Recensione thirst regia di Chan-wook Park Corea Del Sud 2009
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Recensione thirst (2009Film Novità

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locandina del film THIRST

Immagine tratta dal film THIRST

Immagine tratta dal film THIRST

Immagine tratta dal film THIRST

Immagine tratta dal film THIRST

Immagine tratta dal film THIRST
 

"Il Piacere dà a ciascuno la perfezione del suo vivere"
Aristotele: Etica a Nicomaco.

Padre Sang-hyeon (Kang-ho Song) è un prete filantropo, che presta servizio in un ospedale e che crede nell'intima bontà dell'essere umano e che abbraccia le arti e la scienza come doni di Dio. Avendo consacrato la propria esistenza al servizio del prossimo, padre Sang- hyeon ha rinunciato alla pienezza della vita sacrificando con abnegazione tutte quelle pulsioni che l'istinto gli detta.
Stanco di vedere morire le persone di cui si occupa, si offre volontario per sperimentare un vaccino contro il Virus Emmanuel (così chiamato dal nome del medico che lo ha isolato), pur essendo consapevole che le probabilità di contrarre la malattia sono altissime e che conducono a morte sicura.
Durante l'esperimento, padre Sang-hyeon (o Sang-hyun, nei sottotitoli italiani) è infettato dal virus e dopo una breve degenza muore, ma la sua morte dura pochi istanti. Il prete riprende immediatamente coscienza e medici riscontrano immediatamente una regressione del virus.
Dopo una degenza di sei mesi, Sang-hyeon viene dimesso e i fedeli guardano a lui come a un uomo capace di fare miracoli. È per questa fama che la signora Ra (Hae-sook Kim) si rivolge a lui con le lacrime agli occhi, implorandolo di andare a fare visita a suo figlio Kang-woo (Ha-kyun Shin), malato terminale di cancro.
Kang-woo riconosce padre Sang-hyeon. I due erano amici di infanzia e con loro c'era anche Tae-ju (Ok-bin Kim) ora divenuta moglie di Kang-woo.
Dopo la visita di padre Sang-hyeon, Kang-woo guarisce dal cancro e così il prete ricomincia a frequentare la loro famiglia. Ma qualcosa in lui è cambiato. Padre Sang-hyeon adesso ha sete di sangue e non solo, ha sete di vita.

Questo nuovo film del regista coreano Chan-wook Park, ormai conosciuto ed acclamato in tutto il mondo per la sua Trilogia della Vendetta, è stato presentato in concorso al Festival di Cannes del 2009, dove ha vinto il Premio della Giuria.
Malgrado il fatto che si tratti di un film d'autore, formalmente elegantissimo e assai sofisticato sotto il profilo contenutistico, e nonostante che sia prodotto da una importante major americana che ne ha ottenuto la distribuzione in tutto il mondo, in Italia questa pellicola non solo non ha ancora trovato spazio, ma non risulta neppure essere nei calendari della distribuzione.
In questa sede, quali siano le motivazioni di questa scelta vergognosa, non ci si può esimere dal criticare e dal contestare il sistema distributivo italiano che non solo massacra i film d'autore nostrani, ma impedisce costantemente l'accesso nel nostro Pese di pellicole che riscuotono un ampio consenso di pubblico e di critica a livello internazionale. Queste pellicole generalmente sono orientali, prevalentemente giapponesi e coreane, ma spesso anche messicane e, incredibilmente, europee.
Auspicando un cataclisma che rivoluzioni quello che è l'attuale equilibrio della distribuzione italiana, si invita il lettore a procurarsi "Thirst" almeno nella sua versione sottotitolata in lingua italiana.
Questa critica si rivolge comunque anche al pubblico italiano che, differentemente da quelli che sono gli standard europei (in particolare francesi, tedeschi, spagnoli e inglesi), non favorisce in nessun modo un cambiamento positivo.

Prima di procedere con questa analisi, si avverte il lettore che quanto segue rivela tutti i principali accadimenti incluso il finale del film.

