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A rivederlo dopo anni, ho colto molte sfaccettature ironiche che mi erano sfuggite alla prima visione di anni fa. Ho colto fra le righe del simbolismo espressivo di Buniel sfumature divertenti che la prima volta mi avevano invece disturbata (come la scena del cadavere nel ristorante o quella del vescovo al capezzale del moribondo, oppure quella nella stazione di polizia); non ho cambiato opinione sul film, però. Resta una splendida e crudele analisi del vuoto borghese, ancora attuale (culminante nella scena geniale del teatro). Emblematica la scena ricorrente dell'annoiato percorso dei protagonisti su una strada monotona e infinita che sembra portatare al nulla esistenziale. Le vicende paradossali dei protagonisti s'intersecano con le visioni oniriche, rappresentanti l'unica coscienza nella propria vacuità, per questo, incubo rivelatore della debolezza, della paura.