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28 settimane dopo i 28 famosissimi giorni raccontati da Danny Boyle le cose non sono cambiate, solo leggermente migliorate, almeno in apparenza. Londra è diventata, grazie all'intervento dell'esercito, un punto di raccolta degli scampati al virus della rabbia che aveva mietuto tante vittime nel primo film. Una famiglia miracolosamente si riunisce in barba alla statistica, ma il segreto che il capofamiglia aveva cercato faticosamente di seppellire insieme alla sua colpa, esplode all'interno della zona franca e scatena una nuova epidemia.
Come tutti sanno questo è un sequel e come tale segue regole tutte sue. Come primo risultato mancherà l'effetto sorpresa e la trama, nella migliore delle ipotesi potrà solo aggiungere tasselli alla storia già nota, nella peggiore la ripeterà. Inevitabilmente ci saranno paragoni col primo film, che appunto era girato senz'altro meglio, ma non trattandosi di un capolavoro del genere non è poi così importante il fatto che la regia perda un pò del suo smalto. Nel primo film avevamo una trama che doveva di certo non poco alla letteratura di genere, mentre qui abbiamo un plot che deve tutto a Romero.
E pure in questo caso non ci si può fare molto, anche se Danny Boyle si era assai affannato a chiarire che si trattava di un'epidemia di rabbia e non di zombi, il risultato non sembra essere molto diverso neanche in questo secondo film. I rabbiosi corrono come delle ferrari ma la differenza è solo questa, poichè come gli zombi contagiano e come loro uccidono, così semplicemente. Niente di strano quindi se ci troviamo davanti l'ennesima zona bonificata e difesa da militari e filo spinato, che dovrebbe tenere al riparo i sopravvissuti, ma che finisce col diventare una claustrofobica trappola.
Il prologo è assai cattivo ed il protagonista, un Robert Carlyle antieroe e codardo, parte già dai primi fotogrammi etichettato come una carogna il cui destino non può che essere dei peggiori. La povera moglie di lui, abbandonata subito dopo i titoli di testa, sarà il catalizzatore del male e seppure parzialmente immune, userà in maniera poco saggia la sua labile possibilità di sopravvivere al contagio. La tensione è sottile ma in alcuni punti perde assolutamente di consistenza stroncata dalle frasi ad effetto dei militari. Ed è sicuramente un peccato che la trama non riservi quasi alcuna sorpresa, e decida di giocarsi l'unica idea nella prima mezz'ora, lasciando lo spettatore ad aspettarsi la solita carneficina ed il solito finale.
L'idea del militare che disobbedisce per umanità appare leggermente strumentale e in realtà assai in disaccordo con la restante linea del film, la cui novità assoluta per un lavoro di matrice inglese è la parte decisionale del comando militare che acquisisce connotazioni un pò troppo filo americane da soluzione finale, non essendo tradizione inglese quella di sparare addosso ad amici e nemici in mancanza della possibilità di distinguerli.
Risultano comunque suggestive e stilisticamente rarefatte le immagini della Londra deserta, e il ritrovamento di un'inselvatichita Catherine Mc Cormack è poetico quanto basta a suggerire l'incombere di una tragedia. Le scene sono minimali ma ben definite da una fotografia pulita, mentre la regia sparisce un pò nel marasma di rabbiosi corridori e gas letali lanciati nelle strade.
Se anche abbiamo perso Cillian Murphy, e questo non è poi un male, abbiamo però guadagnato Robert Carlyle, che come rabbioso ha una buona carriera alle spalle, ha un precedente persino come antropofago, e nella seconda parte del film ci dà una convincente approssimazione di cattiveria e rabbia atavica. E questo è tutto, non si può onestamente pretendere di più da una trama minimale e da una onesta regia, e se non sempre è impossibile restare originali sia pur nel difficile campo dei sequel, non ci pare questa la volta, non contenendo questo film nessun motivo che induca a pensare alla sua sopravvivenza alla stagione cinematografica in corso; ci pare assai più verosimile che finisca col confondersi con film sullo stesso tema tra i quali Doomsday, l'ultimo lavoro di Neil Marshall.
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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 09/04/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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