Chan-wook Park rielabora il mito del vampiro, destrutturandone l'iconografia classica.
Non sono Polidori e Bram Stoker i referenti letterari di questa opera, quanto piuttosto il romanzo "Thérèse Raquin" di Émile Zola senza però dimenticarsi della modernizzazione dei suoi personaggi già avvenuta col romanzo di James M. Cain "Il postino suona sempre due volte" (1934).
Ma se la sceneggiatura ricalca piuttosto da vicino l'opera di Zola, per quel che concerne la costruzione della figura del vampiro sembra che gli autori abbiano abbracciato quella che è l'origine storica di questo mito di cui parlano direttamente e indirettamente vari testi antichi fra cui la Torah, che però mutua in larga parte la mitologia assira.
Benché la cultura orientale, in particolare la mitologia cinese e quella indiana, elabori un'iconografia del vampiro piuttosto distante da quella Europea, è indubbio che Chan-wook Park abbia deciso di rielaborare quest'ultima.
Il fatto che il protagonista sia un prete, però, non deve trarre in inganno, inducendo lo spettatore a credere che il vampiro descritto sia quello appartenete all'iconografia cristiana. Come accennato poco sopra la sceneggiatura abbraccia quelli che sono i primordi dell'iconografia vampiresca, antecedenti all'influenza cristiana, per poi rimescolarli a piacimento con elementi propri di tutte le culture.

L'iconografia cristiana è tuttavia fondamentale non tanto per quel che concerne il mito del vampiro, quanto per l'impostazione narrativa e metaforica adottata.
Ma è meglio procedere per gradi.
Chan-wook Park affronta una vasta serie di problematiche umane e filosofiche e per far ciò adotta la figura del Vampiro come escamotage narrativo volto a raccontare la morte e la rinascita di un uomo e la sua discesa nel vizio. Quindi egli niente aggiunge a questo soggetto, anzi gioca in sottrazione.
Padre Sang-hyeon è infettato da un virus, muore e risorge immediatamente a nuova vita. Il virus si chiama Emmanuel così come il salvatore annunciato dal profeta Isaia. Emmanuele, letteralmente in ebraico Dio con noi, è l'intervento divino che giunge in soccorso del popolo di Dio. E si tratta di un salvatore che si nutrirà di panna e miele fin quando non sarà capace di rifiutare il male e di scegliere il bene (Isaia 7, 15).
Da questo parte la trasformazione di Sang-hyeon. Il suo non è un vampiro dai denti aguzzi. Egli succhia il sangue dalle flebo come se fossero cannucce, oppure infligge ferite con oggetti acuminati in modo da poter bere il nettare che ne sgorga.
Sang-hyeon è un vampiro fortemente umano, assetato di passione e di vita, che si trova a dover scegliere fra il bene e il male. E se nella sua precedente vita, più che scegliere il bene padre Sang-hyeon si asteneva dal commettere il male, attraverso l'isolamento e la privazione del proprio io, nella sua nuova vita egli è travolto dallo stimolo dei sensi e non è in grado di opporgli resistenza neppure attraverso la mortificazione della carne che va dall'autoflagellazione fino al tentato suicidio. In tal senso è fortemente esplicativa la scena in cui egli arriva a percepire il rumore degli acari sulla pelle.

A questo punto occorre fare un passo indietro ed osservare la scena d'apertura di questo film.
L'ombra dei rami di un albero, le cui foglie sono mosse dal vento, è proiettata su una parete bianca.
Questa immagine, degna di Ungaretti, simboleggia la caducità umana, che è la causa principale del tormento interiore Sang-hyeon. Poco dopo, Sang-hyeon afferma durante una confessione che: "Suicidarsi è come morire martiri per Satana. È più grave di un omicidio doloso e comporta l'ergastolo all'inferno". Eppure, anche se a fin di bene, la scelta di sottoporsi all'esperimento medico equivale ad un suicidio o a un martirio, come non manca di sottolineare il dottore che dirige il laboratorio.
È così che si delinea il profilo di un uomo che fino a quel momento ha costeggiato la vita, senza mai perdersi fra le sue correnti impetuose. Un uomo che suona il flauto, che dà conforto agli ammalati e che prega per la loro salvezza, ma che non sa niente della vita quotidiana, come è sottolineato durante la sopraccitata confessione.
Sang-hyeon subisce la fascinazione del suicidio e la seduzione della morte, intesa come liberazione da una vita non vissuta.

