Michael Corleone, il padrino della cupola mafiosa italo-americana, ormai anziano, decide di ripulire la sua vita ed i suoi affari cercando di instaurare un regime di convivenza pacifica con le altre famiglie di New York. Ma a malincuore è costretto a rivedere la su posizione quando una delle altre famiglie rivendica dei diritti sui Corleone.
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Un film stratificato e da vedere con molta calma. Gli affari della mafia si mescolano agli interessi della chiesa cattolica e a quelli della politica. Se nel primo film della serie (forse il più bello, a mio parere) si assiste al risveglio della natura criminale in un uomo non aduso alla violenza, ma che fa parte di un sistema al quale non potrà sottrarsi; se nel secondo (il più lirico) si assiste alla spiegazione, in qualche modo del perché non ci si può sottrarre al richiamo del sangue; nel terzo (il più disincantato) si assiste alla fine di un eroe negativo e al superamento di un'epoca e di un modo di vivere la mafia. Le musiche vengono usate molto furbescamente e sortiscono, specie nell'ultima parte del film, una certa emozione. La "Cavalleria rusticana" di P. Mascagni sembra scritta apposta per pellicole di questo genere (anche se preferisco l'uso meno didascalico e più profondo che ne fece Scorsese in "Toro scatenato"). Non capisco perché in pellicole che prevedono un dispiegamento di mezzi incredibile come questo non ci si accorga di errori madornali come quello con cui si apre il film. Al Pacino - Corleone viene insignito di un'onorificenza dal Papa (molto importante simbolicamente sia per un discorso anticlericale che per un'accusa precisa del regista ai rapporti che intercorrono fra mafia e Chiesa); ora, la data che compare in sovrimpressione è il 1979, e il Papa che elargisce l'onorificenza è Paolo VI. Questa scena ha del miracoloso, visto che il povero Paolo VI nel '79 era morto e sepolto da un anno. Altro che rapporti mafia e Chiesa, direi piuttosto rapporti mafia - al di là. Ma stiamoci attenti a queste cose...