la corda di sabbia (1949)

Un dramma avventuroso sentimentale forse un po' macchinoso in alcuni momenti ma comunque capace di rendersi interessante quanto basta, grazie a una buona prova del cast, una discreta regia e una fotografia precisa.
Non il massimo sotto l'aspetto drammatico, ma pellicola discretamente tratteggiata.

Spy story esotica con diamanti e donne fatali, che si fa ricordare per una violenza inusitata per l'epoca, per l'erotismo sadomaso (Lancaster appeso a testa in giù e seviziato, Corinne Calvet presa a frustate da Henreid) e, soprattutto, per un memorabile scontro fisico nel deserto, di notte, illuminato dai soli fari della jeep. Una fotografia straordinaria in bianco e nero per un film ben più moderno di quanto non possa sembrare a prim'acchito.

Misconosciuto noir esotico che nonostante la fama ha proprio poco a che spartire con "Casablanca". La trama non è proprio originale, ma ha un bello svolgimento ed una riuscita caratterizzazione dei personaggi oltre ad un' ambientazione desertica affascinante ed un' insolita per l' epoca, seppur accennata, componente violenta. Il tutto rende il film per niente noioso, anzi ben riuscito.

Vicenda avventurosa di alterno interesse appesantita da un eccesso di doppi e tripli giochi che la spingono inevitabilmente verso un pasticciato noir. Claude Rains gigioneggia senza ritegno ed è il migliore in campo, Lancaster non l'ho mai amato e mi sembra che porti in giro anche qui la sua faccia quadrata senza crederci troppo, Peter Lorre è un pò troppo defilato per poter incidere, la Calvet è bellissima, soprattutto quando cerca di ricattare Martingale a domicilio.
La scena clou è la s*****ttata nel deserto.

"La corda di sabbia" è rimasto famoso per la sua (demente) fama, di essere la versione violenta di "Casablanca". E questo perchè c'è l'ambientazione esotica e ci sono due degli attori del film di Curtiz, Paul Henreid, e l'attore simbolo del genere, Peter Lorre. Il protagonista è invece un'altra star del nero americano come Burt Lancaster.
Ma, al contrario di quanto si dice, il film di Dieterle, è molto bello, teso e avvincente, e nonostante tutto, piuttosto insolito per l'epoca.
Bellissime le sequenze nel deserto e poi la fotografia è da Oscar.

Film cupo, spesso truculento, con una fotografia che rasenta il manierismo.
La vicenda è interessante, e Lancaster vale da solo la visione del film, mentre Rains sembra replicare il personaggio che aveva già impersonato nel celebre "Casablanca". L'Africa c'entra anche qui