Prima di proseguire sull'analisi in verità abbastanza complessa del personaggio di Sang-hyeon, è opportuno analizzare il personaggio di Tae-ju.
Si tratta di una donna infelice e di una moglie insoddisfatta. Se Sang- hyeon ha sempre vissuto ai margini della vita, assumendo un ruolo prossimo a quello di spettatore piuttosto che a quello di protagonista, Tae-ju è una donna che non vive e che in certa misura è una non-morta pur non essendo un vampiro.
Si tratta di una ragazza che è stata abbandonata da bambina e che è cresciuta sotto il tetto della signora Ra. Non ha mai abbandonato quella casa, andando a sposare Kang- woo che era cresciuto accanto a lei come un fratello. Dice in modo assai efficacie la signora Ra che il matrimonio fra i due non ha comportato grandi scombussolamenti nell'economia domestica dal momento che Tae-ju è passata dal suo letto a quello di Kang-woo.
È una donna che vive la propria esistenza come una prigionia. Subisce il marito e la suocera, subendo la loro presenza come un fardello opprimente. Sogna di pugnalare il cagionevole Kang-woo con quelle forbici con cui, invece, si strazia le cosce. La sua sola evasione consiste nel fingersi sonnambula per poter scappare nel cuore della notte dal talamo che l'affligge, ma a piedi nudi non può arrivare troppo lontano.

La comunanza fra Sang-hyeon e Tae-ju ed il loro modo di rapportarsi alla vita è evidente. Tuttavia, Sang-hyeon è un prete cattolico e in quanto tale crede nella vita dopo la morte così come crede nell'Inferno quale luogo di eterna espiazione dei propri peccati e nel paradiso come ricompensa per le proprie buone azioni.
Da questo deriva il sopraccitato fascino che esercita su di lui l'idea di morire. La morte si presenta come una fuga dalle tentazioni che possono condurre l'uomo a perdere la propria anima immortale. È per questo che conviene costeggiare la vita piuttosto che lasciarsi trasportare da essa.
Tae-ju, invece, è atea e in quanto tale crede solo nella vita e teme la morte come il peggiore dei mali. Non credendo che le azioni che compie nella vita saranno giudicate ed eventualmente punite dopo la morte, ella ha paura soltanto del giudizio degli uomini. Questo è per lei un deterrente sufficiente per non agire e lasciarsi vivere dagli altri.
Tae-ju è anche un personaggio che deve essere formato, una donna che ha bisogno di qualcuno che guidi i suoi passi. È semplicemente magnifica la scena in cui Chan-wook Park inquadra i piedi dei suoi due protagonisti, mostrandoci Sang-hyeon che solleva da terra Tae-ju, si leva le scarpe e le mette sotto i piedi di lei. Da quel momento egli diventa la guida della ragazza, il suo pigmalione. Solo che il viaggio in cui la trascina conduce assai più lontano rispetto a quello di un'educazione sentimentale o morale, egli la inizia ad una nuova esistenza permettendole di sprigionare tutta quella energia vitale che ella reprimeva.
Durante la propria esistenza umana Tae-ju si dimostra un coacervo di frustrazioni, una donna subdola e tanto cattiva da infliggersi delle ferite per poi accusare il marito di avergliele procurate, istigando così Sang-hyeon ad ucciderlo.
Una volta divenuta vampiro, lei inizialmente è come una bambina viziata, assetata di nuovi piaceri e ubriaca della propria potenza. Non teme più il giudizio degli uomini; sono essi a dover temere il suo.

"Siamo bestie mangiatrici di uomini! È un peccato per una volpe mangiare una gallina?"

Tae-ju accetta con gioia la sua nuova natura e vuole viverla pienamente e con gusto. Sa di essere un animale biologicamente superiore all'uomo ed accetta questa realtà come un semplice fatto, senza perdersi in considerazioni di carattere etico e morale.
La Sete del titolo del film unisce Sang-hyeon e Tae-ju prima ancora che questi diventino vampiri e si tratta di una sete di vita.
Tae-ju, come una novella Eva, porge la mela del peccato a Sang-hyeon che, appena ne gusta il sapore, non riesce più a farne a meno, mettendo in discussione tutta quella categoria di valori in cui prima affermava di credere.

Chan-wook Park gestisce perfettamente l'equilibrio fra Eros e Thanatos. Se Sang-hyeon all'inizio è avviluppato dalle spire di Thanatos, quando Eros entra nella sua vita, lo travolge con una carica passionale dirompente.
L'eros e la sessualità rappresentano le pulsioni di vita per eccellenza. Il protagonista che fino a quel momento ne era stato digiuno, subisce l'iperstimolazione dei sensi restandone stordito come un ubriaco, che non riesce più a distaccarsi dal nettare che gli dà piacere. Infatti, e questo è bene chiarirlo subito, il rapporto che unisce Sang-hyeon e Tae-ju non è un legame d'amore, ma un legame erotico.

