Durata: h 2.40 Nazionalità:
Gran Bretagna1968 Genere: fantascienza
Tratto dal libro "2001: Odissea nello spazio" di Arthur Charles Clarke
Al cinema nel Dicembre 1968
Un'astronave, guidata dal computer Hal 9000, parte in direzione di Giove con a bordo due astronauti e tre scienziati ibernati. Ma durante il viaggio il computer prende coscienza di sé e si ribella, provocando la morte di tutti i passeggeri tranne uno...
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Questo film mi è sembrato la Cappella Sistina del Cinema. Michelangelo ha dipinto la storia dell’Umanità, dalla creazione (Adamo e Dio che allungano le mani fino quasi a toccarsi) al Giudizio Universale (una visione apocalittica con le figure che galleggiano nello spazio). Kubrik dà la sua versione: dalla prima scintilla di intelligenza che contraddistingue gli uomini dagli altri animali, alla fusione dell’Uomo con lo Spazio per dare vita a una nuova creatura. Lo fa con la stessa grandezza e monumentalità di Michelangelo, usando il linguaggio del mito. Il protagonista del film è il monolite. Inutile stare a scervellarsi sul suo significato, perché semplicemente non ce l’ha. O meglio, rappresenta la capacità dell’uomo di creare con il pensiero, la capacità di astrarre, che ci distingue dagli altri animali. Il monolite dà forma oggettiva a tutti questi concetti che esistono ma che non hanno un significato definito (Dio, l’universo, il bene, il male), che comunque hanno determinato l’evoluzione umana. Esistono nella nostra mente ma nessuno sa dare una spiegazione definitiva. Non sono astrusa materia di pochi filosofi, sono problemi drammatici che affliggono la nostra vita quotidiana, di cui cerchiamo in tutti i modi la soluzione, un significato certo senza mai riuscire a trovarlo. Dio ha punito Adamo perché bramava alla conoscenza assoluta. Gli Dei greci hanno punito Prometeo perché ha rubato la scintilla della conoscenza. Qui un computer, HAL, anche lui un essere perfetto, si prende questo compito e cerca di impedire la conoscenza assoluta. HAL è una creatura dell’uomo, come del resto Dio e gli Dei greci sono creazioni del pensiero umano (secondo me). HAL può essere anche un monito a non fidarsi delle macchine, a non farsi determinare da loro come fino ad ora ci siamo fatti determinare da Dio o da altre sovrastrutture. Questa parte del film è volutamente lenta e silenziosa. Riporta esattamente il lento scorrere del tempo e i rumori (meglio silenzi) dello spazio. La ‘noia’ dello spettatore è la ‘noia’ dell’astronauta. Ma che cos’è questa conoscenza assoluta che viene raggiunta da Bowman/Adamo/Prometeo? Kubrik, per rappresentarla, ricorre all’altro mezzo di conoscenza che ha l’uomo oltre alla ragione: l’immaginazione. Gli ultimi minuti del film sono una specie di gigantesca e sublime allucinazione. Come essere sotto l’effetto di una droga. Si prova senso di vertigine, l’emozione di quando si ha la sensazione di vedere qualcosa per la prima volta in assoluto, di essere in un mondo, in una dimensione completamente nuova. A me ha ricordato la poesia “Il battello ebbro” di Rimbaud (leggetela qui: http://www.cronologia.it/storia/biografie/rimbaud.htm). Rimbaud è stato il primo che ha liberato i nostri sensi dai limiti del reale e li ha mescolati fra di loro. E’ stato il primo che ha creato un nuovo mondo, che ha ampliato i confini di quello che si può concepire. Kubrik fa qualcosa di simile in questo film. Dopo l’esperienza dell’Immaginazione si torna all’improvviso alla Ragione. Una stanza settecentesca, geometrica, illuminata è una chiara allusione all’Illuminismo. Ma è un addio al mondo del vecchio Uomo. Il bicchiere che si rompe è l’ultimo segno della materia e della forza di gravità. Il futuro è indicato all’interno del monolite, cioè all’interno dell’immaginazione/astrazione. Il nuovo Uomo nascerà dall’utopia, dalla fusione con lo Spazio infinito (erano i tempi dell’immaginazione al potere e quando si pensava in grande). Questa è solo una mia interpretazione. Perché questo film, come tutti i capolavori, non deve dare spiegazioni, deve porre quesiti, deve fare risvegliare nello spettatore la curiosità di sapere, la voglia di domandarsi, di ricercare, di capire e immaginare con le proprie forze. Un esercizio difficile per chi è immerso fino al collo nella routine quotidiana, dove si vive senza domandarsi perché si vive, si opera senza sapere se c’è uno scopo o un fine. Il quotidiano è solo un peso di cui liberarsi al più presto con lo ‘svago’. Dopo una dura giornata non si ha voglia di visitare la Cappella Sistina. Per questo non mi sono meravigliato quando ho letto sotto commenti negativi su questo film. Lo vedo con le persone che frequento tutti i giorni. La gente comune non sa farsi domande, non vuole farsi domande. Ripeto, non sono dibattiti da elite, da chi si vuole distinguere, è il nostro modo di vivere, il nostro destino, il destino del mondo, le sorti dell’umanità.