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"La vita è come una passeggiata sotto la pioggia, c'è chi trova riparo e chi si bagna e basta"
Dal Sundance Film Festival del 2010, con colpevole ritardo rispetto ai cinema americani (dove la pellicola è diventata un cult e il personaggio di Hesher un mito, dando inizio a una vera e propria Hesher-mania), arriva nelle nostre sale "Hesher è stato qui", film indie diretto dall'esordiente regista americano Spencer Susser, che l'ha scritto insieme a David Michod ("Animal Kingdom").
Divertente e anche un po' brutale "Hesher è stato qui" è un film ibrido che sfugge a qualsiasi definizione, un po' folle e un po' saggio, un po' dramma e un po' commedia, cinico e poetico, miscela eccentricamente momenti divertenti ad altri colmi di humour nero, non disdegnando un pizzico di follia anarchica, sempre necessaria nei momenti in cui occorre rompere gli schemi per reagire alla vita quando ci mostra il dito medio.
Ma chi è Hesher?
Rappresenta il bene o rappresenta il male, è l'angelo o il diavolo?
Non si capisce bene quel che fa e perché lo fa, se a fin di bene o altro, non si capisce quanto sia grande la sua follia.
Ma poco importa chi esso sia e cosa faccia, importa che sia stato qui a sanare le tante ingiustizie che la vita troppo spesso dispensa.
Come è stata ingiusta la vita con TJ e la sua famiglia.
TJ è un tredicenne che si trova ad affrontare il dolore per la perdita della madre, deceduta due mesi prima in seguito ad un incidente stradale, e lo stato di catatonica apatia in cui è piombato il padre dopo il tragico avvenimento. Insomma due vite devastate psicologicamente ed emotivamente.
In casa della nonna paterna, dove si sono nel frattempo trasferiti, il ragazzo vede il padre, distrutto dal dolore e annebbiato dai tranquillanti, sprofondare sempre più nella depressione e su quel divano dal quale non riesce quasi più ad alzarsi, mentre lui si ritrova da solo a cercare di elaborare il pesante lutto che lo ha colpito e ad affrontare i problemi tipici dell'adolescenza, dal bullismo a scuola alle prime pulsioni sessuali, dalle difficoltà a rapportarsi con gli altri alla crescente ricerca di punti di riferimento.
La sua unica ossessione è quella di ricomprare il rottame dell'auto su cui è morta la madre, dentro la quale si chiude a piangere dopo aver inseguito in bicicletta il carro attrezzi che la trascina via. Tutti perdenti, dunque, tutti avviati verso una vita che lentamente sta scivolando verso il nulla.
Compresa la nonna, che non più in grado di aiutarli, sopraffatta com'è dagli acciacchi dell'età, e la timida commessa del supermercato, una ragazza più grande di cui T.J. si innamora senza poter essere corrisposto. Così come si è dimostrato impotente il gruppo di sostegno cui si sono rivolti.
Un circolo vizioso dal quale è difficile uscire se non con il vivace antidoto di una poco ortodossa terapia d'urto e con una sana, liberatoria cattiveria.
Ma un giorno nella vita di T.J. irrompe, con tutta la sua carica dirompente, il folle Hesher, un homeless crudo e volgare con seri problemi di autocontrollo. Uno pseudo metallaro dai modi rozzi e sbrigativi e dal linguaggio scurrile e virulento. Un disadattato, piromane e nichilista, dai lunghi capelli costantemente unti e dallo sguardo da bambino, magro e malnutrito, che ama la birra e i film pornografici, che guarda la televisione in mutande bevendo birra e si diverte a far saltare per aria tutto ciò che non gli va.
Sbucato fuori all'improvviso dal nulla, Hesher sfoggia due vistosi tatuaggi da tratto infantile che vediamo spesso, dal momento che gira quasi sempre a torso nudo (sul petto ha disegnato un omino che si fa saltare le cervella, sulla schiena un vistoso ed esplicito dito medio alzato). Viaggia a bordo di uno sgangherato furgoncino e predica una controversa e irritante filosofia di vita. Questo almeno fino a quando non incontra T.J. e la sua sconfinata disperazione.
