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Pasquale Festa Campanile, regista e scrittore che sarà al culmine della carriera nella seconda parte degli anni Settanta per poi interrompere a causa della morte prematura, firma questa divertente commedia degli equivoci che riprende per la girandola di situazioni le pochades alla francese nel 1966, un anno abbastanza cruciale perché segna il passo tra la prima parte degli anni Sessanta di boom economico ma di relativo provincialismo e la seconda che sente il fiato corto della crisi e nel contempo si apre a realtà meno chiuse e internazionali.
Il titolo della pellicola "chiude" una sorta di trilogia di situazioni sentimentali nostrane, aperta da Germi con il suo "Divorzio all'italiana" nel 1961 e seguita due anni dopo da film di De Sica "Matrimonio all'italiana" con l'inossidabile Sophia Loren.
L'allusione alle due pellicole precedenti nasce dall'enfasi data dalle soluzioni fantasiose che l'italiano ingegna in ogni occasione, compresa quella del rapporto di coppia "scoppiata".
Nel film la giovane Marta (non a caso interpretata da Catherine Spaak, simbolo fino a qualche anno prima dell'adolescente disinibita e moderna), scoprendo che il marito, da lei creduto fedele, ha ceduto alle lusinghe di una sua amica un po' svampita (Maria Grazia Buccella, nel ruolo più a lei congeniale), ignara della situazione matrimoniale dell'uomo, decide di attuare una vendetta del tutto originale.
Tutta la storia si basa sui trucchi escogitati da Marta nei confronti del consorte (un Nino Manfredi un po' ingessato) e sulla ossessiva gelosia che l'uomo, tutto sommato innamorato, comincia a nutrire verso la moglie. La trama è anche un interessante pretesto per fare un'analisi sociologica: ormai a fine anni sessanta mantenere le teorie che volevano il maschio quasi autorizzato a tradire sono oltremodo giurassiche, urge una vera parità tra i due coniugi, malgrado essa non fosse ancora sancita nemmeno legalmente (basti pensare che l'abolizione effettiva del "pater familias" sul piano giuridico avverrà solo nel 1975 con il nuovo diritto di famiglia!)
L'intento didattico del film, al di là delle divertenti gag inscenate dalla scatenata protagonista e da tutti gli interpreti, è chiaro e lampante. Interessante anche l'ambientazione della storia: la Roma più turistica viene meno, a vantaggio di luoghi più vaghi e moderni: dalla zona vicina all'aeroporto, alla villa fuori città tutta vetrate e arredamento, che anticipa lo stile in voga nel decennio seguente tutto fluo, coloratissimo e iperstilizzato, mentre la protagonista con la pettinatura da ragazza ye ye e gli abiti sbarazzini stile Piper è sicuramente l'antitesi della mogliettina con il filo di perle e i ferri pronti per una maglia che mai si completa, secondo lo stereotipo della pubblicità dell'epoca.
Trasgressione evidente e lotta agli stereotipi, ma anche comicità intelligente che si rifà a modelli mai desueti, come quello della commedia francese di fine ottocento: un divertente connubio che malgrado i quasi cinquant'anni continua a far ridere. Da vedere in uno dei non frequenti passaggi televisivi.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 24/09/2013 15.53.00
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