Un tempo, parliamo del periodo che va dalla metà degli anni ’60, fino alla fine dei ‘70, in Italia si producevano oltre 300 film all’anno, contro i meno di 50 di oggigiorno.
Il Belpaese era secondo solamente agli Stati Uniti, non solo per film prodotti, ma anche per numero di spettatori che affollavano le sale dei cinema.
Inutile dire perciò che il cinema nostrano era da considerarsi come una vera e propria industria.
Tanto per fare un esempio: al giorno d’oggi un film di grande successo (quasi sempre blockbusters americani) raramente supera la soglia dei tre milioni di spettatori in sala. Film come
Continuavano a chiamarlo trinità del 1971, o
Ultimo tango a parigi del 1968 e
Per qualche dollaro in più del 1965 furono visti al cinema da oltre 14 milioni di spettatori.
Possiamo dire perciò che una pellicola come Trinità, rapportata ai costi odierni del biglietto in sala, avrebbe incassato solamente in Italia una cifra come 112 milioni di euro!
Certo, ai tempi non vi erano televisioni private, internet, dvd ecc… inoltre il prezzo del biglietto era decisamente più popolare rispetto ad oggi, anche valutando l’inflazione: e fino a questo punto si può essere tutti d’accordo.
Ma cosa differenziava il cinema italiano di allora rispetto a quello odierno?
Un solo, FONDAMENTALE, passaggio: che i film italiani di allora venivano distribuiti, e con successo, anche all’estero.
Una volta infatti le nostre pellicole venivano girate in lingua inglese, così da favorire una distribuzione internazionale, e le ambientazioni erano spesso americane o esotiche. Ma non solo: anche quando si trattava di una storia italiana, questa aveva in ogni caso un carattere universale, così che potesse fare presa anche su di uno spettatore americano, francese, spagnolo, tedesco, giapponese, sudamericano ecc…
E’ infatti negli anni ’60 che nascono i cosiddetti film di genere: dagli horror di
Mario Bava, ai western del grande
Sergio Leone, fino ai thriller di
Dario Argento, i poliziotteschi di
Fernando di Leo, gli avventurosi di
Castellari e così via.
Tutte pellicole che incassano tantissimi soldi anche all’estero. Basti pensare a
Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, girato in inglese (e con protagonisti americani) tra la Foresta Amazzonica e New York: il secondo maggiore incasso della stagione 1982-83 in Giappone dopo lo spilberghiano
E.T. l'extraterrestre. Oppure pensiamo a
Zombi 2 di Fulci, enorme successo commerciale, soprattutto negli Stati Uniti. La coppia Terence Hill/Bud Spencer e i film di Sergio Leone poi fanno un caso a sé, famosi in tutto il mondo.
Con le plusvalenze di tali incassi si andava poi a finanziare i cosiddetti film autoriali, quali quelli di
Fellini e
Olmi.
Oggi tutto è cambiato, se si eccettua qualche rara mosca bianca.
I film vengono girati tutti in lingua italiana, e sono sempre storie drammatiche o commedie. Ma la cosa più disarmante è che sono storie sempre tipicamente italiane, che non interessano nessuno spettatore fuori da quelli del nostro paese.
Con tutto il rispetto infatti, a quale straniero potrebbe mai interessare film quali Baaria o Benvenuti al nord?
Ovviamente ci sarà sempre chi guarderà ai film di genere con aria snob e allora meglio riportare una celebre frase di
Francois Truffaut: “un vero appassionato di cinema lo si distingue subito rispetto ad un millantatore grazie ad un piccolo particolare: l’appassionato di cinema parla della settima arte a 360°, spaziando dall’horror al dramma, e soffermandosi soprattutto su autori quali Hitchcock, Leone o Spielberg. Il millantatore parla di Murnau e Antonioni con aria forbita, ma non sa parlare d’altro. Senza capire che amare il cinema significa amare davvero il cinema in sé, non una carta d’identità”.