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Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
"Non ci pensare! Te lo dico per esperienza. Adesso ti sembra insostenibile, ma passa... passa tutto".
"Allora che si vive a fare?".
"Si sopravvive".
Cineasta raffinato e colto, nonché riservato e schivo, Valerio Zurlini ha diretto alcune delle pellicole più interessanti del cinema italiano degli ultimi cinquant'anni. Distaccato dalle mode e sempre attento allo studio psicologico dei propri personaggi, il regista emiliano ama il contrasto fra le pulsioni emotive, intimamente personali, dei protagonisti e tutti quegli eventi esterni ed incontrollabili, che condizionano inesorabilmente le loro scelte e la loro stessa esistenza.
"La Prima Notte di Quiete" si apre con l'inquadratura di una barca, battente bandiera australiana, in mezzo al mare sotto un cielo livido. In lontananza si vede la terra avvolta nella foschia. Potremmo essere ovunque, ma quando il timoniere accostandosi alla riva domanda in inglese ad un uomo solitario (Alain Delon), che sta passeggiando sul lungomare, dove sia finito, egli gli risponde: Rimini.
"Rimini?", domanda ancora lo straniero. "E dove si trova esattamente?".
"Al nord. Fra Ancona e Venezia".
"Incredibile!".
Poi la moglie dell'australiano domanda come sia questa piccola città.
"Non lo so, signora. Anch'io sono arrivato qui soltanto oggi, mi spiace".
Delon si allontana sotto un cielo plumbeo con le mani sprofondate nel suo cappotto cammello, che lo vestirà per quasi l'intera durata del film, il capo chino e una sigaretta fra le labbra. La sua passeggiata è accompagnata dalle note malinconiche di un sax (splendidamente eseguite da Gianni Basso).
L'incipit non avrebbe potuto essere più poetico e più crepuscolare. Zurlini, con poche immagini e con un rapido scambio di battute, sintetizza elegantemente il messaggio che racconta.
La barca (in realtà spinta dal motore) che procede con le vele ammainate, quasi come se si stesse lasciando trasportare dalla corrente verso una terra avvolta dalla nebbia, è già simbolo di quella deriva interiore e di quella solitudine, che nutrono e distruggono il protagonista. Essa, inoltre, come il titolo stesso lascia intendere, è anche metafora di morte: la fine del viaggio con l'approdo al nebuloso promontorio di Tenaro.
Il teatro dell'azione è una Rimini invernale, livida e triste. La stessa cittadina de "I Vitelloni", ormai priva della vitalità estiva, è una provincia cupa e malinconica. Non c'è più quella spensierata vita da spiaggia e le foschie invernali hanno assorbito anche l'ultimo scampolo di quell'incoscienza innocente di memoria felliniana.
Il regista ama il ricorso a contenuti e a citazioni, a volte esplicite, altre no, della letteratura classica. Esse, in diversa misura sempre presenti nelle sue opere, sono un mezzo salvifico. La cultura classica protegge e preserva la natura intimamente romantica dei personaggi dallo squallore del vivere quotidiano gretto, utilitaristico e volgarmente arido.
"La Prima Notte di Quiete" è incentrato sulla figura di Daniele Dominici, eroe romantico e decadente, interpretato con grande intensità da un ottimo Alain Delon.
Nato a Vienna, colto e cosmopolita, Daniele Dominici è un professore di lettere senza alcuna vocazione per l'insegnamento, ma con un'attrazione irresistibile per la bellezza. Egli ama la poesia e la letteratura, così come la pittura e la musica. Esteta dell'arte ed esteta della vita, uomo dalla natura profondamente triste e malinconica è un eroe romantico a tutti gli effetti. Falsamente disilluso e falsamente disamorato, si dimostra ancora capace di emozionarsi di fronte alla bellezza insita nelle piccole cose. Questa sua indole, intimamente sognatrice, lo spinge a credere ancora nell'amore, quello passionale, ma letterario, capace di superare qualsiasi barriera sociale, morale o economica. Daniele Dominici, come un poeta maudit, portando sulle proprie spalle il peso di un passato doloroso e meno nebuloso di quanto non voglia far credere, sembra voler percorrere di gran carriera quella strada che conduce all'autodistruzione. E su questo suo percorso s'incontra e si scontra con Vanina Abati (Sonia Petrova), una sua bellissima allieva, dalla natura criptica e profondamente malinconica. Una ragazza, che a discapito della giovane età, ha cicatrici profonde che le solcano il cuore e che le straziano l'anima. Una ragazza "scomoda", come spiegherà Elvira (Nicoletta Rizzi) dicendo a Daniele:
"Vanina ha molto passato, poco presente e niente futuro".
