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Quaglia poco, tardi e male, non propone una spiegazione totalmente plausibile e avvincente, si avverte tutta la lentezza che caratterizza personaggi e dialoghi, non mostra una grande originalità e, ultimo ma non meno importante, non coinvolge più di tanto e non ha un finale appagante. Il cast non se la cava malissimo ma, anche qui, nulla di memorabile.
Ve li ricordate i cari, vecchi, eco-horror? Ecco questo film ne è esempio moderno e decisamente consigliabile, apparecchiato sulle pandemiche paure attuali (non a caso il "nemico" è praticamente invisibile). Stranamente privo di qualsiasi morale colpevolizzante, cosa, questa, abbastanza inusuale per una pellicola di questo genere, "The Beach House" segna il debutto alla regia di Jeffrey A. Brown, il quale con quattro dollari gira un film allucinato, in cui il frivolo sballo di una serata vacanziera si tramuta dapprima in qualcosa di subdolamente affascinante, per poi rovinare nell'incubo lisergico ed oscuro, destinato a cambiare le vite di tutti nel giro di poche ore. Il budget poverissimo non incide negativamente: le ambizioni riguardo la creazione di un clima altamente perturbante sono soddisfatte, mentre si ricama su citazioni più o meno evidenti spaziando tra Lovecraft e il body horror di Cronenberg, sino ai poco raccomandabili nebbioni di "The Fog" e "The Myst". Il risultato è un film spiazzante, strambo e altamente ipnotico: i tempi lenti favoriscono il montare di una lenta agonia intimista -in quanto riferita a un ridotto microcosmo- in cui il senso di minaccia e di disperazione sono assolutamente tangibili.