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"Jarhead" è uno di quei film nato per far discutere. Partendo dal fatto che innalza il concetto guerrafondaio di invasione bellica, per arrivare alla decostruzione del mito cinematografico di opere quali "Full Metal Jacket", "Platoon" ed "Apocalypse Now".
Sam Mendes (compagno della sorella del protagonista), alla sua terza regia, ci regala un film difficile, attraversato da quell'ironia nerissima che spesso fa parte delle pellicole contro corrente. Jarhead, infatti, parte subito come un provocatorio omaggio al capolavoro di Kubrick, citando "Il Cacciatore" di Cimino (nel film divenuto un hard) e proiettando la suggestiva sequenza della Cavalcata delle Valchirie del film di Coppola, per poi sterzare bruscamente sul paradossale, mettendo in scena tutti quegli elementi tipici dei film di guerra, che ormai hanno assunto lo stereotipo nelle produzioni hollywoodiane di questo genere.
Girato a basso budget, racconta in prima persona la storia di Tony "Swoff" Swofford, soldato americano di medio rango, inviato, dopo un duro addestramento, sul fronte della prima guerra del Golfo. Estremamente caricato in partenza, troverà la deviante situazione celata sotto il nome di "Tempesta del deserto" (Desert Storm), operazione militare in una guerra che tale non si è potuta definire, in quanto combattuta e vinta dall'aeronautica USA. Senza che la fanteria dello stesso Swoff e del suo amico Troy (Peter Sarsgaard) riuscisse a sparare un solo colpo, dopo ben un anno e mezzo (1989-1990) speso da marines nel deserto infuocato. Perché un Jarhead è proprio questo, un barattolo vuoto, che, oltre ad essere il nomignolo per via del taglio di capelli rasati, è un contenitore che non deve pensare, ma firmare una liberatoria, farsi il mazzo in addestramento e poi semplicemente seguire gli ordini sul campo. Anche se scriteriati e senza senso, come la partita di football sotto il sole cocente e con addosso la tuta antigas.
Nonostante la presenza di elementi stimolanti, all'atto pratico "Jarhead", tratto dal romanzo autobiografico di Anthony Swofford, non è un film del tutto riuscito, malgrado l'ottima interpretazione dell'affermato Jake Gyllenhall (candidato agli Awards per "Brokeback Mountain"). Le citazioni metacinematografiche sono esageratamente forzate e l'idea di privarle del proprio potenziale visivo, per poi riproporle in chiave grottesca, non rende appieno la significatività che Mendes vuole trasmettere allo spettatore.
Inoltre, è fin troppo netta la separazione tra l'enfasi descritta nella prima parte del film e il contrasto con la seconda, in cui viene raccontata la frustrante sensazione di attesa che devono subire gli arrostiti marines. Un'attesa poi esplosa in situazioni di ordinaria follia, come la minaccia di Swoff nei confronti del commilitone o la gran festa dei proiettili in chiusura conflitto, in cui tutti danno libero sfogo all'umana aggressività.
Tutta la pellicola, questo è il vero limite, è attraversata solo superficialmente da una morale costruttiva, che appare anche di tipo ambiguo, perché descritta da un membro della squadra, che è allo stesso tempo osservatore esterno. "Jarhead" non persegue con la giusta tenacia l'obiettivo, che qui non è il nemico, ma la costruzione di un'opera basata sui parossistici luoghi comuni della guerra, in cui ciascuno si sente vittima di ciò che gli accade intorno. Come ha detto Gyllenhaal in un'intervista, "Bill Broyles scrisse che sebbene tutti parlino dell'orrore della guerra, la sua esperienza è stata di non aver mai riso così tanto e di non essersi mai sentito così vivo come in guerra. Credo che quando mi sono trovato a contatto con un vasto gruppo di uomini, anch'io ho sentito un'energia molto forte e il divertimento dello stare insieme in tale situazione".
A tutto ciò si oppone invece, l'eleganza stilistica di alcune scene degne di nota, quali la camminata notturna sotto la pioggia di petrolio, oltre all'adeguata colonna sonora, vero e proprio motivo di supporto per i soldati durante le sfiancanti marce sahariane.
Secondo Mendes, dunque, il nemico da combattere non può esser altro che l'attesa, non l'iracheno appostato, ma la noia, la degradazione e l'assurdo che in un campo di battaglia molto hanno in comune con la vita normale. Il rientro a casa, infatti, segna il destino di quegli uomini che esistevano e vivevano sotto il segno della disciplina militare e che lontani da quel deserto, ne hanno trovato un altro dentro di sé.
Perché sono Jarheads, contenitori vuoti.
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Recensione a cura di Simone Bracci - aggiornata al 22/02/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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