Il film racconta di un amore romantico e drammatico, ostacolato da una malattia che tiene i due protagonisti lontani, privati di qualsiasi contatto fisico che possa minacciare la cura sperimentale che stanno seguendo.
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Ho visto il film in lingua originale, dopo aver letto il libro. Vorrei dare il massimo dei voti, ma non essendo molto informato sulle malattie a cui fa riferimento il film, non vorrei esagerare. A me ha coinvolto molto.. scava molto nel profondo dell'interiorità della persona, sugli attimi della vita, su come gioire nel vivere certi momenti in mezzo a tante difficoltà. Ho notato una corrispondenza molto buona tra film e libro, quando in realtà in genere qualche differenza c'è sempre. Bravissima la Richardson, lui forse troppo monoespressivo, ma comunque ha fatto la sua parte. Durata lunga, ma il tempo passa ed ogni minuto del film va vissuto ed apprezzato. Super consigliato.
Giorni fa incontro un'amica per strada, due chiacchiere e ad un tratto lei ha una forte crisi respiratoria, così forte che vuole chiamare l'ambulanza. "Perché non provi a togliere la mascherina" – le suggerisco prontamente – "… Ehi, hai ragione… funziona, ora respiro. Grazie!" "Non c'è di che, benvenuta nell'atmosfera terrestre". Non sempre la soluzione è a portata di mano. A volte sembra impossibile anche solo sperare, ma non è così per Stella (una bravissima Haley Lu Richardson), che a dispetto della sua malattia terminale allontana la paura con il proprio ottimismo. Il film ha una struttura solida e dei buoni momenti d'introspezione, anche se nel finale l'empatia verso la protagonista traballa, a causa di espedienti narrativi forzati e sequenze da videoclip.
Anche gl'adolescenti (odierni e benestanti) piangono. È un bene che pure loro si liberino da oltreomistici deliri d'onnipotenza e riconoscano la propria costitutiva fragilità, vulnerabilità, infermità. È un male ch'il regista confini ciò nell'ambito d'una specifica patologia medica invece di farne un (per ora) ineluttabile discorso universale. Superflui gl'ammiccamenti alla psicologia d'Harlow e al dramedy shakespeariano; fastidioso il superficiale approccio ideologico ("la vita è breve, goditela").
Toccatevi...perchè la vita è troppo breve per sprecarne un secondo.
Far durare quasi due ore un film lento, prevedibile e poco originale come questo equivale a invitare Tafazzi a un meeting con i vostri testicoli...perciò è una cosa che andrebbe evitata. Ma una volta iniziata la visione è inutile tornare indietro o interromperla (non è nelle mie abitudini) perciò mi è toccato sorbirmi un polpettone lacrimoso di sentimento e malattia terminale, con tanto di finale irritante e poco convincente, popolato da personaggi stereotipati e situazioni volutamente caricate (e dilatate) di emozioni a buon mercato, francamente inutili e oltremodo ruffiane. La visione può piacere, non c'è dubbio, ma bisogna sapere che ci sono pellicole che trattano gli stessi argomenti con maggiore intensità, partecipazione e fluidità, lasciando soddisfatti della visione. A UN METRO DA TE invece non mi ha coinvolto abbastanza, non mi ha colpito in maniera significativa e non mi ha ispirato nessuna grande empatia con i protagonisti.
Le emozioni latitano e quelle poche che ci sono vengono presto disciolte da interpreti mediocri. La stessa regia è insoddisfacente, e gli sbadigli, soprattutto nella prima parte, dominano la sala.