In un contesto di quotidiano squallore dove madri ruffiane, piccoli uomini di basso profilo, capaci di comprare carne umana con quella stessa facilità con cui si acquistano un paio d'etti di macinato, troie impenitenti, contestatori senza arte né parte e reazionari anacronistici, Daniele Dominici si rifugia nel sogno del più letterario degli amori. La sua relazione con Vanina si concretizza in una fuga, prima spirituale e poi fisica, da quella realtà volgare e laida, capace di offendere tanto il senso estetico, quanto il buon gusto. Ed è qui che ritorna in tutta la sua centralità la cultura classica che assurge a mezzo salvifico eccellente. Il ruolo di protagonista spetta al romanzo "Vanina Vanini" di Stendhal, seguito dalla contemplazione a Monterchi della Madonna del Parto di Piero della Francesca accompagnata dalla recitazione dell'ultimo canto del Paradiso della Commedia di Dante, passando attraverso la citazione di alcuni versi di Monsignor Della Casa e di estratti evangelici fino ad arrivare al "Giulio Cesare" di Shakespeare. Non è la letteratura ad essere imitazione della vita, ma la vita che cerca d'imitare la letteratura, come fuga, come ricerca di bellezza, come sogno di salvezza.
È durante la sopraccitata contemplazione della Madonna del Parto che si assiste allo scontro fra il mondo poetico, romantico e finemente letterario personificato da Daniele e quella realtà gretta, laida e volgare di cui Vanina è vittima e, al contempo, frutto. L'argomento della discussione è la gravidanza e se da un lato la troviamo delicatamente rappresentata da Piero della Francesca e dalla recitazione dei sublimi versi danteschi, dall'altro troviamo le parole di Vanina:
"Rimane soltanto un corpo che si deforma. Rimane solo il disagio, la pena, la crudeltà della gente che comincia ad accorgersene, senza che ci sia più nulla da fare... o quasi".
"La Prima Notte di Quiete", contrariamente a quanto scritto riduttivamente da certa parte della critica, non è incentrato sulla storia d'amore fra un professore e la sua alunna, né si limita ad essere un affresco della vita di provincia.
È Daniele Dominici il centro nevralgico della pellicola. Un personaggio che non vuole apparire, che si dimostra dimesso, cinico, disilluso, stanco. Un uomo che, reputandosi ormai invulnerabile al mondo esterno, si attornia di tutto ciò che in realtà ha sempre detestato: gente arida e priva di qualsiasi attrattiva, come la sua compagna Monica (Lea Massari).
Daniele si finge straniero in una terra che conosce fin troppo bene e si amalgama con troppa facilità a quella combriccola di danarosi perdigiorno, dediti esclusivamente al gioco d'azzardo, alle droghe e a festini più o meno equivoci. Fra costoro troviamo anche Gerardo(Adalberto Maria Merli), il fidanzato di Vanina, un ricco figlio di papà, personaggio meschino e volgare, che intorno a sé raduna una corte di cialtroni fra cui però si distingue per cultura e per capacità introspettive ed intellettuali Giorgio Mosca (Giancarlo Giannini), da tutti chiamato Spider a causa della sua passione per le auto sportive. Spider, superata un'iniziale diffidenza, è il primo a mostrare curiosità e poi simpatia per Daniele.
È attraverso l'ostinata curiosità che Spider nutre nei confronti del professore, che il regista ci svela poco alla volta la natura più intima del suo protagonista. Zurlini costruisce con meticolosa precisione il personaggio di Daniele Dominici preparando con cura eccellente quella impression finale, così cara a Baudelaire.
