Una pagina di storia vera. Un gruppo di fucilieri americani è in lotta con le truppe giapponesi, durante la seconda guerra mondiale, per la conquista dell'isola di Guadalcanal.
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Trovo che di buono in questo film ci sia quel senso di quasi atarassia che trasmette nelle sue immagini di una natura in tutto il suo splendore, nei silenzi della contemplazione, dell’attesa del nemico e del proprio destino, tra il lieve agitarsi dell’erba mossa dal vento: una sensazione, un bisogno che probabilmente molti soldati hanno per difendersi dalla pazzia, per non oltrepassare la linea rossa dalla quale non si ritorna più, e che non solo i soldati dovrebbero trovare. A mio parere il film riesce a trasmettere a tratti, grazie alla regia di Malick, questa quiete, questo abbandono che ti proietta dritto in un angolino della Terra in cui è possibile trovarsi in pace con se stessi e con la natura, nonostante all’esterno la guerra compia il suo massacro. Ma appena la voce fuori campo incomincia a parlare, l’incantesimo sparisce in modo così inopportuno che viene voglie di zittirla. Sono domande poste così, per accumulazione ma senza la giusta profondità o originalità. Certo non è sempre necessario dare delle risposte, i film migliori sono quelli in cui le domande sono poste nel modo più affascinante, ma non c'è bisogno di fare presunta filosofia per destare certe emozioni. C'è un quadro molto famoso di Gauguin (Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?) dipinto a Tahiti, isola sicuramente splendida come la Guadalcanal per la quale si combatte, che associo a questo film. Anche se non c'è la guerra di mezzo, sono due bei tentativi di interrogarsi sul mistero tragico della vita, il primo più riuscito del secondo perché ovviamente molto più personale e sincero. Il personaggio di Nick Nolte è decisamente il più interessante di tutti, ma non si capisce poi a che pro chiamare così tante stelle per questo film. Splendida davvero la fotografia del film, buona la regia di Malick che per me comunque non è il messia che tutti vogliono far credere.