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Il sottotitolo di "W." è "a life misunderestimated", da uno dei celebri e sgrammaticati nelogismi coniati da George W. Bush durante il suo mandato. E tanto basta a capire che Oliver Stone non è certo un fan dell'uscente Presidente USA.
"W." ripercorre le tappe che hanno portato George W. Bush da una giovinezza problematica e vissuta all’ombra della carriera del padre e del talento del fratello Jeb ad un riscatto personale e sociale fino all’elezione a Presidente degli Stati Uniti ed alle controverse decisioni riguardo la guerra in Iraq.
Quello che Oliver Stone sceglie di raccontare, in un'alternanza di piani temporali che conferisce un buon ritmo al film, è un insieme di momenti significativi, ma quasi mai pubblici, della vita di George W. Bush, dagli anni disimpegnati del college agli inizi della guerra in Iraq. Impietosamente, assistiamo all'ascesa di un uomo mediocre ma determinato, ottusamente granitico, complessato, alla ricerca di un'approvazione paterna che nemmeno con la presidenza degli Stati Uniti sembra definitivamente essere concessa. Josh Brolin è bravissimo nel caratterizzare la difficoltà di una persona sempre al limite delle proprie capacità intellettuali, costretto a rinunciare alle proprie modeste ambizioni da americano medio per sobbarcarsi il peso del nome Bush.
Niente di nuovo sotto il sole: che Bush non sia acutissimo è risaputo, e infatti Stone non calca la mano, lasciando agli epigoni di Michael Moore e alla memoria di Youtube la testimonianza delle varie assurdità dette e fatte in otto anni di presidenza, e si concentra piuttosto su un tortuoso percorso umano fatto di problemi caratteriali, problemi di alcolismo e redenzione religiosa; tanto da mostrare in una scena piuttosto inquietante un Bush convinto che sia Dio stesso a chiedergli di candidarsi per la Presidenza. Una sorta di Forrest Gump tristemente reale, la vittoria della volontà e della mediocrità sull'intelligenza e la cultura, la vita di un uomo che senza il cognome Bush sulle spalle sarebbe certamente finito... A votare qualcun altro con il nome Bush sulle spalle.
Al fianco di Brolin, Elizabeth Banks ("Zack and Miri make a porno", "Spider-Man") nei convincenti panni di una devota Laura Bush e James Cromwell (di recente visto in "Spider-Man 3") in quelli dell’austero George Senior spiccano in un cast di prim’ordine ma forse troppo incerto sui toni da scegliere per le varie interpretazioni. Così accanto a convincenti interpetazioni ne troviamo alcune un pò più macchiettistiche (Thandie Newton nei panni della Rice e Toby Jones in quelli di Karl Rove, ad esempio).
Le riunioni del governo americano, sperando che non siano davvero così, mostrano un Bush attaccato agli ideali Dio-Patria-Famiglia, ottimo strumento di mass-distraction per le pragmatiche macchinazioni dei falchi Cheney-Rumsfeld alla conquista dei pozzi di petrolio del medio oriente. E anche in questo caso, al di là delle varie prove d'attore più o meno buone, non è che ci sia molto da dire. Si sa già tutto, Oliver Stone fa il minimo sindacale inserendo qualche canzoncina popolare americana in versione grottesca e divertente, in modo da infarcire di ridicolo, o di tragico, il tutto, ed anche per ricordare che in ogni caso si tratta di fiction.
E il problema di "W." forse è proprio questo, che il tono del film oscilla in continuazione tra il necessariamente grottesco e il realmente tragico, due facce della stessa medaglia, quando a prendere le decisioni del Paese più importante del mondo è chiamato un uomo che non ha le capacità di farlo. Non c'è attacco, non c'è apologia, sembra solo uno sconcertato "guardate in mano a chi siamo in grado di metterci, meno male che è finita".
Per ora.
"W." non è un capolavoro, ma visto l'argomento scelto, forse era difficile fare di meglio.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 16/01/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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