Non un solo dialogo né una sola inquadratura è fuori posto o accidentale. Tutto è volto a creare un alone di finto mistero intorno al protagonista. Finto mistero perché è come se il regista volesse svelarsi, parlare di sé e del proprio io più profondo, attraverso il personaggio di Dominici, che assurge a sua proiezione letteraria.
Così come Daniele alla guida della nuova Ferrari di Spider conduce quest'ultimo fra le rovine di una villa abbandonata, rivelando molto di sé, allo stesso modo Zurlini si mette in certa misura a nudo attraverso la descrizione del suo eroe romanticamente decadente. Un personaggio che fugge i ruoli precostituiti e le maschere sociali, ma che per essere davvero se stesso, si cela dietro una maschera differente, intessuta di malinconie e di silenzi. Una finzione operata per dissimulare quella realtà che ai suoi occhi appare già come una finzione.
La sceneggiatura è stata scritta a quattro mani da Valerio Zurlini e dal grande Enrico Medioli. Quest'ultimo aveva già lavorato con l'amico Zurlini ne "La Ragazza con la Valigia", ma è più noto per essere stato lo sceneggiatore preferito da Luchino Visconti e per essere fra gli sceneggiatori del capolavoro di Sergio Leone "C'era una volta in America". Nella sceneggiatura de "La Prima Notte di Quiete", comunque resta evidente l'impronta dominante di Zurlini. Egli ha prima immaginato il suo personaggio, trasfondendo in esso molto di sé, e poi ha scritto il film, facendo ruotare intorno al suo protagonista una storia semplice intrisa di tristezza, di malinconie, di piccoli enigmi, la cui scaturigine ha sede in un passato nebuloso.
Zurlini ha amato così tanto Daniele Dominici da arrivare ad un conflitto aperto con Alain Delon, che, oltre a prestare la propria immagine all'eroe maledetto, è anche produttore del film da parte francese e quindi ha avuto voce in capitolo. Il regista dichiarò di essere arrivato addirittura ad odiare questo film poiché da quel conflitto il personaggio che egli aveva immaginato ne era, a suo giudizio, uscito del tutto stravolto. In realtà sembra che la lite fra Zurlini e Delon non abbia arrecato gravi danni alla struttura della pellicola, anche se nella versione francese il montaggio fu modificato. Il film fu un grande successo che regalò tanto al regista, quanto all'attore un trionfo.
Merita una menzione a parte l'eccellente fotografia di Dario Di Palma, che mostrandoci una Rimini livida e triste sembra imprimere sulla pellicola il dolore che strazia l'animo del protagonista.
Buone le musiche composte da Mario Nascimbene e orchestrate da Roberto Pregadio.
Il cast artistico è di alto livello. È ottima l'interpretazione di Alain Delon che, a discapito di quanto dichiarato dallo stesso regista, regala fascino ed intensità al proprio personaggio.
Giancarlo Giannini, all'epoca trentenne, è semplicemente perfetto. La sua interpretazione di Giorgio Mosca è pulita, ben misurata e molto convincente. Il suo spessore ruba la scena a tutti gli altri personaggi ad eccezione di Delon, il solo capace di tenergli testa.
In piccole parti troviamo altri grandi nomi: Salvo Randone nel ruolo del preside reazionario, Alida Valli interpreta la madre di Vanina, Lea Massari è Monica la compagna di Daniele e della sua deriva interiore.
Il personaggio di Monica merita una spiegazione a sé stante. Nella congerie delle figure che attorniano Daniele e che violano o cercano di violare quella sua indole indipendente e riservata, spesso celata dietro un velo di cinica indifferenza, lei è la sola ad appartenere al suo passato. Lo segue come un fantasma, come un ricordo cattivo e malato. Daniele suscita la curiosità di tutti gli altri, Spider in primis, ma non quella di Monica poiché lei conosce i suoi trascorsi, sa qual'è la scaturigine del suo tormento, di quel dolore profondo che da decenni gli strazia il cuore. Ma Monica, come tutti quei personaggi che Daniele si trascina dietro a causa della propria inclinazione autodistruttiva, è una donna arida, squallida, egoista e cattiva. È incapace di godere della propria vita, incapace di vivere le emozioni con quella stessa intensità con cui le vive Daniele, incapace di provare amore, quello che non ha niente di egoistico, ma che si manifesta attraverso l'altruismo più puro. Poiché conduce un'esistenza infelice, Monica vuole anche l'infelicità di Daniele e sfrutta l'estrema sensibilità del nostro professore e le ferite, mai rimarginate, del suo passato, per riversare su di lui le proprie ansie e i propri turbamenti, per tenerlo egoisticamente legato a sé, per condividere con lui il proprio naufragio.