Era geniale, elegante e perfettamente azzeccata la locandina originale di "Thirst", che poi fu censurata. Essa era praticamente identica all'odierna con la differenza che le gambe di Tae-ju si aprivano intorno a Sang-hyeon come una lettera V bianca che squarciava lo sfondo nero.
Essa dichiarava apertamente le tematiche erotiche e descriveva quel rapporto di amore e di odio che conduce i personaggi verso il loro inesorabile e malauguratamente prevedibile destino. Questa sete di vita, che tormenta Sang-hyeon, lo conduce ad indossare quelli che Aristotele nella sua "Etica a Nicomaco" chiama gli Abiti del Male, mutuati poi nella tradizione cattolica come i Sette Vizi Capitali.
Egli subisce il piacere dell'ingordigia appagando questa sua sete di vita; invidia profondamente la vita normale del suo amico Kang- woo, fino al punto di entrare nella sua famiglia sostituendosi a lui; pecca di superbia reputandosi superiore agli altri esseri umani al punto di decidere le sorti altrui; scivola nell'accidia allontanandosi dalla propria fede, rinunciando ad essere un prete e tralasciando tutta la sfera spirituale per privilegiare la riscoperta dei sensi; vive un rapporto lussurioso con Tae-ju; diventa così avaro del proprio sangue da negarlo al suo mentore cieco, che lo implora di trasformarlo in vampiro ottenendo, invece, di essere miseramente assassinato dal discepolo; commette l'ira sia nel vendicare le finte ferite che segnano le cosce di Tae-Ju, uccidendo suo marito, sia perdendo le staffe con la ragazza stessa fino a strozzarla a mani nude.

La formazione cattolica di Chan-wook Park è evidente, permea tutte le sue opere e in particolar modo "Thirst". Egli, infatti, delinea personaggi per i quali è difficile parteggiare e verso cui spesso è anche difficile provare simpatia. Il percorso che li attende è una dolorosa Via Crucis attraverso la colpa e l'espiazione, il desiderio e il sacrificio, il tutto sotto l'occhio gelido di un cielo inclemente che non ammette redenzione.

Come risulterà chiaro da quanto detto finora, l'equilibrio che sussiste fra i personaggi dell'opera di Zola non è stato rispettato nella sceneggiatura di "Thirst", dove l'attenzione si concentra senza nessuna esitazione su Sang-hyeon e Tae-ju, lasciando alla signora Ra e a Kang-woo ruoli così marginali da risultare piatti e poveri di qualsiasi approfondimento psicologico.
Questa nuova opera di Chan-wook Park è claudicante proprio in tutta la lunga parte che ricalca fin troppo da vicino la "Thérèse Raquin". Alterare gli equilibri di un'opera letteraria si può dimostrare un gioco assai pericoloso. Gioco di cui "Thirst" risente pesantemente.
È eccellente invece tutta la parte del film che non ha quasi niente a che vedere con l'opera di Zola, ossia da quando Sang-hyeon uccide Tae- ju e poi per paura della solitudine la trasforma in vampiro.

Sul rapporto fra la colpa e l'espiazione c'è poco da aggiungere rispetto a quello che già descrive Park.

L'altra tematica trattata concerne il rapporto di coppia fra l'uomo e la donna. La visione trasmessa da Park è profondamente pessimista. Nella coppia ciascuno a bisogno dell'altro per creare un mutamento nella propria esistenza. In particolare Sang-hyeon ha bisogno di Tae- ju per fuggire la solitudine e condividere il suo status con qualcuno che sappia e che lo ami per quello che è.
Tae-ju ha bisogno di un mentore che le insegni a camminare sulla strada della vita assumendosi la responsabilità delle proprie scelte e delle proprie azioni. In altre parole ha bisogno di qualcuno che l'aiuti a crescere.
Quando finalmente è cresciuta, gli insegnamenti del suo mentore le vanno stretti e la sete di libertà la consuma ancora più che quella per il sangue. Tae-ju è diventata una nuova e più bella creatura. È consapevole di sé e delle proprie possibilità. Non vuole che altri la limitino. È così che uno dei due elementi della coppia diventa un fardello, che non accetta di essere lasciato.
In senso lato anche la concezione stessa di famiglia è messa in discussione ed è presentata come una prigione per l'individuo. La prigionia è tematica ricorrente e spesso assorbente nelle opere del regista sudcoreano.

