Recensione il pianeta delle scimmie (1968) regia di Franklin J. Schaffner USA 1968
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Recensione il pianeta delle scimmie (1968)

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locandina del film IL PIANETA DELLE SCIMMIE (1968)

Immagine tratta dal film IL PIANETA DELLE SCIMMIE (1968)

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"Se volgerai lo sguardo al trascinante sole e alle stelle che lo seguono in successione, mai ti ingannerà il domani né sarai colto dalle insidie di una notte serena."

L'uomo può soltanto immaginare quello che in futuro potrebbe accadere ma non quello che realmente accadrà - e questo si limita al tempo che la natura gli concede di vivere - ma l'essere umano, da sempre spaventato dall'oblio della morte destinata ad interrompere definitivamente il concetto di spazio-tempo, cerca rifugio in disperati tentativi volti a rimandare l'appuntamento con l'ora suprema.
Acquisendo sempre più conoscenza sui misteri dell'universo ha cominciato a vedere il cosmo come possibile alleato per raggiungere una parvenza di eternità tanto da intravedere, sfruttando la teoria della relatività, la possibilità di fermare il tempo viaggiando nello spazio alla velocità della luce con lo scopo di scoprire poi, 2-3000 anni dopo l'inizio del suo vagabondare tra le stelle, come l'uomo stesso si è evoluto.

Quella di non conoscere il futuro, di non sapere "cosa ci sarà dopo", è una condizione che l'essere umano non ha mai accettato; tanto è affascinante sapere come era la vita migliaia di anni fa, altrettanto lo è sapere come sarà tra centinaia di secoli, ma la natura impone un limite che nega questa legittima curiosità.
Leonardo da Vinci non ha mai visto un jet volare, Galileo Galilei ha potuto soltanto immaginare la galassie più lontane che oggi, con i più potenti telescopi, vediamo, e chi ha progettato le piramidi non è mai salito su l'ascensore di un grattacielo.

Dove finisce la conoscenza del reale inizia il mondo del fantastico e l'uomo comincia a viaggiare con la fantasia e va alla ricerca dell'incredibile. Chi ne ha avuto la capacità ha trasferito i suoi pensieri nelle pagine di un libro dando vita alla letteratura fantastica, materia che tanto appassiona milioni di lettori.

Alla fantascienza (uno dei filoni del cinema fantastico) si deve il merito di aver rappresentato e divulgato, in maniera molto più consistente della letteratura, questo incredibile passaggio tra ordinario e straordinario, questo tuffo nel soprannaturale.
Già negli anni '20 e '30, con le prime rudimentali pellicole (autentici prototipi del genere), la fantascienza cominciava a muovere i primi passi , divenendo un genere riconoscibile soltanto negli anni '50 con l'avvento di filoni legati allo sviluppo di specifiche tematiche: gli alieni, la rappresentazione di civiltà future, i viaggi nel cosmo, i robot.

Nonostante una manifesta evoluzione del genere fantascientifico in ambito cinematografico, la critica continuava a considerarlo decisamente inferiore alla fantascienza letteraria, al punto che anche autentici capolavori del dopoguerra come "Ultimatum alla Terra", "L'invasione degli ultracorpi" o "Il pianeta proibito" non servirono a togliere al filone fantascientifico l'etichetta di B-movie, per i critici la fantascienza continuava ad essere un semplice complemento del genere fantastico.

A dare una svolta decisiva a questa limitazione fu l'anno 1968 con il suo enorme bagaglio di novità in termini di rivoluzioni.
In campo cinematografico, restando nel mondo fantascientifico, furono due le pellicole che destarono maggior interesse soprattutto grazie ai temi politici e sociali al loro interno contenuti: "2001: Odissea nello Spazio" di Stanley Kubrik e "Il pianeta delle scimmie" di Franklin J. Schaffner, autentiche icone della fantascienza spaziale.
Il primo non ha bisogno di presentazione, essendo considerato da migliaia di critici e appassionati una dei film più belli di tutti i tempi e il secondo, pur avendo avuto la sfortuna di uscire lo stesso anno subendone il confronto, è pur sempre un'opera importante a cui il genere fantascientifico deve molto, una rappresentazione lucida dei pericoli che riserva l'incognita del futuro giocando sulle metafore e sui binari dell'assurdo.

Siamo nello spazio, all'interno di una navicella, presumibilmente lontani anni luce dal pianeta terra. Il comandante Taylor (Charlton Heston) è immerso in riflessioni: secondo i suoi calcoli, dal giorno in cui la nave spaziale ha abbandonato la terra sono passati circa 700 anni ma non per lui ed il suo equipaggio - Landon, Dodge e una stewart - che, per merito dell'assenza di gravità e della velocità con la quale stanno viaggiando, prossima a quella della luce, sono invecchiati di appena 6 mesi.
Taylor si sta domandando se "quell'ineffabile paradosso che è l'uomo fa ancora la guerra contro i suoi simili" ma i suoi pensieri vengono interrotti da un brusco cambiamento di rotta che fa precipitare al suolo, o meglio in acqua, la navicella.
La donna muore e i tre sopravvissuti si ritrovano su un pianeta sconosciuto.