"Noi non stiamo neanche più insieme per abitudine, ma per disperazione", le dice Daniele.
"Ma anche stare insieme per disperazione può voler dire molto".
E poi ancora:
"Daniele, alla nostra età le cose ce le danno solo per potercele riprendere. Come puoi farti ancora delle illusioni?".
Monica sa dove colpirlo e, quando le sembra di non riuscire a scalfire la sua scorza con le proprie cattiverie, ricorre al ricatto più crudele, quello a cui sa che Daniele è più vulnerabile a causa del suo passato e di quella sua natura alla fine troppo compassionevole.
Valerio Zurlini, sempre attraverso il personaggio di Daniele, ci racconta l'attaccamento alla vita come un delirio febbrile, malcelato dietro il distacco e dietro l'indifferenza. Un attaccamento passionale, che nasce da quell'ingenuità quasi fanciullesca propria dell'eroe romantico, e che viene completamente travolto da un sentimento di pietà, che nasce da quell'indulgenza che può essere provata soltanto da chi ama profondamente l'essere umano, con tutte le sue miserie, con la sua aspirazione alla bellezza e il suo sguazzare nel tugurio... tutto ciò che fa dell'uomo un angelo caduto.
La regia è semplice, ma intensa e dà ampia prova della formazione teatrale di Zurlini. Negli interni, così come nei pochi esterni, la macchina da presa segue quasi senza soluzioni di continuità i personaggi; i dialoghi più significativi si risolvono spesso con intensi primi piani che valorizzano la capacità espressiva degli attori, ai quali Zurlini offre molto spazio. Grazie a queste inquadrature il relazionare dei personaggi si fonda sugli sguardi, sul modo di muovere gli occhi o di piegare leggermente la testa, su un sorriso appena accennato, più che sulle loro parole, sui loro silenzi. Esemplificativo e magistrale è quell'interrogatorio serrato cui Giannini sottopone Delon durante un festino: momento in cui il regista affida la soluzioni di alcuni enigmi concernenti il passato del protagonista ad un libro di poesie intitolato "La Prima Notte di Quiete", che ci viene rivelato attraverso le domande di Spider che ci fanno ripercorrere in pochi istanti un'ampia gamma di temi classici, da Caronte, il traghettatore infernale, all'obolo versato al custode del santuario di Nepi, fino all'Estate Indiana (che dà anche il titolo alla versione americana di questa pellicola).
Le riprese sono eleganti e raffinate, e si avvalgono di set molto ben curati fino ai minimi dettagli. L'arredamento e i soprammobili, austeri e squallidi in alcuni casi, volgari e pacchiani in altri, e ancora barocchi, eleganti e aristocratici, sono lo specchio della vita e dell'anima di chi vive in quei luoghi.
Le riprese in soggettiva della corsa in macchina attraverso la nebbia, proiettano lo spettatore in quell'ovattata alienazione, che scaturisce dall'ansia del protagonista. I suoni, come i clacson delle macchine di quando vengono attraversati gli incroci col semaforo rosso, si odono senza vederne la fonte, come un richiamo del mondo esterno che vorrebbe riportare Daniele alla realtà, senza però riuscirvi. In perfetto contrasto con questa sensazione di alienamento è la musica aspra e penetrante, simbolo della frenesia interiore del protagonista, suonata dalla tromba solista di Maynard Ferguson.
Con "La Prima Notte di Quiete" Zurlini firma il suo lavoro più malinconico e crepuscolare, introspettivo ed autobiografico, dolce e struggente, quello che la critica ha in più occasioni dichiarato essere il suo film migliore.
"Perché la morte è la prima notte di quiete?"
"Perché finalmente si dorme senza sogni".
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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 22/02/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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