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Siamo in Australia, due giovani coppie e un loro amico coetaneo partono per le vacanze estive. Il gruppo appare ancora appesantito dal lavoro, stressati i ragazzi vogliono riposarsi e divertirsi, programmano di fare un viaggio rilassante in barca a vela verso alcune incantevoli zone coralline dell'oceano. L'atmosfera è scherzosa, il rapporto tra gli amici oscilla nel tono, a volte è serio, comunicativo, a volte confessionale.
Durante il percorso diurno in pieno sole il timoniere di servizio improvvisamente, forse perché distratto da alcuni pensieri, non si avvede di uno scoglio e la barca urtandolo si capovolge.
I naufraghi rifugiatisi sopra la chiglia della barca, ormai alla deriva, decidono di non aspettare il passaggio di qualche nave o il transito di aerei leggeri volanti a bassa quota, perché molto rischioso, in quanto il possibile ampliarsi del moto ondoso del mare durante l'attesa avrebbe potuto farli ricadere in acqua.
Alcuni ragazzi pensano perciò di raggiungere a 10-12 miglia a nuoto, coadiuvati da piccoli salvagente, un piccolissimo isolotto deserto, segnato sulle carte nautiche di bordo consultate prima dell'incidente. Quel tragitto della speranza, con qualche precauzione organizzativa in più, non sarebbe stato impossibile da compiersi. Dopo una breve conversazione la maggioranza opta per la partenza.
I ragazzi decidono di stare sempre vicini, indossando le tute subacquee nere che avevano a bordo, le quali sott'acqua li fanno apparire come possibili delfini, pesci quest'ultimi che sembra siano il più delle volte ignorati dagli squali. Il contenuto più minuzioso della barca però, sparso un po' dappertutto e inquadrato a lungo dall'occhio cinico della cinepresa sull'acqua limpida e liscia, sembra voler preavvisare allo spettatore l'arrivo di squali particolarmente famelici.
L'isolotto non è visibile sulla linea dell'orizzonte, la sua esistenza nelle vicinanze della barca capovolta è solo supposta, calcolata approssimativamente. Riusciranno i ragazzi a individuarlo in tempo e a salvarsi? Ma in quanti avranno il coraggio di abbandonare la chiglia della barca rovesciata per intraprendere quel pauroso percorso tra gli squali?
"The Reef" (Barriera corallina ) è un film horror/thriller con protagonisti il mare e gli squali. La pellicola evoca, ma differenziandosene notevolmente, la famosa serie di film inaugurata con "Lo Squalo", proseguita poi con "Open water", ecc.
Il film è scorrevole grazie al fatto che le scene sono ricche di dettagli di un certo peso che destano attenzione, intrecciandosi piacevolmente in un gioco di richiami ad alta tensione con la più vasta e incantevole atmosfera celeste da cui emerge un contrasto vita-morte, minaccia-speranza di grande effetto emotivo.
Il film mantiene uno stile tutto suo, basato su riprese di tipo dilettantistico che potrebbero far venire in mente per certi aspetti le forme tipiche di un reality, quelle immesse su You Tube da utenti più popolari. In realtà quella del regista Traucki è una scelta stilistica ben precisa, di linguaggio ad effetto, un modo di riprendere elaborato professionalmente, studiato a tavolino, tutto sommato anche assai ricercato perché fuori dalla consuetudine. Si differenzia dal linguaggio di "Open Water", che per alcuni aspetti è simile, nella scelta di un maggiore e meglio distribuito volume scenico: uno spazio di ripresa più aperto ai giochi di luce, arioso, ricercato dal regista sempre con grande attenzione alle principali regole estetiche della fotografia.
E' come se il regista avesse voluto imprimere alla narrazione, una certa andatura dalla caratteristica familiare che ben si confà alla isteria collettiva del gruppo conseguente al naufragio, ad una situazione contraddistinta da una grave emergenza, un'andatura che non appare quasi mai eccessivamente formalizzata, bensì qualcosa con cui lo spettatore sembra possa riconoscersi immediatamente, senza alcuna cattura simbolica di tipo mediatico.
L'effetto psico-cinematico è notevole e riguarda una diversa acquisizione dell'immagine da parte dello spettatore, una maggior destrezza identificativa di quest'ultimo con le figurazioni dei personaggi in gioco e ciò grazie al fatto di non dover passare da alcuna scena propedeutica, funzionale alla preparazione psichica dell'identificazione.
Il film è di nazionalità australiana e da una attenta valutazione del funzionamento della suspense nelle varie situazioni critiche dei personaggi in mare, si può dire che il racconto riesce a tener desta l'attenzione dello spettatore con una continuità quasi fuori dal comune per un'opera quarta su questo tipo di soggetto e che diversi critici relegano addirittura in serie B.
Il regista Andrew Traucki è famoso per "Black water" (2007), un film d'avventura vecchio stile, indubbiamente una pellicola di qualità. "The reef" è interpretato da un cast di simpatici attori come Damian Walshe-Howling, Gyton Grant, che sono di buon livello espressivo anche se non proprio famosi.
Il film è stato stroncato sia da molti critici cinematografici che da numerosi commentatori di rete di origini sociali e formazione culturali diverse, che hanno voluto vedere a tutti i costi nella pellicola di Traucki una trama e un andamento narrativo in gran parte privo di originalità, già visto, come se, secondo loro, il regista in qualche modo avesse voluto realizzare qualcosa di prevalentemente commerciale, ossia una stereotipata opera dall'incasso sicuro già opportunamente garantito dall' interesse per il film da parte delle nuove generazioni di adolescenti accertato per sondaggi.
Una critica ingenerosa sospetta di essere affetta da pregiudizi pesanti sugli artisti, che dà per scontata nella pellicola l'assenza di arte, di originalità, avendo visto il film da una angolazione del tutto concettualmente prestabilita, preconcetta, lontana da come si conviene a un critico cinematografico serio e imparziale.
Questo film è stato oggetto di un esame critico frettoloso che ha messo da parte le risorse della soggettività che lo ha creato, in questo caso le particolarità più creative del regista, gli aspetti specifici del suo talento espressivo, soprattutto quello legato alla suggestione che tanta importanza ha nel cinema, riducendo la figura dell'autore a quella di un abile professionista dell'immagine, pronto a tutto pur di avere un budget, a rinunciare anche al progetto di una soddisfazione puramente artistica di un'opera, girando un film come altri decidono debba essere fatto senza alcun rispetto della volontà del regista.
L'errore che fanno molti critici cinematografici, tra cui alcuni anche dei più in vista, e molti commentatori via internet, è di pensare che i registi così detti di sequel usino il cinema prevalentemente come lavoro, rinunciando ad ogni atto di poesia e di pensiero artistico, capaci di dare alla propria pellicola nuove idee e sequenze di immagini intense e originali di forte potenza espressiva. In realtà oggi sono numerosi i casi di sequel che risultano più creativi del film che li hanno preceduti e questo deve far riflettere.
"The Reef" è un film importante, smentisce ogni tipo di pregiudizio legato allo scarso valore dei cosiddetti film fotocopia e respinge al mittente, nei suoi contenuti più schematici, l'accusa di essere un film manierato, ricordando al pubblico con sequenze ricche di particolarità inedite, che il regista ama l'originalità, è un creatore d'immagini sequenza sempre diverse nel senso e di nessi logici nella narrazione che rispecchiano qualcosa di assolutamente specifico riguardante ciò che accade o è accaduto nella realtà sociale, storica, ed esistenziale di ciascuno. Nessun artista ama ripetersi, tanto meno Andrew Traucki.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 11/10/2012 13.51.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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