Apparentemente disabitato, in realtà il posto è sotto il dominio di scimmie con sembianze umane che tengono in schiavitù una specie del tutto simile alla nostra, ma con un quoziente di intelligenza pari a zero. Ai tre appare subito chiaro di trovarsi di fronte ad una tribù di uomini primitivi, la violenza delle scimmie è inaudita: due cosmonauti vengono fatti prigionieri, uno viene ucciso.

Ferito alla gola da un colpo di fucile Taylor, impossibilitato ad esprimersi, viene trattato alla stregua degli altri prigionieri umani che non hanno l'uso della parola. E' il paradosso dell'evoluzione della specie: la scimmia divenuta pensante ed intelligente domina sulla razza umana regredita allo stato primitivo.
Non sono sufficienti la curiosità e l'interessamento di una giovane coppia di scienziati, Cornelius e Zira, che intuiscono da subito le capacità dell'uomo venuto dallo spazio, a convincere il capo spirituale Zaius a rispettare e studiare il soggetto; Taylor è considerato una bestia, nonostante nel frattempo abbia ripreso a parlare, semmai va studiato per il bene della scienza (l'altro suo amico superstite viene lobotomizzato) allo stesso modo in cui gli umani, nel mondo che ha lasciato, praticano la vivisezione sugli animali.

Chiuso in una gabbia e continuamente umiliato, George Taylor tenta la fuga ma, catturato, subisce un processo e soltanto con l'aiuto di Cornelius e Zira riesce a fuggire definitivamente insieme ad una prigioniera di cui si è innamorato, ma ad attenderlo c'è una sorpresa che lo fa inorridire: semi-seppellito nella sabbia in riva al mare troneggia il mezzo busto della statua della libertà.
L'uomo non si trova su un pianeta sconosciuto di un'altra galassia ma sulla terra, l'essere umano non soltanto non si è evoluto come Taylor immaginava ma ha subito una drammatica involuzione a favore delle scimmie da cui deriva che, divenute intelligenti, sono salite al potere.

Gli anni '60 e '70 sono stati caratterizzati dalla paura della fine del mondo, era un'epoca in cui la guerra fredda faceva presagire scenari post-atomici poco rassicuranti e il cinema mondiale riversava questi timori in pellicole dove i temi principali erano la minaccia dallo spazio (extraterrestri ed alieni) o i pericoli provenienti dalla Terra stessa (mutazioni genetiche, nascita di mostri).
"Il pianeta delle scimmie" non descrive sconvolgimenti, catastrofi o forze sovrannaturali incontrollabili ma è tremendamente inquietante nella sua semplicità.
L'uomo deriva dalla scimmia ed ha impiegato millenni per raggiungere il grado che lo contraddistingue da essa ma l'orgoglio e la sete di potere sono pari alla sua stupidità e non ha saputo sfruttare le capacità che gli sono state donate dalla natura, peggio ancora le ha usate male causando stravolgimenti tali da farlo regredire allo stato primario.
Al contrario le scimmie sono rimaste aggrappate al patrimonio genetico dell'uomo sfruttandolo per ripercorrere il cammino fatto migliaia di anni prima dall'uomo stesso.

Il film, tratto dall'omonimo romanzo di Pierre Boulle, autore di un altro libro reso famoso dalla trasposizione cinematografica, "Il ponte sul fiume Kwai", se ne discosta fondamentalmente nel finale, nella scena in cui Charlton Heston si inginocchia sulla sabbia all'ombra del mezzobusto della statua della libertà trafitto dalla consapevolezza di trovarsi su Madre Terra, scena necessariamente assente nel libro visto che l'equipaggio (francese) del romanzo atterra su un pianeta sconosciuto.

Difficile non rimanere colpiti dalla bravura di John Chambers nel realizzare le maschere della scimmie, oscar meritatissimo; ottime la musica e la scenografia, eccellente la sceneggiatura di Rod Serling, un genio.
La pellicola non si è sottratta alla maledizione dei sequel, tra il 1970 ed il 1973 ne uscirono ben 4, che pur se dignitosi non hanno aggiunto nulla a quanto di buono è stato fatto nel 1968; completamente inutile il remake di Tim Burton del 2001.

Ogni film non facente parte della nutrita schiera dei mediocri, utili soltanto ad alleggerire le tasche degli spettatori, invita ad una riflessione: cosa lascia di indelebile nella memoria "Il pianeta delle scimmie"?, Taylor inginocchiato di fronte al risultato della stupidità umana? La risata cinica e sprezzante rivolta alla piccola bandiera statunitense piantata al suolo dal suo compagno di viaggio? Il tribunale composto da oranghi che giudicano l'uomo? I ciechi meccanismi di potere che rifiutano la conoscenza? L'agghiacciante ipotesi della fine della nostra civiltà a spese di una razza animale?
Sicuramente lascia un enorme senso di impotenza, qualcosa che fa riflettere sui misteri del tempo, se esista qualcosa prima e senza di esso, se sia cominciato con l'universo e con la fine dell'universo cessi di essere. Cosa significa "Infinito"?.

Quanto è piccolo l'uomo!

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Recensione a cura di Marco Iafrate - aggiornata al 04/01/2010

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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