Quando il visionario architetto László Toth e la moglie Erzsébet fuggono dall'Europa del dopoguerra nel 1947 per ricostruire la loro ereditŕ e assistere alla nascita dei moderni Stati Uniti, le loro vite cambiano per sempre nel momento in cui vengono approcciati da un ricco e misterioso cliente.
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Storia d'un Cipputi ebreo ch'equipara il Nazismo al capitalistico sogno americano (ancora?). Nonostante tutte le sue contraddizioni, la Tanakh offre un livello d'inclusività ben maggiore con Giobbe, l'unico protagonista della Bibbia ebraica non appartenente a tal'etnia (Rut alla fine viene riassorbita nella dinastia davidica). Gl'Israeliti cercarono di smussarne le asperità con una struttura redazionale a sandwich, una sorta di confinamento toroidale del tokamak, infilando il nucleo poetico 3-31 della ribellione dell'uomo dei dolori (Isaia 53, 3: "vir dolorum") fra un prologo e un epilogo in prosa e posticcio, che lo rende acquiescente verso il proprio carnefice. In realtà, quando Giobbe inveisce contro "dio", non si capisce bene contro chi ce l'abbia: un dio cananeo, un dio universale, il "dio dei filosofi", un precursore dell'ateismo? Ma ci mancherebbe che Corbet & A24 abbiano ambizioni così elevate: s'accontentano d'irreggimentare il male nel solito paio di categorie bau-bau e gl'Oscar son'assicurati. Ah sì: László Tóth fece alla "Pietà" vaticana ciò che lo stesso Michelangelo fece al "Mosè". Un po' d'ambivalenza per i frequentatori dei marmi di Carrara. Un sequel di "There Will Be Blood"? Quanto yankeecentrismo a vuoto. L'alternativa proposta da Corbet è l'altra "terra promessa": il sionismo.
3 ore e mezza di una noia non mortale....DI PIU'! un sequestro di persona...per raccontare una storia che non frega niente, poco avvincente e per nulla appassionante. 3 ore infinite che non lasciano niente. Un polpettone monumentale, inutilmente lungo, lento, triste e noioso...Andrò controtendenza, sarò io che non capisco niente ma a sto giro tra questo e Emilia Perez gli Oscar non hanno rappresentato per me sinonimo di bel film.
Gran bella confezione specie considerato il budget bassissimo per un film hollywoodiano (praticamente una produzione medio-alta italiana) ma The Brutalist non lascia davvero granché.
Parte anche bene, con l'arrivo di Laszlo in America, il primo lavoro, la ristrutturazione della biblioteca, l'arte europea provata a spiegare al magnate becero e capitalista americano. Poi però il film non fa mai un vero e proprio salto di qualità, raccontandoci la storia anche in maniera didascalica e sempliciotta. I personaggi (quantomeno i due comprimari) sono davvero ottusi e macchiettistici, non si percepisce mai il tormento emotivo e fisico di Brody (neanche la dipendenza dall'oppio e dall'eroina), non si sente mai la fatica del processo creativo e della costruzione di questo edificio-mausoleo (addirittura a un certo punto del film, l'interruzione dei lavori è legata a un terzo evento, fuori scena, di cui ti frega poco e niente). Pearce porta in scena un miliardario che sembra uscito dal Monopoli, che non affascina nè intimorisce, anche leggermente isterico, che praticamente stupra (metaforicamente e non, qualora il film non fosse già abbastanza didascalico) il povero Brody, che invece è il solito eroe geniale puro, irreprensibile, da latte alle ginocchia.
Fosse durato due orette scarse, per la quantità (e qualità) di cose che accadono, sarebbe stato anche accettabile.
Per un film che racconta perfettamente ma indirettamente la storia americana del Novecento, mi vado volentieri a rivedere Il Petroliere.