free zone regia di Amos Gitai Israele, Francia, Spagna, Belgio 2005
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free zone (2005)

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locandina del film FREE ZONE

Titolo Originale: FREE ZONE

RegiaAmos Gitai

InterpretiNatalie Portman, Hana Laslo, Hiam Abbass, Carmen Maura, Makram J. Khoury, Aki Avni, Uri Klauzner, Liron Levo, Tomer Russo, Adnan Tarabshi, Shredi Jabarin

Durata: h 1.34
NazionalitàIsraele, Francia, Spagna, Belgio 2005
Generedrammatico
Al cinema nel Maggio 2006

•  Altri film di Amos Gitai

Trama del film Free zone

Rebecca un'americana che vive a Gerusalemme da qualche mese, rompe con il suo fidanzato. Sale sul taxi di Hanna, un'israeliana. Ma Hanna deve arrivare in Giordania nella cosiddetta "Zona Libera", recuperare una grossa somma di denaro che un americano, socio di suo marito, le deve. Rebecca la convince a portarla con se, ma una volta arrivati, Leila, una palestinese, spiega alle due donne che l'americano non è là e che i soldi sono spariti...

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Voto Visitatori:   7,50 / 10 (4 voti)7,50Grafico
Miglior attrice (Hana Laszlo)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Miglior attrice (Hana Laszlo)
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Voti e commenti su Free zone, 4 opinioni inserite

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DarkRareMirko  @  16/06/2016 23:39:28
   7 / 10
Gitai ha purtroppo, talvolta, il limite dell'inconcludenza.

Anche questo Free zone ne è qua e là sofferente, seppur le scene riuscite non manchino.

Bene la Portman, bel cinema indipendente sui passaggi di frontiera e sui viaggi, nobile l'intento antimilitarista e di denuncia, ma si poteva fare anche di più.

Ho paura che Gitai, in fondo, lo si ricordi davvero e completamente solo per pochi film.

Il suo è comunque un cinema necessario.

kako  @  29/03/2011 22:58:19
   7½ / 10
mi scuso anticipatamente per non scrivere un commento sofisticato come i due che mi precedono, ma ci tenevo a votare questo prodotto "di nicchia", ben costruito, che ci racconta una storia ambientata in una parte del mondo tormentata e lacerata dai conflitti religiosi ed etnici e ce la racconta attraverso l'incontro di tre donne con le loro idee, i loro obiettivi, i loro contrasti. Il film è un po' lento, ma trasmette comunque bene il suo messaggio di speranza mostrandoci come, attraverso la FreeZone, una convivenza anche in quei luoghi tormentati sia possibile

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  16/07/2006 11:59:36
   7½ / 10
"E' utile imparare la lingua del nemico", mi è rimasta impressa questa frase. Ultimamente ci ho pensato a lungo: penso troppo. C'è un senso di alienazione verso l'universo che ci circonda, qualcosa che ci porta paradossalmente a vivere l'indignazione per le guerre e i confilitti come una sorta di "astratta divergenza".
Partendo dal rifiuto etico di trovare un "nemico" in qualsiasi razza umana (e del resto i veri nemici SIAMO noi) ho seguìto con interesse e pure con vaga indisponenza l'ultima opera di Gitai.
A me pare tra i pochi cineasti in grado di trasferire il docu-drama in un contesto cinematografico senza per questo tradire la propria coscienza (o il proprio rigore autoriale).
Colpisce e ferisce, nel suo cinema, l'elemento incostante, il gusto del "frammento" che si sovrappone alla realtà attuale, l'incompiutezza che è poi alla base della confusione ideologica e mediatica degli eventi citati.
Faticoso, ma importante: Gitai è tanto esplicito ad offrire allo spettatore il proprio tormento interiore, ma è come se dovesse farlo unicamente per se stesso, quasi una "missione" ehm anagrafica.
Come isrealiano, conosce a fondo le contraddizioni del suo paese, e le vive, quotidianamente. Questo è il tipico cinema che molti snobbano rifiutando di concepire la coercizione che ha di essere, piu' che visto, ascoltato.
Un cinema che pretende rispetto nasce già preventivando l'odio che puo' generare, nonostante da piu' parti lo si invochi come antidoto al pensiero debole dell'umanità prima di bruciarsi definitivamente davanti alle menzogne di un telegiornale.
Pertanto i detrattori di questi film costruiscono un netto rifiuto alla sostanziale perdita di coscienza di cui guardacaso si vantano.
Nessuno ha la verità in tasca, l'informazione stessa è sovrana di inganni, e non è facile trovare una degna via di "conoscenza".
In realtà "Free zone" non è proprio il solito reportage di tensioni in Terra Santa anzi è un'opera tanto vigorosa quanto "sobria" nello svolgimento.
Fin dalla prima, emblematica sequenza (un lunghissimo piano-sequenza di una donna dentro un'automobile, con le sue disperate lacrime) percepiamo quel senso di soffocante monolitismo/militarismo che vige in questa terra. E' un senso doloroso di rifiuto, indotto da un territorio tanto amato quanto facile da abbandonare al suo destino. I flashback della memoria, attraversati dal tortuoso viaggio in macchina di due donne verso la Giordania, esprimono fatalmente la continuità geografica di una terra vicina, della speranza di un Mondo ostile ad aprirsi, e capace solo di chiudersi nel proprio difficile orizzonte etnico-territoriale: nel conflitto che brucia la vita negli attentati, o persino nella difficile comunicazione di una conversazione telefonica,
Con un sconcertante testamento di vita ("forse non mi sentirei mai a casa mia in nessun posto") , Gitai esprime la necrosi della speranza, come dimostrano in questi giorni le fortissime tensioni con il Libano.
Ma questa è un'altra storia, un'altra "free zone" costruita dagli uomini per credere sempre meno guardacaso nella libertà

