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"Oggi, la difficoltà di combattere il comunismo in Italia dipende quasi esclusivamente dal fatto che i comunisti non si vedono. Essi sono tanto onnipresenti, quanto invisibili... non vedrete mai un distintivo comunista all'occhiello. Questo per significare, per sottolineare, quasi, che i comunisti intendono conquistare lo Stato, attraverso una lenta opera di saturazione interna."
Estratto dell'intervento di Pino Rauti al convegno studio politico-militare, avvenuto all'Hotel Parco dei Principi a Roma dal 3 al 5 Maggio 1965 organizzato dall'Istituto Alberto Pollio.
A differenza di altri paesi europei la spinta del '68 in Italia non subiva quell'effetto di leggero riflusso avvenuto in Francia o in Germania, al contrario fu la scintilla che diede la spinta quella sete di rinnovamento politico-sociale del paese. Conservatori e riformisti si trovarono quindi a fronteggiarsi, con modalità differenti, perchè anche all'interno di questi stessi schieramenti le differenze erano sostanziali sia in termini teorici, sia nelle metodologie.
La particolarità dell'Italia era quella di trovarsi in una posizione di difficile equilibrio non solo interno, ma anche a livello internazionale. Una nazione fortemente legata all'Occidente, membro fondatore della CEE e soprattutto inquadrata sotto l'ampio ombrello della NATO con una posizione strategica di primaria importanza all'interno del quadrante mediterraneo.
Allo stesso tempo però l'Italia aveva il partito comunista più forte di tutta l'area occidentale, una sinistra extra parlamentare forte e organizzata con rapporti spesso persino conflittuali con le stesse linee ufficiali del partito.
In un contesto del genere, in piena guerra fredda, la presa del potere della sinistra era impensabile per i settori più oltranzisti e conservatori della nazione, anche attraverso libere elezioni. Gli equilibri delicatissimi, non solo a livello interno ma soprattutto in ambito internazionale, correvano il rischio di essere spezzati. La situazione di forte conflittualità che avveniva nelle strade del paese, conflittualità che sovente lasciava scappare il morto, è solamente la superficie delle guerre interne che avvenivano all'interno dello Stato stesso e dei suoi apparati politici e militari.
Solo due anni prima sull'Espresso scoppiò lo scandalo del "Piano Solo" ideato dal generale dei carabinieri, comandante dell'Arma ed ex capo del Sifar Giovanni De Lorenzo, su un tentativo di golpe da attuare nell'estate del 1964, con la complicità (o acquiescenza) dello stesso Presidente della Repubblica Antonio Segni, per impedire le pericolose aperture a sinistra del governo Moro nei confronti dei socialisti di Nenni. Fu un'estate calda con lo stesso Segni che fu dimissionato per motivi di salute.
Nello stesso anno, inoltre, in Grecia c'era stato un golpe che aveva portato una giunta militare al potere in funzione anticomunista.
Ci troviamo quindi in una situazione dove da una parte (la parte più conservatrice del paese e l'estrema destra) guarda all'esperienza greca come l'esempio da seguire anche in Italia: bloccare con un golpe l'escalation della sinistra aumentando la violenza nelle piazze, anche utilizzando mezzi di infiltrazione nei gruppi extraparlamentari di sinistra e anarchica per influenzarne e radicalizzarne i comportamenti, oppure compiere attentati in modo tale da attribuirne la paternità a quella determinata parte politica.
Dall'altra parte c'è una sinistra che ha timore della svolta greca del paese, conscia che il tentativo del 1964 possa ripetersi e con esso la fine delle libertà democratiche sancite dalla Costituzione. C'è una paura tangibile che una qualsiasi provocazione possa scatenare una reazione imprevedibile da parte dello Stato o di ampi settori dello stesso. In poche parole, nell'aria si sentiva nuovamente il "tintinnare di sciabole".
12 Dicembre 1969 - Banca Nazionale dell'Agricoltura - Piazza Fontana
Il significato dell'attentato a Piazza Fontana, la data del 12 Dicembre 1969, va ben oltre la ricostruzione di quel avvenimento, va ben oltre la ricerca dei colpevoli di quel massacro che costò la vita a 17 persone e il ferimento di altre 88.
Piazza Fontana rappresenta, a piena ragione, il fulcro di tutta la storia repubblicana di questo paese, il "momento zero" che determinò conseguenze fondamentali per la storia d'Italia e che allo stesso tempo definì il suo passato recente. La storia della Repubblica Italiana può essere inquadrata sotto questo aspetto: prima di Piazza Fontana e dopo Piazza Fontana.