Con la scusa di non avere più dove dormire, dopo che un sasso lanciato da TJ gli ha rotto i vetri della finestra, Hesher si presenta da lui e si trasferisce nel garage della sua casa, diventando ben presto parte integrante della famiglia, tra l'indifferenza del padre e la candida curiosità della nonna, con la quale stabilisce un bizzarro rapporto di complicità.
"È bello sentire una nuova musica in casa". È così che la dolce, svampita vecchina accoglie in casa il "nuovo nipote acquisito", il quale prende possesso del telecomando, fa la lavatrice e si impone come nuovo improbabile modello per il ragazzo, nonostante la sua passione per la birra e la sua dipendenza per la pornografia non siano esattamente, stando a quel che si dice, un esempio da imitare.
Hesher è il fratello maggiore che T.J. non ha avuto, è l'estraneo capace di guardare con occhi disincantati ciò che non va, il "diavolo custode" che sa trovare la ricetta giusta per tirali fuori dal loro mondo di dolore, è il solo capace di ascoltare e capire l'anziana donna, che si adopera come può per scrollare il figlio dall'apatia che lo distrugge e placare la rabbia del nipote.
Con i suoi modi anticonvenzionali e la sua discutibile norma di vita, parla spesso per metafore, racconta storielle bizzarre e parabole volgari (racconta del suo serpente, di una sua esperienza sessuale con quattro donne, di una sua fantomatica "perdita"), e ogni parola che dice ha tutto un altro significato.
In realtà, e a suo modo, sta guidando TJ a liberare tutte le emozioni e la rabbia che da molto tempo si tiene dentro e suo padre ad uscire dall'impasse in cui si è impantanato. Fuori da ogni forma canonica, lontano dallo stereotipo dell'eroe senza macchia e senza paura.
Prendiamo TJ, per esempio: lo lascia solo a subire le continue angherie de suoi nemici (il bullo della scuola e l'adolescente che lavora dallo sfasciacarrozze), rimane impassibile quando lo vede litigare furiosamente con il padre, non si intromette quando viene picchiato, va a letto con la ragazza del supermercato della quale si è invaghito, lo coinvolge in alcune bravate, lo aiuta quando reputa sia giusto, ma a modo suo e sempre al limite della legalità.
L'unica che riesce a scalfirne la corazza è l'anziana nonna, per la quale nutre un profondo rispetto, forse perchè la figura femminile non manca solo a T.J. ma è assente anche nella sua vita.
Perchè Hesher è disturbante, provocatorio, ingestibile, come la violenza che si porta dentro; nella sua follia, innocenza e cinismo si confondono l'una nell'altro e ogni sua azione è aggressiva e dissacratoria e le sue innumerevole bravate tutto sembrano fuorchè atti di amicizia.
Osservarlo mentre offre da fumare un bong alla nonna di TJ o mentre insegna al ragazzo i segreti del sesso, o quando al funerale della nonna si scola una lattina di birra e parla dei suoi testicoli, è un vero piacere per gli occhi dello spettatore che aborrisce i film mainstream.
Come nella migliore tradizione del cinema indie americano, i personaggi di "Hesher è stato qui" fanno tutti parte di quell'America che le patinate riviste e le grosse produzioni hollywoodiane ignorano.
L'America dei sobborghi dove, "dietro le stesse facciate di mattoni rossi o di legno bianco, dietro gli stessi praticelli rasati come teste di marines. (Vittorio Zucconi – la Repubblica)" si consuma il sogno americano ("La cosa triste è che mi farebbero comodo anche quelli", rivela la cassiera del supermarket all'offerta di due miseri dollari.).
Il regista Spencer Susser, che si è fatto le ossa nel campo della pubblicità e dei videoclip, confeziona un film che è insieme una favola dark sull'accettazione del dolore e della perdita, e un messaggio che invita guardare oltre, perché, alcune volte, il riscatto esistenziale può venire da dove meno lo si aspetta.
