Recensione sono affari di famiglia regia di Sidney Lumet USA 1989
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Recensione sono affari di famiglia (1989)

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locandina del film SONO AFFARI DI FAMIGLIA

Immagine tratta dal film SONO AFFARI DI FAMIGLIA

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Vito McMullen, ex delinquente e ladro di professione ora dedito al commercio delle carni, sogna per suo figlio Adam un futuro da brillante laureato e professionista. Questi però è richiamato dalla figura del nonno Jessie, anch'egli criminale da strapazzo. Nonno e nipote decidono di mettere a segno un colpo da un milione di dollari, e a Vito non resterà altro che entrarci solo per tenere d'occhio suo figlio.

Ci si aspetta solo grandissime cose, se a dirigere una pellicola c'è il grande Lumet, che decide di far interpretare a Sean Connery e a Dustin Hoffman il ruolo di padre e figlio, nonostante la scarsa differenza di età e l'assenza di qualsiasi tipo di somiglianza. Non delude nemmeno la presenza del nipote, un giovanissimo Matthew Broderick alle prime armi, ma già padrone della situazione.
Un cast coi fiocchi, insomma, da far leccare i baffi a cinefili e non.
Un film che da un lato non delude le aspettative, proprio perché le interpretazioni sono eccezionali, ma che da un certo punto di vista lascia un po' a desiderare, proprio perché ad una prima parte scoppiettante, divertente e portatrice di non poche riflessioni sui legami familiari e su come questi portino le persone a comportarsi in determinate maniere, segue una seconda parte un po' troppo stucchevole che sfocia persino nel melodramma, con morti e pentimenti che mal si digeriscono.

Insomma, va tutto bene fino a quando osserviamo i tre componenti della famiglia McMullen litigare e battibeccare tutto il tempo e fino a quando poi si mettono d'accordo per effettuare il piano, consistente nella sottrazione ad un'associazione scientifica di una determinata formula atta a portare a termine un'importantissima scoperta.
Il film comincia a zoppicare e poi pian piano a capitombolare proprio dopo che uno dei tre viene colto in fallo dalla polizia e viene arrestato, e agli altri due non resta altro che continuare a litigare e battibeccare fino a che uno dei due non decide di sacrificare se stesso e l'altro per poter liberare il terzo.

Le simpatie dello spettatore si alternano prima per uno dei protagonisti, poi per l'altro e poi per l'altro ancora, perché ognuno di loro è contrassegnato da un lato simpatico e affascinante, ma anche da uno oscuro o irritante.

Abbiamo Adam, il nipote, un giovane studente a cui mancano tre mesi per laurearsi ma che si sente costretto in una vita che non gli appartiene, sognando il brivido e il pericolo che contrassegnano la vita attuale di suo nonno e quella passata di suo padre. Decide così di abbandonare tutto e di cercare il vero se stesso lanciandosi in un'avventura oltre che pericolosa, altamente criminosa.
Non gli si possono dare tutti i torti, visto che chiunque sia giovane - o lo sia stato - conosce bene il sentimento di oppressione che molto spesso i genitori con i loro desideri e le loro aspettative riversano sui propri figli, però gli si può rimproverare una certa irriconoscenza soprattutto nel finale della pellicola, irriconoscenza per aver vissuto un'infanzia più che felice e per aver potuto diventare quello che è diventato.

Abbiamo poi Vito, che è sia figlio che padre, sicuramente il personaggio col quale si empatizza di più perché lotta pur di tenere suo figlio fuori di guai e per proteggerlo da un nonno un po' troppo sui generis. E se da un lato non si può che allinearsi al suo modo di pensare consistente nel condurre una vita retta all'insegna della legalità, dall'altro si comincia a sopportarlo sempre meno per il suo continuo "rinfacciare" a suo figlio di averlo fatto crescere nella bambagia e a suo padre di avergli fatto vivere invece un'infanzia degradante all'insegna di furti e marachelle, negando persino a se stesso di essersi divertito un mondo.

Infine c'è Jessie, il nonno e il padre, un uomo di una certa età che non si rassegna a condurre una vita tranquilla e che continua a destreggiarsi, tra una permanenza in prigione e l'altra, con mezzucci poco legali fino a quando il suo giovanissimo nipote non gli propone il piano da un milione di dollari.
È lui il più simpatico dei tre, un gigione dall'aspetto burbero ma dai modi gentili che però non tiene assolutamente conto del fatto che suo figlio è uscito con sforzo da quella vita per poterne condurre una pulita e che suo nipote potrebbe cercare se stesso in altri modi, senza mettersi nei guai. Un inguaribile egoista, che nonostante gli avvertimenti del figlio continua ad incoraggiare gli atteggiamenti del nipote.

I tre si uniranno loro malgrado e troveranno persino quell'unità familiare che non avevano mai avuto. Come a dire, anche nella più brutta delle esperienza si possono trovare degli aspetti positivi. Oltre alla (seppur blanda perché inserita in un contesto comico e quasi parodico che è quello del mondo dei ladri) rappresentazione dei rapporti familiari, è ravvisabile anche una certa riflessione sui concetti di legalità e moralità che il più delle volte vanno a braccetto, ma che molto spesso sono ben distinti e separati. Ce lo spiega Jessie in una discussione a tavola con l'improbabile compagna di suo nipote, e noi spettatori non possiamo far altro che pendere dalle sue labbra, nonostante sappiamo benissimo che si tratti di un delinquente impenitente.

Insomma, "Sono affari di famiglia" non è sicuramente tra i migliori lavori di Lumet, che ci ha abituato a ben altri livelli, ma tutto sommato risulta essere una brillante commedia che si fa godere e apprezzare fino a quando non prende una svolta inaspettata e poco ispirata.

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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 07/05/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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