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L'interesse e il coinvolgimento dello spettatore sono messe a dura prova nella seconda metà del film, dove la narrazione si fa sempre più lenta e le dinamiche si dilatano oltremodo, nonostante l'ampio spazio dedicato ai sentimenti della coppia protagonista che, man mano, vengono fuori in maniera più definita tra amarezze, sogni e speranze ritrovate. Il pre-finale, inoltre, non mi è sembrato avesse una sua collocazione precisa, anzi mi è sembrato fuori contesto, nonostante visivamente apprezzabile. Così come apprezzabile mi è sembrata la prova dei due attori principali, abili e credibili nel far risaltare tutte le frustrazioni e le incertezze di una giovane coppia indigente ma con tanti sogni nel cassetto. Un prodotto neorealista di un certa valenza emozionale ma un po' ostico da digerire.
Non è per la sua identità derivativa dal cinema straniero, aperto alle porte del Giappone solo in questi anni, che SUBARASHIKI NICHIYOBI (One Wonderful Sunday) non riproduce un film particolarmente efficace. La "soltanto sufficiente" riuscita va attribuita alla spasmodica e poco raffinata emozionalità trasmessa da Akira Kurosawa al drammatico racconto sulla prospettiva generazionale nipponica del dopoguerra, costruito per essere commovente e anche poetico, ma purtroppo esasperato nei suoi lineamenti tragici e prolisso nei propri tratti pessimistici, talmente impegnati ad evidenziare la fragile speranza dei protagonisti da rendere fragile pure la credibilità della pellicola in più frangenti, artificiosa anche nella poco sottile descrizione tematica.
In effetti si può parlare di neorealismo giapponese per questo bellissimo film più che mai attuale che racconta dell' amore tra due giovani tra le difficoltà della vita che si scontra con il cinismo di certa gente. Una bella scoperta del mitico Kurosawa! Bellissima la scena all' arena del concerto.
E’ un film che appartiene come spirito e come significato quasi completamente al Giappone del primo dopoguerra. Dopo la sconfitta, c’era da ricostruire, da riprendere a vivere. Il Giappone era in ginocchio, economicamente ma soprattutto moralmente. Il vuoto ideale fu riempito da tutto quello che veniva dall’America e come succede spesso nelle nazioni che adottano giocoforza modelli esterni, si finisce per recepire quasi sempre gli aspetti più deleteri e deteriori. Fu così che, in mezzo alla povertà generale e alla miseria, fiorì un ceto di nuovi ricchi grazie al mercato nero, allo sfruttamento del vizio, ai favoritismi e alla corruzione. La vita era difficile soprattutto per chi intendeva mantenere le regole dell’onesta e della solidarietà, come pure della pulizia morale. Una situazione simile a quella dell’Italia e della Germania. Kurosawa cerca di esprimere questo malessere collettivo raccontando la giornata di svago e riposo di due giovani fidanzati. Il titolo è chiaramente ironico. E’ infatti una giornata triste e disastrosa. Vedersi sempre a lottare per sopravvivere (scarpe bucate, vestiti logori e vecchi), senza la minima prospettiva di cambiamento è deprimente, molto deprimente. Poi ogni iniziativa va sempre a finire male con una umiliazione e per giunta inizia a piovere. La giovane Masaki tenta in qualche maniera di tenere su il morale, di fare buon viso a cattivo gioco; tenta di tenere accesa la fiammella della speranza. Il suo punto fermo sono i comportamenti retti e composti della tradizione etica giapponese. Yuzo invece è un perdente nato, soprattutto perché non ha fiducia in se stesso, si scoraggia facilmente, si sente tentato dalle sirene della “corruzione” e dei propri istinti “bassi”. Il suo è un carattere molto scostante, soffre di alti e bassi quasi repentini. Più volte è sul punto di distruggere la fiducia di Masaki in lui, l’unica cosa che gli rimane. Alla fine vince la speranza, il sogno e la fiducia, gli unici motori ideali con i quali si riesce a combattere e a sopravvivere. Come si vede i protagonisti del film sono delle persone normali, fin troppo normali, anzi scialbi e banali, pieni di difetti, volutamente perdenti. E’ chiaro l’intento di Kurosawa di colpire gli spettatori dell’epoca, facendoli immedesimare in mali molto comuni, con lo scopo di creare una corrente di solidarietà collettiva in difesa dei più deboli della società. A tal fine questo film annovera uno pochi casi cinematografici, prima del finale di 400 Colpi di Truffault, in cui un personaggio del film guarda direttamente la mdp e apostrofa gli spettatori: è l’appello di Masaki (in pratica di Kurosawa) a esseri solidali con i poveri e gli onesti, contro i nuovi pescecani e i profittatori. Fin qui è la parte “nobile” del film, che comunque rimane tutta all’interno del tempo in cui è uscito. Purtroppo non riesce a sufficienza a colpire e a coinvolgere lo spettatore, come ad esempio faceva in pieno ad esempio Ladri di Biciclette. Il film è fin troppo concentrato sui due protagonisti (in pratica i soli attori), sui i loro conflitti interiori; LDB invece allarga lo sguardo al mondo circostante (il protagonista di LDB è la città di Roma), ci sono avvenimenti esterni (un banale furto) che appassionano e coinvolgono, i sentimenti sono più centellinati e concentrati. Invece qui Kurosawa si prende il carico di andare in profondità a dei caratteri imperfetti, banali, imbranati, poco brillanti, ed è un’impresa molto difficile, perché è più facile rifiutare o criticare (verrebbe voglia di dar loro una scrollata di spalle, spesso c’è la voglia di farli perire nelle loro disgrazie da quanto sono indecisi e passivi) che immedesimarsi e compatire. Lo stile cinematografico non aiuta ad appassionarsi. Nonostante la grande vivacità e fantasia tecnica di Kurosawa, l’impianto teatrale, il ritmo molto lento mettono a dura prova la pazienza dello spettatore. I grandi divi cinematografici avevano creato all’epoca una casa di produzione tutta per loro, con l’intento di lanciare il cinema divistico in Giappone. Per questo Kurosawa si trova senza i suoi attori preferiti. Sceglie attori in pratica di strada, solo che il suo tipo di cinema fatto soprattutto di conflitti interiori richiede attori capaci ed espressivi, il che non avviene in questo film. A fronte dell’attuale Giappone ultramoderno, ultrascintillante, fa un certo effetto vedere Tokyo così dimessa, sgarruppata, messa proprio a mal partito. C’è da dire che i Giapponesi i loro sogni sono riusciti davvero a realizzarli (perlomeno dal punto di vista economico).
Uno dei film neorealisti giapponesi che ritrae la situazione goliardica di una domenica tipo di due innamorati, senza tralasciare però l'attento e storico sguardo documentaristico di Kurosawa sull' imminente dopoguerra. Tecnicamente già molto buono, dicotomica caratterizzazione dei personaggi: sognatrice lei, "ho bisogno di sognare per andare avanti", realista lui, "non si mangia con i sogni", ma che alla fine si rivelererà il più sognatore dei due. Altamente simbolica una delle ultime sequenze, il tristissimo sguardo dei protagonisti seduti vicino ad un contenitore con la scritta "trash".