Fin troppo ovvio quindi affermare che il compito di Marco Tullio Giordana è enorme, difficile e complesso. Riuscire a condensare in due ore di film la grande mole di inchieste giudiziarie, giornalistiche, di moltissimi saggi letterari denota un certo coraggio e un'assunzione di responsabilità cui deve essere dato atto.
E' innegabile tuttavia che proprio dalla grande mole di materiale a disposizione il film cada molto spesso nella didascalia e nella semplificazione, perché la scelta di Giordana si concentra maggiormente nel raccontare il periodo 12-16 dicembre, cioè dall'attentato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura fino alla "caduta" di Pinelli dalla finestra della questura di Milano. Concentra sulle due figure predominanti, il commissario Luigi Calabresi e l'anarchico Giuseppe Pinelli, un peso troppo grande che probabilmente va oltre la loro effettiva importanza nella vicenda storica.
L'intento di Giordana non è tanto di assolvere questi due personaggi, specialmente Calabresi, figura quantomeno controversa anche ai giorni nostri, quanto per mostrare che i loro destini e le loro morti sono da aggiungersi (e purtroppo non saranno i soli) all'elenco delle vittime di quell'attentato.
In Pinelli, nelle lunghe ore trascorse nella Questura di Milano assieme ai propri compagni, maturerà la consapevolezza di essere stato manovrato a sua insaputa, di essere stato vittima di una serie macchinazioni che hanno messo in mezzo la sua stessa persona e il movimento che rappresenta. La sua iniziale sicurezza verrà meno quando molti tasselli del puzzle troveranno la loro collocazione, ingannato da persone cui credeva potersi fidare, ma in realtà mele marce all'interno del movimento con l'obiettivo di screditarlo. Una perfetta opera di infiltrazione.
Calabresi è un uomo dello Stato, ligio ai propri doveri e fedele ai suoi superiori. Pur essendo dall'altra parte della barricata, con Pinelli non solo sarà accomunato dallo stesso tragico destino tre anni più tardi, ma acquisirà quella stessa consapevolezza di essere stato una pedina, e complice suo malgrado, di manovre che lo hanno messo nella scomoda posizione di capro espiatorio da dare in pasto all'opinione pubblica. Un bersaglio su cui convogliare la rabbia per la morte di Pinelli. Come altri uomini dello Stato, sarà lasciato solo.
La scelta di non mostrare le dinamiche che hanno portato la caduta di Pinelli dalla finestra dell'ufficio di Calabresi è stata da molti evidenziata come una mancanza di coraggio dello stesso regista di fronte a questo evento, ma sono tante e tali le discrepanze in sede istruttoria e in sede processuale, come diverse sono le versioni fornite dagli uomini presenti nella stanza con Pinelli, diverse le dinamiche della sua caduta e momenti precedenti e successivi della stessa. Ci vorrebbe un film a parte solo per questo e Giordana ne è certamente consapevole. Scegliere di non mostrarlo più che una mancanza di coraggio è la volontà di non sconfinare nell'incoscienza.
"Quando dicono che i morti non ci dovevano essere, mentono. I morti erano il prezzo per arrivare allo stato d'emergenza."
Vincenzo Vinciguerra
Giordana divide il film in vari capitoli come un romanzo. Analizza le piste che si sono sviluppate nel corso degli anni: la pista rossa, l'emergere della pista nera con le indagini della procura di Treviso, che porterà ai fermi di Freda e Ventura, i depistaggi, riuscendo a mantenere una discreta fluidità narrativa, funzionale alla fruibilità del film, ma che diviene deficitaria in funzione della comprensibilità del significato di quell'attentato.
L'indagine milanese nell'immediatezza della strage, e contemporaneamente l'inchiesta parallela condotta da Aldo Moro, denota un salto troppo repentino di livello, cioè si va dai livelli più "bassi" a quelli più "alti", saltando il quadro intermedio o almeno relegando troppi elementi in secondo piano. Giannettini è una figura troppo sfumata, ufficiale di collegamento fra i servizi segreti (il Sid) e Ordine Nuovo del Veneto, eppure era i principali imputati al processo di Catanzaro e condannato in primo grado all'ergastolo. Il ruolo del Sid è appena accennato, mentre il film di Giordana dedica anche fin troppo spazio all'Ufficio Affari Riservati (il servizio segreto civile) e al suo capo Umberto D'Amato.
Eppure è dal Sid che parte la famosa informativa, nell'immediatezza di Piazza Fontana, in cui si fanno i nomi di Yves Gueran Serac, Robert Leroy (braccio destro di Serac), Stefano Delle Chiaie, Mario Merlino e Pietro Valpreda, identificandoli come anarchici, mentre (Valpreda escluso) la loro provenienza era ben diversa dall'area anarchica e portava all'AginterPress di Lisbona, la maggiore centrale di infiltrazione nei movimenti di estrema sinistra dell'area dell'Europa occidentale. Solo un minimo accenno che meritava un approfondimento ben più ampio.
