha sempre fatto accostare il maestro italiano ai grandi registi francesi.
In questo ottimo film, con un grande J. Nicholson, Antonioni sfoggia tutto il suo grandissimo talento di regista arrivando a girare lo splendido piano sequenza finale di 7 minuti.
Bella la sceneggiatura, ma la grandezza del film sta nella forza delle immagini che prende dopo un poco il sopravvento e anche il personaggio di J. Nicholson inizia ad assumere toni rarefatti, proprio come la splendida fotografia di Tovoli.
Non il miglior film di Antonioni, ma sicuramente un grande film.


Dziga  @  17/10/2005 17:43:27
   10 / 10
Storia del cinema...ottimo montaggio e movimenti di camera magistrali.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento Giordano Biagio  @  10/08/2005 11:14:11
   9 / 10
David Locke giornalista televisivo anglo-americano è inviato in africa settentrionale per trasmettere al suo paese informazioni su una delle numerose guerriglie politiche che infiammano il Sahara. Nel’Hotel dove alloggia conosce e fa amicizia con David Robertson commerciante d’armi.
Durante una notte afosa Robertson, malato di cuore, muore improvvisamente di infarto rimanendo a lungo riverso nel suo letto. Locke si accorge per primo del cadavere e approfittando di una certa somiglianza con l’amico ne assume l’identità. Falsifica quindi con efficacia tutti i documenti di riconoscimento.
Il film per i media può sembrare datato ma per la psicanalisi no. Antonioni comunica emozioni di tipo introspettivo articolando anche pulsioni di morte legate a questioni esistenziali enigmatiche. Problemi storicamente riconoscibili. Oggi questa pellicola sarebbe destinata ad un insuccesso di pubblico e forse anche a un disinteresse del punto di vista della critica cinematografica. Non è infatti un film che nella sua sceneggiatura mostri preoccupazioni “spettacolari”. Inoltre non coltiva emozioni da suspense o da sensualità intricata. Il disagio però è ben precisato e si situa tra le righe di una scrittura ordinaria del quotidiano. La donna nel film è ben presente ma rimane un oggetto desessualizzato probabilmente per favorire la messa a fuoco del disagio identitario. Senz’altro questa pellicola verrà riproposta nei cinema d’“essai” e nella televisione in seconda serata perché è stato riconosciuta a suo tempo come un capolavoro, un “giallo che si porta addosso un mistero” (Morandini). Buona è la sua capacità comunicativa “altra”: quella più legata ai paradossi del dominio dell’inconscio sull’“io”. Poco può dire in un film di questo genere la chiarezza convenzionale dominata dalla coscienza critica.
L’arte cinematografica è anche un calarsi ingenuo nel linguaggio inconscio. Alcune questioni interiori, presenti nei personaggi dell’epoca in cui si svolge il film, vengono portate alla luce con un paziente lavoro di ricostruzione delle pagine storiche che racchiudono la vicenda. Uno sfondo che rimane fedele alle apparenze di un’epoca ma mostra i punti oscuri, invisibili del lavoro della morte. Ne scaturisce l’individuazione di una caduta del senso positivo per la vita e della professionalità del protagonista a vantaggio dell’emergere di pulsioni di morte oniriche che non rinunciano al gioco di identificazioni con figure fantasmatiche. Gioco che crea nuovi desideri. Desideri veri ma privi di un oggetto reale, destinati quindi alla delusione e poi alla tragedia. Passando da giornalista a venditore di armi Locke sperimenta l’ebbrezza di essere un altro per l’altro. In un certo senso il suo inconscio ha già scelto il delirio e la morte come estreme risorse di piacere a dispetto di una razionalità che non riesce più a dare soddisfazioni.
Penso che abbia senso oggi riproporre queste brevi riflessioni sul film, forse perché si può intendere meglio a distanza di tempo anche qualcosa del cambiamento culturale e sociale avvenuto dal 1975 ai giorni nostri. In particolare si precisa qualcosa che riguarda le linee di frattura generazionale sia nel costume professionale che politico del post ’68. Ciò è evidente nelle suture avvenute lungo la lacerazione di un malessere creato dal crollo delle ideologie del ‘68. Effetti che portano al ritorno nel privato personale. Il film mette in rilievo il fallimento di una identità unidirezionale nel sociale utopico basata sulla famiglia, il progresso sociale, la soddisfazione professionale. Temi che caratterizzavano gran parte dei progetti di vita degli anni ‘70.
Con la sua nuova identità che ha il sapore della trasgressione Locke vaga senza una meta precisa, abbandonandosi sullo sfondo di in una ambigua illusione al piacere della morte della sua vecchia identità troppo razionalizzata dai compromessi. Una nuova identità che viene vissuta come gioco del mistero esistenziale inconscio, come arte della sessualità sublimata: le cose si svolgono contro il destino reificato dell’Io fino a divenire morte reale. In una rinascita altra messa in gioco solo per pochi istanti: anche l’altrove, pensato come alterità priva di ansie, risulta “invivibile”. Lascia solo il tempo di intravedere l’abisso, segnato di storia, che affligge il suo Io. La coscienza del proprio passato cerca la via della soddisfazione. In questo caso la esige al prezzo della morte.
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Ultima risposta 11/09/2007 12.29.48
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