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Uno degli spettacoli che C.B. ha più amato. Lorenzaccio, tra atto e azione, emblema dell'antistoricismo. Uno spettacolo memorabile.
«La mia dannazione, Lorenzaccio... sono impazzito per oltre un decennio, dagli anni '70 a metà degli anni '80, sulla famigerata sfinge medicea... Lorenzaccio si sottrae all'azione, a qualunque disamina storica. Da "Lorenzino" lo si spregiò in "Lorenzaccio" nel groviglio dei postumi storici... Lorenzaccio è quel gesto che nel suo compiersi si disapprova.» (Bene-Dotto, Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pp. 233-234)
Chi va oltre le cose lo fa perché è lontano, fin troppo lontano, da ciò che produce il pensiero convenzionale della gente, "Il pensiero è un risultato del linguaggio".
Chi ha seguito il corpus teoretico dell'Artifex leccese sa che "Lorenzaccio" è un'altra stoccata di coerenza artistica (e quindi extra artistica) di un autore che ha demolito i canoni del teatro andando a riscrivere tutto in modo personale.
La visione di questo "film" ( il Lorenzaccio di Bene è una produzione teatrale adattata ai dettami televisivi, parliamo di un qualcosa che, in un modo o nell'altro, è integrata nei tessuti cinematografici) porterà lo spettatore ad un nuovo nulla. Nullismo caro a Carmelo Bene; la decorazione è arte, ma sfugge all'essenziale. L'opzione morale scelta da Carmelo Bene si rifugia nel nome del solito significante e dell'atto che trapassa l'azione, analitica rappresentazione della cosa.
Ci vorrebbe il seme di Bene e la sua genetica intellettuale per comprendere ciò che lo stesso regista vuol mostrare, il consiglio è di prendere visione e poco altro. La phoné di Bene vale il prezzo del biglietto.