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Dal brutto romanzo di Ammaniti Salvatores riesce tutto sommato a tirar fuori un film quasi decente, soprattutto grazie allo sfrondamento degli elementi di troppo (su tutti l'insulso personaggio di Danilo Aprea e la storia d'amore dell'assistente sociale), alle ottime prove attoriali ed all'eccellente fotografia del fedele Petriccione. Il resto, ovvero la sceneggiatura, latita terribilmente, frammentaria ed inconcludente come raramente si era visto nei precedenti film di Salvatores. L'angoscia della periferia ed il carosello di disperazione dei personaggi rimangono fondamentalmente sul taccuino delle buone intenzioni, e nessuno dei propositi di Salvatores colpisce veramente nel segno. Alla fine quello che risulta è un film medio(cre), risibile e svogliato; va però detto a parziale discolpa del sempre ottimo Salvatores che, a differenza di "Io non ho paura", in questo caso il materiale di partenza era veramente scadente. Il voto è un po' più alto del dovuto per rendere merito allo straordinario Filippo Timi, balbuziente nella vita ed attore di razza purtroppo sottostimato, il cui Rino Zena riesce da solo a colmare tutti i buchi di sceneggiatura circa il suo personaggio e gli agghiaccianti dialoghi. Bravo anche Germano, pur se troppo spesso sopra le righe, e promettente il ragazzino, che esprime il proprio disagio 10.000 volte meglio di qualsiasi adolescente pseudodepresso di Gus Van Sant.