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L' unico Western girato da Douglas Sirk ... Alla morte del grande capo Cochise , il comando degli Apaches passa al primogenito Tahza , che vorrebbe continuare la politica paterna di pace con i visi pallidi , ma il fratello minore Naiche non è della stessa idea ... Questa pellicola parte da una base storica , ma poi romanza parecchio la vicenda , creando un contrasto tra i due fratelli che in realtà non ci fu mai . I due andavano d' accordo ed il periodo di comando di Tahza fu pacifico ma breve , pechè morì quasi subito di malattia . Solo diversi anni dopo suo fratello Naiche si unirà alle bande di Geronimo in un estremo e vano tentativo di ribellione verso i Bianchi . A parte questo , la pellicola è ben girata , del resto Douglas Sirk era un signor regista , anche se abituale frequentatore di altri generi cinematografici . Certo , siamo ancora lontani dal revisionismo che rivaluterà la lotta indiana contro la violenta invasione dei colonizzatori . Qui il protagonista è un apache collaborazionista , leale verso i Bianchi che , per il bene della pace , aiuterà addirittura a sopraffare le ultime resistenze del suo stesso popolo . La cosa migliore del film , girato in 3D , è senza dubbio la magnifica ambientazione tra le selvagge locations dello Utah , ottimamente fotografate da Russell Metty . La pellicola vede la partecipazione di attori bianchi anche nei principali ruoli da pellirossa . Così troviamo lo scultoreo Rock Hudson nei panni del protagonista , della bella Barbara Rush nella parte di un' improbabile squaw ed un breve cameo di Jeff Chandler in quella del morente Cochise . Nel complesso , un 6 se lo merita ancora .
Come regista di western Sirk convince poco: basta guardare le scene da battaglia poco incisive e piuttosto ingenue. Nella caratterizzazione di alcuni personaggi si può notare la propensione alla lealtà, all'onore e alla generosità, ma il rovescio della medaglia nasconde insidie come l'enfasi emozionale che rende la storia abbastanza banale per come si sviluppa. IL FIGLIO DI KOCISS non è un brutto film, ma certamente non si farà ricordare come il migliore esempio del genere western e di sicuro non il miglior lavoro nella filmografia del regista tedesco.
Con il "Figlio di Kocis" Sirk ha confezionato un western classico di ottima qualità. Oggi lo si guarda soprattutto per la splendida ambientazione (è stato girato in un parco nazionale) e per le belle scene di lotta e battaglia. Per il resto segue quelli che erano i canoni ideologici a cui si uniformavano tutti i western americani degli anni '50. Veniva dato per scontato che gli Americani avessero tutti i diritti di imposessarsi delle terre e dei pascoli degli indiani, in quanto portavano la "civilizzazione". Il destino degli indiani era perciò quello di adeguarsi a una vita materialmente "dignitosa", spostandosi nelle regioni a loro assegnate e adottando il sistema economico e legale degli Americani. Quest'ultimi li avrebbero "aiutati" e avrebbero lasciato che all'interno delle loro riserve potessero seguire i loro usi e costumi. Se veniva coinvolto un Americano allora la loro legge doveva passare in secondo ordine. Un po' come avviene oggi per i paesi "amichevolmente" aiutati dagli USA (Iraq e Afghanistan). La linea nettissima e chiara del bene e del male divide perciò in due parti il campo indiano: da una parte Tzara il protagonista (bello, forte, integerrimo, fortunato) collaborazionista, che china il capo di fronte alla superiorità americana e ne riconosce i meriti; dall'altra Geronimo, il fratello di Tzara e Aquila Grigia (brutti, torvi, astiosi, infidi, corrotti) che invece non accettano l'americanizzazione e vogliono fino in fondo lottare per mantenere la vecchia libertà. Ovviamente il film parteggia per i primi e prepara la sconfitta per i secondi. A parte questo, la mano di Sirk la si vede soprattutto nel personaggio di Tzara, nella sua battaglia tutta interiore fra i principi incrollabili e le difficoltà materiali e sentimentali che gli si parano davanti. Sirk come al solito parteggia per i principi, i suoi film sono dei piccoli panegirici della fermezza e della perseveranza nel credere in certi valori etici fondamentali. Alla fine dei dolori e dei sacrifici, oltre alla ricompensa di una coscienza pulita in pace con se stessa, c'è anche il premio della felicità sentimentale. Per Sirk l'onestà e l'amore esistono e alla fine riescono quasi sempre a trionfare.