Il cosceneggiatore David Michod, come aveva già fatto in "Animal Kingdom", anche in "Hesher è stato qui" continua la sua indagine sull'aggressività maschile vista non solo dal punto di vista della devianza civile ma anche e soprattutto come arma con la quale il maschio rivendica un ruolo sociale che sta perdendo insieme alla sua identità. Come dire, il vuoto di sé che si fa violenza.
La storia ha il pregio di sviluppare in maniera adeguata il percorso di crescita personale e di maturazione umana di un ragazzino che cerca disperatamente di reagire alla morte della madre. Maturazione umana che non può prescindere dal dolore, ma che anzi ne è parte integrante, solo che il dolore va affrontato e preso di petto, perché piangersi addosso è assolutamente sterile e non porta da nessuna parte. Perché crescere è facile, difficile è diventare adulti.
La regia si sofferma spesso sulla dinamica dei rapporti umani e sullo spessore drammaturgico dei personaggi, tutti diversi per età e provenienza e tutti giunti ad un punto di svolta delle proprie vite, che li porta a capire che c'è sempre qualcosa per cui vale la pena vivere e andare avanti.
Spencer Susser ha realizzato così un film tra i più spiazzanti degli ultimi tempi e in grado di generare una profonda commozione, insieme a una certa dose di ironia, come spesso succede quando scorrono attimi di vita vissuta di personaggi maledetti o sofferenti che si portano addosso tutta l'insostenibile pesantezza dell'essere.
Fotografia e costumi denotano l'acume e l'intelligenza del regista, così come la colonna sonora si rivela una vera chicca per gli amanti dell' heavy metal, con alcuni dei classici brani dei Metallica (omaggiati nel logo del film con il nome Hesher, con la H e la R disegnati a forma di fulmine a ricalcare il logo del nome della leggendaria band) e dei Motorhead, che girano incessantemente nell'autoradio dello scassatissimo van di Hesher.
Ma il vero valore aggiunto del film risiede nella straordinaria performance degli interpreti tutti.
A cominciare da uno strepitoso Joseph Gordon-Levitt - che ha dichiarato di essersi ispirato al defunto Cliff Burton, primo batterista dei Metallica - semplicemente eccezionale nei panni un po' sudici di un eccentrico personaggio, interiormente ed esteriormente fuori dagli schemi classici; a riprova che ha raggiunto una maturità artistica, universalmente riconosciuta, che lo porta, grazie anche al suo notevole carisma e alle sue grandi capacità comunicative, a diversificare facilmente il suo modo di recitare e di porsi davanti alla macchina da presa.
Basta riguardare le sue ultime interpretazioni per rendersi conto con quanta facilità, e bravura camaleontica, sia capace di non ripetere mai se stesso e passare dal romantico innamorato di " (500) Giorni insieme" al folle capellone di "Hesher è stato qui". Inspiegabile la sua esclusione dalle nomination così come quella del "driver" Ryan Gosling.
Al suo fianco una veterana dal calibro di Piper Laurie nei panni della svanita nonnina, che a 80 anni è capace ancora di suscitare forti emozioni; una defilata Natalie Portman (anche produttrice del film) che si è riservata il piccolo ma efficace ruolo della scialbina commessa di supermercato che cerca un modo di sfuggire alla banalità della sua vita. Un sorprendente Rainn Wilson, nel ruolo perfetto del depresso padre di TJ, che riesce a trasmettere allo spettatore tutta la disperazione di un uomo che ha perso ogni ragione di vita.
Ma una menzione di merito va al giovanissimo David Brochu (TJ), che davanti alla macchina da presa sa comunicare, anche attraverso la mimica facciale, tutta la sofferenza e la rabbia di chi sente di non aver nient'altro da perdere nella vita.
In definitiva un film che regala molto con la sua storia, che in parte è una storia di formazione e in parte una storia di riscatto esistenziale, più agra che dolce, che mostra come a volte la vita ci offra soluzioni anche attraverso le forme più improbabili.
Un film che con il suo tono sommessamente surreale ci indica che pur sempre in fondo al buio del tunnel c'è sempre la luce e che comunque vada la vita "è come una passeggiata sotto la pioggia, ci si può bagnare oppure si può, semplicemente, cercare un riparo".
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 15/02/2012 12.44.00
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