8 risposte al commento
Ultima risposta 31/07/2006 13.55.32
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Invia una mail all'autore del commento balzac20  @  01/06/2006 06:44:55
   8 / 10
Non si è avvicinato al capolavoro, ma è un bel film, un gran bel film.






Partiamo dalla canzone portante della colonna sonora: Had Gadia.


Da noi nota come: alla fiera dell'est.
Solo che nella versione originale il testo è modificato per avere come oggetto un agnello e una
conlcusione agghiacciante.
Ho visto raramente un brano più adatto all'inizio e alla fine di un film.
Il ciclo della violenza dove vittime e carnefici si mischiano senza rendersene conto è condensato
in poche parole accompagnate da musica coinvolgente.

Attrici (è un film femminile tranne piccolissimi squarci): beh, su questo aspetto siamo veramente
a livelli ottimi.
Suona eccessiva la positività con la quale mi sto esprimendo.
Ma dal lungo primo piano della prima scena fino alla fine, fino all'ultimo fotogramma, ho trovato
attrici capacissime.

Fotografia: niente da dire, la Giordania è lunare, lontana ed eterna.
Fotografia perfetta.

Allora quando arrivano le note dolenti?

Adesso: il film è sottotitolato in italiano ed è parlato in inglese, ebraico ed arabo (queste due ultime lingue sono solo accennate).
Quello che è un ulteriore punto forte del film (secondo me) può disincentivare la visione.
Eppure alcuni dialoghi sono apprezzabili solo nella lingua originale e nel modo in cui sono espressi.
Non intendo la solita minchiata del "oh, l'accento, il significato, le sfumature etc. etc. etc.".

Non è questo, se non parzialmente. L'inglese che viene utilizzato è sostanzialmente scolastico e non cela particolari
segreti.

E' la semplice costruzione delle frasi che ne risente, il messaggio di assimilazione reciproca (ma solo in parte), ed anche soprattutto la parte concettuale del film che risente di questa scelta.

L'affermazione espressa da una delle protagoniste è storicamente vera e contestualmente dimostrata: il popolo occupato ha imparato meglio la lingua dell'occupante ma questo non si è verificato in senso opposto.
Cosa questo voglia dire, cosa implichi, questo, almeno questo in parte ci viene lasciato spazio per deciderlo.

Secondo punto:
Il film è volontoriamente stereotipato.
E' una scelta, non esagerata, ma comunque presente.
(non mi dilungo perchè se volete vedere il film potreste preferire non sapere)
I protagonisti sono rappresentazione di idee, come nella vita vera, ma di idee che sembrano le idee standard del conflitto viste in ottica buonista.
Io personalmente non ho trovato questa decisione troppo gradevole.

Terzo punto:
il messaggio di fondo.
Ecco, il messaggio di fondo l'ho visto troppo semplificato.
Anche questa critica in realtà perde parte della sostanza in relazione a tutto il film.
Dato che quello che vediamo è il tracciarsi di una linea retta la conclusione doveva essere questa.
E non è affatto scontata.

Ma la trovo sinceramente troppo elementare e buonista.

Restano molti altri punti aperti (la volontaria scelta di rappresentare il conflitto (non conflitto) attraverso tre donne oppure la liceità della critica a due parti in conflitto da parte di una terza parte esterna o ancora..... ma la mattina comincia e devo andare a laurà....)



Concludo dissentendo sul messaggio e su un paio di passaggi.
E dicendo..
cazzarola che bel film!

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