La tecnica di regia di Chan-wook Park è sempre magnifica nella sua dimensione estetica, grazie alla cura scrupolosa del dettaglio ed all'importante aiuto della fotografia attenta a valorizzare i personaggi e la storia narrata attraverso un meticoloso uso delle luci e dei colori.

In "Thirst" Chan-wook Park cita il suo "Cut", episodio del film "Three... Extremes". Questo incomincia con una donna vampiro che, dopo aver bevuto il sangue di un uomo, suona il pianoforte fin quando non è colta da un conato e vomita sangue.
Una scena analoga la vediamo quando Sang-hyeon sta suonando il flauto e vomita il sangue dentro lo strumento. Peccato che l'eleganza della regia di"Cut" non sia stata adottata da Chan-wook Park per "Thirst", che seppur notevole, non raggiunge gli standard a cui questo autore ci ha ormai abituato.

Egli ha intriso la pellicola anche di una ironia nerissima, ma questa non sempre risulta efficacie. Un esempio è il simbolismo del complesso di colpa incarnato dal cadavere di Kang-woo che si intromette fra i due amanti. Se questo può strappare un sorriso mentre li separa nel letto coniugale, risulta essere di cattivo gusto, un cattivo gusto assente nel resto dell'opera, il momento in cui Sang-hyeon ha un rapporto sessuale con Tae-ju attraverso il cadavere di Kang-woo.

È eccellente, invece, la scena composta di scambi di sguardi e di doppi sensi in cui lo spettatore avverte un erotismo palpabile anche in virtù dell'ottima prova degli attori e in particolare del gioco di sguardi instaurato da Ok-bin Kim e valorizzato da un sapiente uso della macchina da presa.
A parte questa scena la prima ora e mezzo del film scorre senza particolari guizzi creativi degni di rilievo e in più occasioni si scivola in un torpore poco gradevole.
Invece, gli ultimi trentacinque minuti, ossia da quando Sang-hyeon strozza Tae-ju e la trasforma in vampiro, sono uno sfoggio di arte cinematografica semplicemente memorabile.
Se è favolosa la scena dell'inseguimento fra i tetti, la nuova riunione a casa per la partita settimanale di Mahjong e la carneficina che segue è semplicemente sublime. In particolare è eccellente l'entrata in scena di Tae-ju nel corridoio pitturato di un bianco accecante mentre insegue una delle sue vittime. Il contrasto cromatico fra il blu del suo vestito ed il bianco delle pareti esalta i movimenti felini della ragazza, mostrandone un istinto predatore più divertito che famelico.
Raggiunge altissimi livelli cinematografici tutta la sequenza finale, quasi priva di dialoghi, ma assai eloquente. Attraverso le immagini Chan-wook Park fa parlare i propri personaggi senza far loro aprire bocca. Durante questa lotta per la sopravvivenza, Chan-wook Park ha mescolato ironia, dramma, amore, poesia, inesorabilità e vendetta mantenendo fra di esse un equilibrio perfetto.

Sang-hyeon e Tae-ju muoiono arsi dal sole del mattino davanti agli occhi della signora Ra, che così consegue la propria vendetta senza però poterne mai trarre giovamento né vero compiacimento, esattamente come alla fine di "Thérèse Raquin".
Ma in "Thirst" i due protagonisti, dopo piccole scaramucce, muoiono abbracciati.
Impassibile, ma compassionevole lui, forte della sua scelta di aver scelto il destino di entrambi; piangente e straziata lei, consapevole di aver raggiunto un capolinea inesorabile.
E così mentre due balene, altra specie in estinzione, nuotano a largo nell'oceano, i corpi di Sang-hyeon e di Tae-ju si trasformano in cenere. E quelle scarpe che hanno guidato i passi di Tae-ju nel cammino della vita ricadono a terra l'una accanto all'altra, nella posizione di un passo, un ultimo passo incompiuto.
Se tutto il film fosse stato su questi livelli cinematografici, "Thirst" sarebbe stato un capolavoro immortale della storia del cinema.

"Volevo vivere con te per sempre!"
"Quando si muore, si muore".

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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 25/06/2010 12.27.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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