Nella Los Angeles del 1969 in cui tutto sta cambiando, l'attore televisivo Rick Dalton e la sua storica controfigura Cliff Booth cercano di farsi strada in una Hollywood che ormai non riconoscono più.
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VINCITORE DI 2 PREMI OSCAR: Migliore attore non protagonista (Brad Pitt), Migliore scenografia (Barbara Ling, Nancy Haigh)
VINCITORE DI 3 PREMI GOLDEN GLOBE: Miglior film commedia o musicale, Miglior attore non protagonista (Brad Pitt), Miglior sceneggiatura (Quentin Tarantino)
Visto per la prima volta nel febbraio 2020, l'ho odiato a morte. Probabilmente per i decimi di febbre che avevo durante la visione (sarà stato covid? chissà).
Gli ho dato una seconda chance ieri sera, quando è passato in chiaro, e... Gli occhi erano incollati allo schermo.
Ma cos'è sto film? Non ha una struttura narrativa classica, non si segue una trama vera e propria, non ha intenti documentaristici (vedi personaggi caricaturali che sembrano più simboli che non persone vere e proprie, come la stessa Tate che sembra più la quintessenza della gioia e della vitalità che non un'attrice realmente esistita). é forse un saggio storico? Forse, visto l'impressione d'immersione totale in un'epoca (gli inserti televisivi, le citazioni, le rielaborazioni di vecchi film etc) sembra quasi di vivere quegli anni lì nella loro interezza e complessità.
Quello che è certo è che Tarantino si dimostra coraggiosissimo, sbeffeggiando il suo stesso fandom, ragazzetti fastidiosissimi che non fanno che citare e ricondividere sui social le battute e le scene dei suoi classici (manco il cinema fosse solo Tarantino). E questo, per il più mainstream dei registi d'autore, è una mossa davvero meritevole di stima: fare un film mainstream hollywoodiano ma con un'impronta decisamente europea, più riflessiva, meno spettacolare, che si permette di sbeffeggiare gli spettatori e anche diverse icone del cinema (Lee o Polanski).
Cliff Boots, la controfigura, un uomo che vive all'ombra, in completa simbiosi, del suo attore, la sua copia talentuosa, che però accudisce come un pupo... è davvero un personaggio affascinante, come quelli a cui Tarantino ci ha abituato (se si sanno leggere i suoi film, oltre il citazionismo noioso dei fans). Personalmente ho preferito più il personaggio che l'interpretazione di Pitt, che non avrei premiato con l'Oscar (quell'anno avrei preferito Al Pacino o Song Kang-ho). Nota di demerito per il personaggio di Di Caprio, che nonostante sia interessante, nel suo bisogno di autoaffermazione (guardatelo come guarda con invidia e ammirazione i suoi talentuosi vicini di casa), risulta tuttavia noioso e con poco mordente. Qualche minuto in meno nello screentime gli avrebbe giovato e magari avrebbe permesso un maggiore approfondimento della Family di Manson.
Ultima cosa: alcuni dialoghi Tarantiniani ormai hanno proprio stufato, risultano posticci e messi lì giusto per far sghignazzare i suddetti fan.
"Che caz.zo hai fatto alla mia macchina?" "Che caz.zo hai fatto alla macchina di mia moglie?" "Che caz.zo hai fatto alla mia macchina?" "Che caz.zo hai fatto alla macchina di mia moglie?"
Dai che noia!
In soldoni, un film terribilmente affascinante che rende alla perfezione, senza spettacolarizzazioni strampalate, un periodo storico (la controcultura che arriva in maniera prepotente nella società e che per la prima volta mostra anche il suo lato oscuro) altrettanto affascinante.