Recensione si puo' fare regia di Giulio Manfredonia Italia 2008
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Recensione si puo' fare (2008)

Voto Visitatori:   8,04 / 10 (134 voti)8,04Grafico
David giovani (Giulio Manfredonia)
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
David giovani (Giulio Manfredonia)
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locandina del film SI PUO' FARE

Immagine tratta dal film SI PUO' FARE

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Immagine tratta dal film SI PUO' FARE

Immagine tratta dal film SI PUO' FARE

Immagine tratta dal film SI PUO' FARE
 

"Si può fare" un film in Italia intelligente e divertente allo stesso tempo. "Si può fare" un film in Italia che pur non avendo l'ambizione autoriale di Sorrentino e Moretti riesca a coniugare qualità e quantità, a trasmettere emozioni, a colpire allo stomaco non tanto per i temi trattati quanto per il modo in cui essi vengono proposti o anche solo per le scelte registiche.

Il tema della malattia mentale è stato variamente declinato al cinema dal patetico ("I Am Sam", "Forrest Gump", "Rain Man") al poetico ("Ivo il tardivo") al comico (il geniale "...E fuori nevica" di Vincenzo Salemme) e in buona parte della filmografia di Milos Forman, in cui la pazzia e il genio sono inevitabilmente due facce della stessa medaglia.
La particolarità ed il merito del film di Giulio Manfredonia (regista del simpatico "Se fossi in te") è quella di raccontare le cooperative sociali nate negli anni 80 in Italia che davano lavoro alle persone disabili e inventare la storia di una di queste. Si parla di un pezzo di storia del Paese, la storia nascosta dai giornali e dai libri, fatta dalle persone, che non cambiano il corso degli eventi, ma che li subiscono e cercano di fare del loro meglio.
Claudio Bisio poi è una garanzia, forse uno degli attori più sottovalutati in Italia e anche uno di quelli a cui la sovraesposizione televisiva non "guasta" l'immagine cinematografica. Il resto del cast puntella egregiamente nei ruoli secondari la sceneggiatura, bravissimi anche tutti gli attori nei ruoli da disabili.

Inizio anni 80: in seguito alla legge 180 i manicomi sono aperti, i malati sono abbandonati a se stessi. La vecchia scuola di medici vuole tenerli in condizione di non nuocere a se stessi e agli altri, la nuova generazione crede in un approccio diverso, basato sul rispetto dell'individuo. Un sindacalista "problematico" , Nello, viene messo a capo di una cooperativa di disabili mentali e decide di farli lavorare per davvero, abbandonando le attività da elemosina per restituire alle persone malate la loro dignità attraverso il lavoro. La scelta dell'attività ricade sulla lavorazione del legno, settore pavimenti.
Per un banale incidente lavorativo, in assenza di Nello, i ragazzi prendono l'iniziativa di concludere il lavoro utilizzando gli scarti al posto del legno mancante, componendo un mosaico sul pavimento.
L'operazione riscuote un insperato successo e la cooperativa comincia finalmente ad essere presa sul serio. "Facciamo tutto con gli scarti, siamo una cooperativa di scarti", dice con orgoglio uno dei disabili.
Quando Nello trova un giovane dottore (Beppe Battiston) che si offre di prendere in cura il gruppo, proponendo una terapia che limiti l'uso dei sedativi, si illude di poter finalmente regalare ai disabili una vita fatta di indipendenza economica, di amore, di normalità e allo stesso tempo, finalmente, dimostrare al mondo il valore delle proprie convinzioni attraverso la riuscita di questo progetto in cui nessuno credeva.

Siamo forse abituati da una certa cinematografia ad aspettarci il "fabula docet" in un film di questo genere e presto, durante la visione, si è portati a credere che il film parli delle capacità dei cosiddetti pazzi, della possibilità della loro integrazione e del rifiuto della società e della medicina di provare strade alternative alla sedazione.
Medico bigotto contro medico innovatore, lavoro socialmente utile contro lavoro fine a se stesso, pazzo geniale, pazzo artista, pazzo innamorato, i buoni e i cattivi; sarebbe lecito pensare che sia tutto già visto.

Un film americano di questo genere può avere solo due finali: quello in cui tutto va bene, i matti si integrano e conducono un'esistenza normali, riscattati socialmente (modello "I Am Sam"). E quello in cui, nel momento migliore, accade l'imprevisto tragico impedisce un lieto fine, e si torna alla situazione di partenza (modello "Risvegli" o anche "Rain Man").
In questo caso finalmente si va oltre lo stereotipo e l'ultima parte del film ribalta la prospettiva e i ruoli,i personaggi diventano persone nel momento in cui le ideologie che li dividono si infrangono, tutte allo stesso modo, contro la realtà. Né la tragedia né l'integrazione sono il compimento del film, pur essendone parte. La linea di demarcazione tra malattia mentale e sanità purtroppo resta alla fine drammaticamente tracciata, nonostante il furbetto "tag" del film che "nessuno è normale visto da vicino", ma, come dice Nello/Bisio dopo il primo lavoro fallimentare della cooperativa: "Abbiamo sbagliato perchè abbiamo fatto", ed è meglio che non tentare per niente.

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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 10/12/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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