Il limite maggiore del film di Giordana è che il coraggio di intenti non si è sposato in maniera altrettanto coraggiosa con l'approfondimento dei tanti e troppi elementi che un avvenimento di questa portata meritava. Due ore di film sono troppo poche, come già detto, per condensare tante domande che sono rimaste senza risposta e che dopo la visione di questo film rimarranno tali.
L'operazione di Giordana quindi non soffre di una mancanza di coraggio manifestata solo negli intenti, ma è un film incompiuto e soprattutto incompleto perché analizza il cosiddetto "momento zero" quasi come se fosse un fatto a sé stante, un evento disgiunto dal contesto storico. Giordana doveva allargare maggiormente lo spettro temporale intorno al 12 dicembre 1969. Analizzare come si è arrivati a quella fatidica data e andare oltre la stessa, perché dopo Piazza Fontana è iniziata una lunga scia di sangue e di misteri dai nomi tristemente noti (Piazza della Loggia, tentativo di Golpe Borghese, Strage della Questura di Milano, Peteano, La Rosa dei Venti, Treno Italicus), cui Giordana non ha fatto il minimo accenno.
Una lunga catena di eventi dei quali il regista mette sotto la lente del film solo pochi anelli, accumulando negli ultimi venti minuti di film una mole tale di elementi da causare un effetto minestrone: basti pensare ai depositi "Gladio" e all'operazione "Stay behind" ad essa collegati, la strana morte dell'editore Feltrinelli troppo scollegata al contesto della vicenda.
Non è sufficiente la rivelazione della doppia bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura per dare il cosiddetto colpo di scena. Anche prendendo per buona tale ipotesi servirebbe soltanto a cercare di stabilire, per via letteraria prima e cinematografica adesso, una verità giuridica che ancora oggi, come il film sottolinea nelle didascalie finali, non ha colpevoli.
Non è soltanto la scoperta di chi materialmente ha messo la bomba o le bombe che può dare conforto alle famiglie delle vittime e a chi in questo paese ha ancora un barlume di coscienza civile. Chi ha deciso che dovevano esserci i morti? Chi ha depistato? Chi ha coperto i colpevoli e chiunque fosse implicato con essi? A quali apparati dello Stato appartengono? Chi, di questi apparati, ha remato contro e chi a favore? Chi ha manovrato chi? In definitiva chi ha messo l'ordigno o gli ordigni è solo il primo piccolo passo per stabilire la verità e sono domande che "Romanzo di una strage" pone in maniera troppo timida.
Aspetti positivi comunque non mancano. "Romanzo di una strage" offre una confezione impeccabile, una ricostruzione d'epoca molto buona tanto che ci si sente effettivamente proiettati in quel turbolento periodo. La fotografia predilige i toni freddi e specialmente nell'ambientazione milanese sono efficaci per dare quella sensazione da inizio della "Notte della Repubblica" (mai titolo fu più indovinato). Ambientazioni fredde, buie e claustrofobiche che sembrano soffocare gli stessi personaggi.
Il comparto attori nel suo complesso è all'altezza delle aspettative. Detto di Favino e Mastrandrea, sicurezze consolidate del cinema italiano, nei ruoli secondari spicca la dignità della figura di Licia Pinelli ben interpretata dalla Cescon, mentre la Chiatti non riesce a lasciare un'impronta decisiva. Il confronto con Volontè può sembrare impietoso per Gifuni ma, aldilà di qualche gestualità troppo meccanica, riesce a emergere l'ambivalenza dello statista democristiano: il dialogo con il sacerdote è così pieno di amarezza e catastrofismo che sembra provenire nella sostanza dal "Todo Modo" di Petri. Allo stesso tempo non esita a ricattare in maniera abbastanza palese le velleità protogolpiste del sanguigno Saragat di Antonutti ("Aldo, sarebbe meglio che mi venisse un colpo come a Segni, vero?"). Il suo silenzio sulla verità, in nome della ragion di Stato.
Una ragion di stato che dura da quarantatre anni.
Se c'è da dare un merito a "Romanzo di una strage" è quello di rievocare anni dolorosi, rispolverare domande che sono rimaste senza risposta e pur nella incompiutezza, il film di Giordana può essere utile al ricordo e tenere viva la memoria di quegli anni e avvicinare le nuove generazioni a quel tormentato periodo dove termini come "Strage di Stato" e "strategia della tensione" erano nel lessico comune, a stimolarli nella ricerca della verità, perché pretendere la verità su quel periodo storico è un diritto di ogni cittadino con un minimo di coscienza civile.
A tutt'oggi la notte della Repubblica non è ancora cessata.
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 11/04/2012 15.19.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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